Pochi ne avranno sentito parlare, ancora meno sono quelli che conoscono la sua figura. Eppure Wang Huning è il più importante teorico politico della Cina di Xi Jinping, nonché uno degli ingranaggi chiave del modello cinese. Wang, ex professore universitario, ha infatti un’enorme influenza su Xi, così come l’ha avuta sui due precedenti presidenti cinesi Hu Jintao e Jiang Zemin.
Ha svariati soprannomi – tra cui il “Rasputin cinese”, “il Cardinale Richelieu alla corte di Xi” o addirittura il “Kissinger” d’oltre Muraglia – parla fluentemente francese ed è sostanzialmente incaricato di scrivere il futuro della Repubblica popolare cinese. Mettendo nero su bianco teorie e ideologie che il Partito Comunista Cinese (PCC) provvederà a mettere in pratica con politiche idonee al loro conseguimento.
Il signor Wang è stato riconfermato nel ruolo di membro della potente Commissione permanente del Politburo, il massimo organo decisionale cinese di sette persone (Xi compreso) che riunisce gli alti funzionari più importanti del Paese. Secondo il SCMP potrebbe ritrovarsi anche a capo dell’Assemblea nazionale del popolo, e cioè la legislatura cinese, solitamente guidata dal secondo o terzo funzionario del partito, e dotata di un grande peso politico.
Questa notizia sottolinea, o meglio rafforza, un aspetto chiave della nuova era di Xi: l’ideologia è tornata a occupare un posto di rilievo. O forse, in Cina, non se n’è mai andata.
Wang Huning è nato a Shanghai il 6 ottobre 1955 anche se le sue origini sono da ricercare nella provincia dello Shandong, la terra di Confucio. Come molti degli attuali dirigenti cinesi ha dovuto fare i conti con la turbolenta epoca maoista. Il padre, ad esempio, subì persecuzioni nei feroci anni della Rivoluzione Culturale. Il giovane Wang riuscì tuttavia a formarsi presso la Shanghai Yongqiang School per poi diplomarsi nel 1972. Divenne apprendista operaio per tre anni e, in seguito, evitò la dura rieducazione nei campi.
Studiò quindi lingua francese come parte del corso di formazione per quadri presso la Shanghai Normal University (1972–77) e frequentò la Fudan University di Shanghai (1978–81), seguendo il programma in politica internazionale. Qui ricevette inoltre una laurea magistrale in giurisprudenza (1981). È stato successivamente visiting scholar negli Stati Uniti presso la University of Iowa, University of Michigan e l’Università della California a Berkeley (1988–89). È stato il più giovane professore associato, specializzato in relazioni internazionali, presso la Fudan University, posizione raggiunta all’età di soli 30 anni.
Negli Stati Uniti, durante la sua permanenza, trovò molto da criticare ma anche molto da ammirare: dalle università statunitensi al grado di innovazione raggiunto dal Paese, passando per la fluidità attraverso il quale il potere passava da un presidente all’altro. Già noto studioso in patria e autore di molteplici articoli approvati dal PCC (del quale faceva parte dal 1984) Wang, all’epoca 32enne, scrisse che il capitalismo non poteva “essere sottovalutato”.
Wang si trasferì a Pechino nel 1995 e prestò servizio come capo della Divisione Affari Politici del Centro centrale di ricerca sulle politiche (CPRC) del Comitato centrale del PCC (1995–98), seguito dalla carica di vicedirettore del CPRC (1998–2002). Fu eletto per la prima volta nel Comitato Centrale come membro a pieno titolo al 16esimo Congresso del Partito nel 2002.
Nel 2017, e dopo aver guidato il Central Policy Research Office, un think tank del partito, per 15 anni, Wang ha effettuato un altro grande salto diventando un membro del 19esimo Comitato Permanente del Politburo. Ma questa è soltanto la punta dell’iceberg più visibile agli occhi degli osservatori internazionali. Nel frattempo, infatti, lo studioso era riuscito a ritagliarsi uno spazio di azione sempre più grande, seppur da dietro le quinte.
