Chi è Valerie Pécresse

Fautrice di una destra popolare e solidale, la candidata repubblicana all’Eliseo Valerie Pécresse è ascesa nel 2021 come il nuovo volto del mondo gollista francese. Oppositrice del centrodestra a Emmanuel Macron nel corso delle elezioni del 2022, nel primo turno del voto è stata però solo la terza figura di destra più votata, dietro alla candidata sovranista Marine Le Pen e all’outsider Eric Zemmour, sfidanti nella corsa al trono repubblicano di Francia.

Nata Valerie Roux nel 1967 a Neuilly-sur-Seine, cittadina dell’hinterland borghese di Parigi, figlia di Dominique Roux, ex presidente di Bolloré Telecom, e nipote per ramo materno di Louis Bertagna, psichiatra, cattolico e combattente della resistenza, ospitò il giornale Témoignage chrétien, pubblicato clandestinamente durante l’occupazione, la Pécresse è cresciuta fin da giovane in un mondo strettamente legato al contesto politico repubblicano francese.

Giovane viaggiatrice, ha imparato il russo a 15 anni nel campo estivo dei Pionieri, un’organizzazione giovanile comunista, a Jalta e ha studiato alcuni anni dopoi il giapponese durante un soggiorno a Tokyo, dove si guadagnava da vivere vendendo videocamere e liquori. Ha acquisito il cognome attuale dopo il matrimonio con Jérôme Pécresse, che è stato Vicepresidente Esecutivo di Alstom e Presidente di Alstom Renewable Power, concluso nel 1994 da cui sono nati tre figli.

Cattolica praticante, poliglotta, la Pécresse si è formata studiando economia alla prestigiosa università HEC Paris, prima di specializzarsi all’Ecole Nationale di Administration, la fucina della classe dirigente della Repubblica francese.

Vicina da sempre al mondo della destra repubblicana e gollista francese, dopo essersi classificata seconda per voti nel 1992 nella sua classe del’Ena la Pécresse ha lavorato al Consiglio di Stato fino e insegnato diritto costituzionale a Sciences Po Parigi per 6 anni, fino al 1998, per poi essere scelta da Jacques Chirac, allora in carica nel suo primo mandato all’Eliseo, come consigliera politica.

Nel quadro del riassestamento del mondo gollista, nel 2002 la Pécresse entrò a far parte nel neocostituito partito dell’Unione per un movimento popolare (Ump), fondato da Chirac, predecessore degli odierni Republicains. Alle elezioni legislative del 2002 è stata eletta per la prima volta deputata nella sua circoscrizione delle Yvelines, incarico ricoperto fino al 2007 e nel quale è stata poi riconfermata nel 2012. Nel mandato centrale, contraddistinto dalla presidenza di Nicolas Sarkozy, ha ricoperto invece importanti incarichi amministrativi. Nel primo e secondo governo Francois Fillon la Pécresse, soprannominata Bébe Chirac è stata ministro dell’Istruzione superiore e della Ricerca, dal 2007 al 2011, promuovendo la riforma dell’autonomia delle università.

Nel 2010 diventa presidente del gruppo Ump al consiglio regionale dell’Ile de France, dove ha tentato una candidatura come presidente, arrivando in testa al primo turno con il 27,7% ma venendo battuta al secondo turno dal socialista Jean-Paul Huchon.

Nel 2011 divenne Ministro del Budget nel terzo governo Fillon, durato fino alla sconfitta alle presidenziali di Sarkozy nel voto della primavera successiva contro François Hollande. Fu il governo che impostò l’asse con Angela Merkel e la Germania per promuovere il controllo saldo dei conti pubblici dei Paesi dell’Eurozona ritenuti a più alto debito pubblico, come l’Italia, processo in cui la Pécresse svolse un ruolo primario confrontandosi con il “falco” delle finanze tedesche, Wolfgang Schauble.

Con l’ampliamento dell’Ump ai Republicains nel 2015 la Pécresse si fa da subito esponente dell’ala moderata del partito e riesce a riscattare la sconfitta di cinque anni prima, diventando governatrice della regione che comprende Parigi.

Nel quadro dei Republicains la Pécresse ha criticato il tentativo di inseguire a destra Marine Le Pen e il Front National, perorando la difesa della tradizione conservatrice e patriottica degli eredi del generale de Gaulle contro ogni volontà populista. L’ascesa di Emmanuel Macron e la disfatta alle presidenziali del 2017, che hanno visto Fillon candidato ed escluso dal ballottaggio, hanno ulteriormente convinto la Pécresse di questa necessità. L’ex ministro, che aveva sostenuto il sindaco di Bordeaux Alain Juppé alle primarie del centrodestra, ha lasciato Les Républicains il 5 giugno 2019, in seguito allo scarso punteggio ottenuto dalla lista LR-LesCentristes alle elezioni europee e prima dello svolgimento di un’elezione per la presidenza del partito in cui cui era candidata dopo anni di polemica contro il segretario Laurent Wazquiez, esponente dell’ala più destrorsa del partito.

L’esperienza di governo e la vittoria alle elezioni del giugno 2021 che l’hanno vista riconfermata alla guida di una regione che prima della sua ascesa aveva visto diciassette anni di egemonia socialista hanno riproiettato la Pécresse in orbita in vista del voto per l’Eliseo nel 2022. Per sfidare Macron e la Le Pen nell’estate 2021 ha cominciato a muoversi Eric Zemmour, autore di una svolta a destra dell’opinione pubblica francese a cui, nei limiti del possibile, la Pécresse si è adeguata riprendendo la tessera del partito nell’ottobre 2021 in modo tale da partecipare alle primarie per la nomination nella corsa all’Eliseo. Ritenuta, assieme al deputato nizzardo Eric Ciotti, politico di area ultra-conservatrice, l’outsider in una corsa che vedeva come favoriti il capo negoziatore della Brexit Michel Barnier e il front-runner Xavier Bertrand la Pécresse è uscita sorprendentemente vincitrice.

