Chi è Valdis Dombrovskis, il falco di Riga

“Falco tra i falchi” a favore del rigore e dell’austerità, Valdis Dombrovskis, Commissario europeo e vicepresidente della Commissione dal 2014 ha avuto le deleghe all’Euro (2014-2019), i servizi finanziari (2016-2020) e il commercio (dal 2020 a oggi).

Nato a Riga da genitori polacchi nel 1971 – quando il suo Paese faceva ancora parte dell’Unione Sovietica – Dombrovskis può essere considerato attualmente il più influente politico della Lettonia, Paese di cui è stato primo ministro dal 2009 al 2014.

Marcatamente europeista e contraddistintosi negli ultimi anni per il suo rigore nel rispetto delle normative europee e dei vincoli di bilancio, è stato il vice di Jean-Claude Junker e successivamente di Ursula Von der Leyen a Palazzo Berlaymont.

Contraddistintosi sin dalla giovane età per il suo amore verso l’Europa maturato grazie agli studi universitari condotti in Germania, ricopre il suo primo incarico politico nel 2002 (all’età di “soli” 31 anni) al ministero delle finanze della Lettonia sotto Einars Repse. Quindi, nel 2009, viene invece nominato per la prima volta premier del Paese, incarico che condurrà sino al 2014, prima di iniziare ufficialmente la sua carriera negli alti palazzi di Bruxelles.

Date le sue attitudini alla mediazione, Dombrovskis ha negli anni ricoperto in Europa incarichi di delegazione per le relazioni con i Paesi sudamericani e con i Paesi asiatici facenti parte dell’ex-Unione sovietica. E in modo particolare, durante queste sue esperienze ha messo in evidenza quella che è la sua visione di Europa cosmopolita ed aperta alle nuove realtà internazionali: elemento questo che lo ha messo con il tempo in buona luce agli occhi di Junker.

La sua estrema costanza, i suoi ideali comunitari e il pragmatismo con il quale ha svolto il suo operato lo hanno condotto nell’autunno 2014 (lo stesso anno in cui si dimise dal ruolo di Primo ministro della Lettonia) a raggiungere i vertici delle gerarchie di Bruxelles, con il ruolo di vicepresidente della Commissione Junker. Contraddistintosi quindi sin da subito per le sue affinità con il politico tedesco, nel 2016 ha assunto anche la regia della Commissione europea alla stabilità finanziaria, compito che lo ha reso al contempo una delle persone più stimate e una delle figure più criticate dell’intera ultima gestione Junker – facendogli guadagnare l’appellativo di “falco”.

Nel corso degli anni, infatti, Dombrovskis è stato uno dei più grandi sostenitori del rigorismo, scontrandosi in molte occasioni anche con i governi italiani a seguito delle richieste di sforamento dei budget di bilancio. E quasi in ogni circostanza, tutte le sue osservazioni espresse nei riguardi del Documento di economia e finanza (Def) sono state prese quasi per intero in considerazione.

A seguito della candidatura e della nomina a presidente della Commissione europea di Ursula Von der Leyen, Dombrovskis è stato riconfermato  nel ruolo di vicepresidente, portando avanti così il suo lavoro iniziato nel 2014 sotto Junker. Sotto questo aspetto, dunque, la sua figura più di qualsiasi altra cosa ha confermato la continuità degli indirizzi tenuti dal politico lussemburghese, appesantendo però i rapporti con i Paesi più in difficoltà dell’Eurozona – situazione palesatasi soprattutto in sede di discussione del Meccanismo europeo di salvaguardia e del Recovery Fund.

Oltre al ruolo di vicepresidente con delega al dialogo sociale ed all’Euro – posizioni ricoperte già nel precedente lustro – il 27 agosto 2020 ottiene anche il ruolo ad interim al Commercio, in seguito alle dimissioni del politico irlandese Phil Hogan per uno scandalo che ha colpito la sua persona.

Come sottolineato precedentemente, nel corso degli anni Dombrovskis si è contraddistinto soprattutto per le sue volontà nel far rispettare i pilastri fondanti sociali ed economici dell’Unione europea: anche a costo di andare contro le esigenze dei singoli Paesi. E in questo scenario, infatti, più di una volta è giunto ai ferri corti soprattutto con Roma, Madrid e Atene per spingere i Paesi a rispettare i vincoli di bilancio ed evitare il compiersi di manovre in deficit.

Ma che cos’è davvero il rigore proposto dal politico lettone? In parole povere, si tratta di quel comportamento tenuto dalle gerarchi politiche attuali dell’Europa che intendono rispettare e far rispettare quelli che sono stati i trattati, gli accordi e le dichiarazioni d’intenti sulle quali si fonda l’Unione europea. In modo particolare, per quanto riguarda i vincoli di bilancio e la ripartizione della spesa pubblica dei singoli Paesi, elemento questo che ha sempre attirato l’attenzione degli statisti di Bruxelles. Sotto questo aspetto, dopotutto, lo stesso Dombrovskis può considerarsi il vero teorico di questa linea di pensiero e che, dall’alto dei ruoli ricoperti durante i suoi mandati, maggiormente ha incarnato i “valori” del rigorismo e che gli sono valsi l’appellativo di “falco” che ormai da anni si porta appresso.

Per Dombrovskis le regole sono il fine, prima ancora che il mezzo, per un’Europa coesa e che eviti fughe in avanti e problemi di sistema tra i suoi Paesi membri. Al contempo, le regole e il Patto di Stabilità sono state considerate a lungo strumento del controllo della Commissione sui Paesi membri. E dunque strumento di valorizzazione del peso di Dombrovskis come alto funzionario e della Lettonia come Paese con un ruolo in Europa.