Non a caso Wang è considerato “il cervello dietro il trono” della politica cinese. A lui è stato attribuito il merito di essere uno degli architetti, se non il principale, del concetto di “sogno cinese” di Xi Jinping, una visione ampiamente promossa dall’attuale presidente per il ringiovanimento della civiltà cinese. Ma Wang ha plasmato la politica cinese ancora più a fondo, risultando l’artefice dei concetti chiave sbandierati dai due predecessori di Xi: la “Teoria delle tre rappresentanze” di Jiang Zemin e la “Prospettiva scientifica sullo sviluppo” di Hu Jintao.
Come detto, Wang è il demiurgo del pensiero di Xi. Ha accompagnato le idee del presidente, fino a farle inserire prima nello Stato del PCC, poi pure nella Costituzione. L’intelligenza di questo pensatore è fuori discussione, altrimenti difficilmente sarebbe riuscito a sopravvivere a ben tre presidenti cinesi, occupando per altro posizioni rilevanti.
È difficile trovare le giuste parole per tratteggiare il profilo di Wang, un ibrido tra accademico, politico, consigliere per le politiche nazionali, ghost writer dei discorsi presidenziali e pure suo teorico. “Immaginate un intelletto di Henry Kissinger combinato con la resistenza di Margaret Thatcher“, ha scritto di lui, qualche anno fa, il Washington Post.
Chi lo conosce lo descrive come una persona pacata, calma e mite. Accompagna spesso Xi nelle visite di stato e nei viaggi d’ispezione e, oltre ad essere un ideologo (ricordiamo che è un allievo di Chen Qiren, tra i massimi studiosi del Capitale di Marx), Mister Wang è un esperto di relazioni internazionali. A capo dell’Assemblea nazionale del popolo diventerebbe il mandante della realizzazione della grande strategia illustrata da Xi durante l’apertura del XX Congresso del PCC.
Le idee di Xi, di Hu Jintao e di Jiang Zeming sono le stesse che Wang maneggiava, anche se in forma embrionale, da giovane, e sono le stesse che gli hanno consentito di diventare una sorta di suggeritore presidenziale.
Più in generale Wang è considerato l’esponente del cosiddetto neo-autoritarismo, termine indicato per delineare un sistema politico nel quale la stabilità politica è alla base dello sviluppo. Tutto il resto, dalla democrazia in senso occidentale alle varie libertà individuali, sempre nell’accezione occidentale, arriveranno in un secondo momento. Certo, sempre se le condizioni lo renderanno possibile.
Tralasciando la sua tesi di laurea (“Da Bodin a Maritain: sulle teorie della sovranità sviluppate dalla borghesia occidentale“), Wang può vantare una nutrita pubblicazione editoriale, tra articoli e libri. Negli anni ’80 sosteneva che un governo centralizzato sarebbe stato in grado di mantenere la stabilità e guidare la crescita, espandendo i suoi principi democratici interni strada facendo.
Con l’articolo “Analisi sulle vie della leadership politica durante il processo di modernizzazione“, pubblicato per la prima volta nel 1986, Wang fu notato da Jiang, che divenne presidente nel 1989. In questo periodo l’accademico trascorse sei mesi negli Stati Uniti, dove scrisse un libro intitolato America Against America, oggi ricercatissimo e pressoché introvabile. “Il sistema americano è generalmente basato sull’individualismo, l’edonismo e la democrazia, ma sta chiaramente perdendo terreno rispetto a un sistema di collettivismo, altruismo e autoritarismo. Forse gli americani preferirebbero perdere economicamente piuttosto che rinunciare al loro sistema”, scriveva Wang nel capitolo su come gli Stati Uniti sono stati sfidati economicamente dal Giappone. La sua prossima sfida: accompagnare Xi almeno nei prossimi cinque anni.