Il suo segreto è stata una mossa politica lungimirante volta a capire la necessità di ricomporre un partito di cui è stata, a sua volta, una fuoriuscita. Per assecondare la svolta a destra dell’opinione pubblica Pécresse è giunta a proporre un’agenda più dura in termini di contrasto al crimine, difesa dell’identità nazionale e repressione dell’immigrazione clandestina e dell’estremismo islamista, definito “il grande totalitarismo del XXI secolo”. Posizioni che Ciotti ha da tempo difeso con forza, arrivando perfino a non ritenere improbabile il dialogo col Rassemblement National, e che anche un gollista più classico quale Barnier ha in passatto appoggiato.

Cattolica convinta, partecipante alla Manif pour tous, la protesta contro il matrimonio omosessuale voluto da François Hollande, Pécresse da presidente dell’Ile-de-France ha però ricordato la necessità di essere rappresentante di tutta la base elettorale e più volte ha finanziato il Gay Pride ritenendo, a sua detta, di non voler fomentare scontri. Questo la porta a essere ritenuta la più apprezzata candidata anche nel campo liberale e meno conservatore del partito.

Sul fronte economico, posizionandosi con chiarezza a destra, attaccando Macron accusandolo di oscillare ipocriticamente muovendosi a “zigzag” tra destra e sinistra, la Pécresse ha unito un’anima giacobina e centralista a un’apertura all’alleggerimento del peso politico della burocrazia, non sposando però la svolta neoliberista che in passato Sarkozy aveva accarezzato. Anzi, ha dichiarato di volere in caso di elezione contrastare “la globalizzazione senza regole” ma anche di mirare alla costruzione di posti di lavoro ben pagati spingendo sull’aumento dei salari e i tagli delle tasse i fondi legati a molti ammortizzatori sociali.

In sostanza, come ha scritto Il Sussidiario, in vista delle presidenziali la Pécresse ha deciso di “concentrare le sue frecce su Macron mentre, come presidente della regione, applica una politica classica di destra più vicina a Macron che alle idee di Zémmour o di Marine Le Pen. Il sistema” elettorale francese “spinge ogni candidato ad essere più duro con i suoi vicini ideologici che con quelli che sono più lontani”, ma questo è risultato un mix strategicamente vincente per conquistare la nomination. Seconda, a sorpresa, dietro Ciotti, vincitore del primo turno, nel dicembre 2021 la Pécresse ha conquistato il sostegno degli esclusi eccellenti dal ballottaggio dei Republicains, Bertrand e Barnier, vincendo col 61% il secondo round. E avviando dunque la corsa all’Eliseo in cui la candidata che si definisce “due terzi Merkel, un terzo Thatcher” e che mira a costruire una destra popolare e solidale ha puntato a diventare la prima presidente donna di Francia. Le contingenze però hanno giocato nettamente a suo sfavore.

I primi sondaggi apparivano convincenti per la candidata gollista. Data stabilmente tra il 15 e il 20% nelle intenzioni di voto la Pécresse è stata indicata come il rivale più ostico per Emmanuel Macron in vista di un possibile ballottaggio.

Diversi sondaggi davano in effetti molto aperta la sfida tra il Macron “identitario” e la sfidante gollista: Elabe, a gennaio, la riteneva in grado di prevalere col 52% contro il 48% di Macron in un ballottaggio. Tuttavia, il fatto di doversi confrontare col grande pubblico nazionale ha presto fatto evaporare questa illusione. Pécresse è stata considerata da tutti gli analisti una politica preparata, seria, intelligente e tenace, ha scritto l’Economist, ma ha peccato in campagna elettorale rivelandosi molto conformista e priva di carisma. Incapace di mantenere la sua linea classica senza apparire forzata quando ha provato a inseguire, su alcuni temi, i candidati più estremisti.

Il conflitto in Ucraina ha fatto il resto, permettendo a Macron di sottrarre ai gollisti le parole d’ordine moderate e patriottiche e mettendo di fatto fuori gioco la Pécresse. “Timorosa  della popolarità di Zemmour nel campo post gollista”, ha dichiarato Marco Valle a Barbadillo, la Pécresse non ha perso occasione per “esibire il suo occidentalismo assoluto e accusare il rivale di sulfuree simpatie per la Russia putiniana sino al punto da chiamarlo pubblicamente Vladimir Zemmour”. Ma così facendo non ha colto la possibilità di combattere per l’interesse nazionale francese facendo fare a Macron il gioco di escluderla dalla tutela del suo elettorato con la sua strategia politica.

Questo si è riverberato sull’esito del voto. Data in declino nei sondaggi tra febbraio e marzo fino a scendere attorno al 10% la Pécresse ha finito per vedere la sua candidatura schiantarsi e raccimolare solo il 4,9% alle elezioni del 10 aprile. “La destra di governo, secondo pilastro del vecchio mondo politico, è scoppiata con un doppio movimento centrifugo: un quarto degli elettori di Fillon”, candidato nel 2017, “è passato con Macron, un quarto con Eric Zemmour e Le Pen” ha sottolineato il responsabile dell’Istituto francese del sondaggio di opinione Jèrome Fourquet a Le Figaro. Il voto potrebbe aver cancellato definitivamente le prospettive politiche dei Repubblicani. E per un combinato disposto di errori e problematiche esterne a farne le spese è stata proprio la donna che avrebbe dovuto trascinarli a nuovi fasti. Non riuscendo però a governare l’onda della politica nazionale in continuo stravolgimento.

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