Dombrovskis legittima nella Commissione la linea della Nuova Lega Anseatica di cui Riga fa parte, l’alleanza pro-rigore, mercantilista e austeritaria guidata dall’Olanda e che si oppone a un’Unione più stretta sul piano delle regole fiscali e dello sdoganamento del debito comune.

In quest’ottica, una particolare attenzione è stata data ai Paesi mediterranei, Italia in particolare. Anche dopo aver “congelato” per conto della Commissione le regole su deficit e aiuti di Stato nel 2020 a causa dell’esplosione del Covid-19 Dombrovskis ha più volte ricordato il monito di pensare alla fine dell’emergenza e in un biennio di governo della risposta emergenziale mediata dal Recovery Fund non ha cessato i suoi appelli pro-rigore. Che l’Italia conosce bene.

 

Già nel 2015 con un ammonimento (“vigileremo”) Dombrovskis aveva accompagnato il via libera della Commissione al Documento di Economia e Finanza del governo Renzi che preparava una svolta rispetto al target di riduzione del debito pubblico e del rapporto deficit-Pil di Roma. Fu l’avvisaglia di un braccio di ferro tra Bruxelles e Roma spinto più volte dal falco lettone, che ha sviluppato negli anni una vera e propria ossessione per l’Italia. Nel 2018 la coalizione gialloverde Lega-M5S che sosteneva il primo esecutivo di Giuseppe Conte trovò in Dombrovskis, assieme a Pierre Moscovici, un critico della manovra e della scelta di portare al 2,4% del Pil il deficit. Prima di negoziare con Roma il deficit al 2,04% Dombrovskis si distinse per attacchi scomposti a mercati aperti contro una manovra definita una “deviazione senza precedenti dalle regole del Patto di Stabilità”.

Il sottostante tecnico degli attacchi di Dombrovskis erano regole come l’output gap che presuppongono l’esistenza di un Pil e di un deficit “ottimali” oltre cui non salire e che, sulla base di arbitrarietà tecniche, impongono un freno d’emergenza al debito e alla spesa pubblica qualora il Pil…crescesse troppo! Paradosso dei paradossi austeritari, già smontato da Piero Sraffa decenni fa, a cui però la Commissione Ue ha spesso messo in mano i suoi processi economici.

La manovra M5S-Lega  si sarebbe poi rivelarta, nonostante gli allarmi di Dombrovskis sul combinato disposto reddito di cittadinanza-Quota 100, molto meno impattante delle finanziarie precedenti sui conti pubblici.

Ma con la caduta dell’esecutivo “populista” e il ritorno dell’europeista Partito Democratico al governo al fianco del Movimento Cinque Stelle Dombrovskis non cessò certamente i suoi attacchi a Roma. Mentre prendeva forma la Commissione von der Leyen, nel settembre 2019, il governo Conte II da poco insediatosi con dichiarazioni trionfanti di palingenesi e rinnovamento europeista fu subito colpito dalla doccia gelata del “commissariamento” di Paolo Gentiloni, ex premier nominato Commissario agli Affari Economici.

Chi commissariò Gentiloni? Nientemeno che Dombrovskis. Scelto da Ursula von der Leyen come suo vice e coordinatore di tutti i dicasteri economici di Palazzo Berlaymont. Dunque superiore gerarchico di Gentiloni. Mentre al contempo Conte e Roberto Gualtieri ricevevano come risposta picche alla volontà di un extradeficit in Europa.

Neanche Mario Draghi ha potuto in virtù del suo standing evitare le bordate di Dombrovskis durante il suo mandato da presidente del Consiglio. A maggio 2022, parlando con La Stampa, Dombrovskis ha ammonito sul fatto che i ristori energetici potevano gravare i conti pubblici italiani e ammonendo Draghi: “l’Italia limiti la crescita della sua spesa corrente”, ha dichiarato alla testata torinese, ventilando la procedura di infrazione sui conti pubblici. Ammonimenti a inizio 2023 anche per Giorgia Meloni a procedere sulla strada dei ristori energetici in forma “temporanea e mirata” e a ridurre il debito.

Un altro fronte apertosi per Dombrovskis nel 2022 è stato quello dell’Inflation Reduction Act promosso dall’amministrazione americana di Joe Biden.

Gli Stati Uniti, dopo il Covid e l’invasione russa dell’Ucraina, hanno da un lato deciso di mantenere una stretta vicinanza all’Europa sul sostegno militare a Kiev e dall’altro potenziato nel corso di tutto il 2022 il potenziamento della politica industriale per rilanciare gli investimenti in tecnologie critiche e semiconduttori attraverso l’Ira. Definito da Bruxelles una vera e propria “guerra economica”.

Le sovvenzioni Usa alle industrie operanti sul suolo americano su auto elettrica, energia pulita e altri settori sono risultate un punto saliente delle discussioni in seno al Consiglio “Commercio e tecnologia” dei partner transatlantici tenutosi nel dicembre 2022 a Washington. In tale sede von der Leyen ha incaricato Dombrovskis, in virtù delle deleghe al Commercio, di operare la strutturazione della strategia comunitaria.

Il “falco” di Riga ha cercato un confronto diretto con il segretario di Stato americano Tony Blinken. La decisione Usa di andare avanti con l’Ira ha spinto la Commissione a varare il Green Industrial Plan. Anche Dombrovskis, fautore dell’uso della tecnica a fini politici, ha scoperto la discrezionalità delle sfide di sistema. Ne sarà all’altezza? Da una Commissione nata col mito del rigore dipende il futuro di politiche economiche per la crescita che dovranno governare un nuovo paradigma. Di cui è difficile capire se il falco di Riga sia pienamente consapevole.

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