Tedros Adhanom Ghebreyesus, nato nel 1955, è l’attuale direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità ed è divenuto una delle figure più esposte mediaticamente e politicamente su scala globale nella fase dell‘epidemia di coronavirus. Di nazionalità etiope Tedros è nato nell’attuale capitale eritrea di Asmara, allora parte del territorio di Addis Abeba, e ha dedicato alla medicina la sua carriera dal 1986, anno della conquista della laurea all’Università di Asmara, per poi specializzarsi tra Londra e Nottingham studiando la diffusione di una malattia piaga endemica per il suo Paese: la malaria.
Nel 1986 l’Etiopia conosceva la fase finale dell’egemonia del Derg, la giunta militare marxista-leninista che nel 1974 aveva detronizzato Haile Selassie, ultimo negus dell’Etiopia imperiale. E proprio negli apparati sanitari del Derg Tedros fece la sua prima esperienza lavorativa ed istituzionale, entrando come analista nel team del ministero della Salute. Il deterioramento del regime del dittatore Mengistu Haile Mariam spinse Tedros a cercare lidi più sicuri negli studi londinesi, dove sviluppò una carriera che lo avrebbe portato a pubblicare articoli su Annals of Tropical Medicine and Parasitology, The Lancet, Nature e Parasitologia e da cui sarebbe tornato solo nel 2001. Questo non impedì a Tedros di sostenere attivamente organizzazioni anti regime come il Tigray People’s Liberation Front, che ebbe un ruolo decisivo nell’abbattimento di Mengitsu nel 1991.

Quell’anno Tedros fu scelto come capo dell’ufficio medico dello Stato etiope del Tigrè, ai confini con l’ora indipendente Eritrea. Da tecnico Tedros guidò una campagna di lotta all’Aids, alla meningite e alla malaria che gli valse la cooptazione a un ruolo politico nel 2003, con la nomina a viceministro della Salute del governo etiope.
Dal 2005, con l’ascesa al governo di Meles Zenawi, Tedros occupò il vertice del dicastero, venendo nominato ministro. In carica dal 2005 al 2012, Tedros adottò la International Health Regulation (Ihr) dell’Oms in modo tale da prevenire lo sviluppo di malattie epidemiche, promuovere l’utilizzo dei vaccini e provvedere una risposta di salute pubblica ai contagi uniformando procedure e processi. Gavi, l’alleanza mondiale per i vaccini, ha apprezzato gli sforzi in tal senso di Tedros; gli Stati Uniti hanno premiato, tramite la National Foundation for Infectious Diseases, Tedros con il Jimmy and Rosalynn Carter Humanitarian Award, che è diventato il primo non americano a conquistare nel 2011.
I progressi della salute etiope nell’era Tedros sono stati definiti “impressionanti“. L’organico degli ospedali aumentò di 30mila unità tra il 2005 e il 2008, la mortalità infantile declinò da 123 a 88 morti per mille nati vivi; il governo etiope portò avanti massicce campagne di sensibilizzazione e contrasto contro Aids, tubercolosi e altre malattie infettive, rafforzando anche il contrasto alla malaria. La percentuale di sieropositivi nelle aree rurali è scesa dal 2005 dal 4,2% allo 0,6% della popolazione.
Non sono mancate anche delle aspre critiche a Tedros, specie sul fronte interno, come sottolineato dal Telegraph, che ha parlato di tre focolai epidemici di colera (2006, 2009, 2011) scoppiati in Etiopia e che il governo avrebbe voluto insabbiare.
Amico dei Clinton e di Bill Gates, apprezzato negli Stati Uniti e in Occidente, Tedrosfu scelto nel 2012 come nuovo ministro degli Esteri, in quanto forte di solide relazioni globali. In questo contesto, Addis Abeba si è posta in prima linea per fornire sostegno politico ai Paesi africani colpiti dall’Ebola nel 2014 e ha amplificato i rapporti con la Cina, che dal 2000 in avanti ha prestato oltre 12 miliardi all’Etiopia per la realizzazione di infrastrutture, ospedali e impianti e ha aumentato la cooperazione bilaterale. Tedros, da ministro degli Esteri, sostenne la crescita degli scambi bilaterali fino a 3,8 miliardi di dollari nel 2015 e la partecipazione cinese alla partita della geopolitica dell’acqua che vedeva il Paese protagonista con progetti di dighe volte a rendere più serrato il suo controllo sul Nilo.
Tedros ha dovuto più volte confrontarsi con le autorità di Egitto e Sudan per il progetto della Grand Ethiopian Renaissance Dam, la maxi-diga sul Nilo Blu che Addis Abeba vuole trasformare nella più grande riserva di energia idroelettrica dell’Africa e che gli altri Paesi vedono come una minaccia alla loro sicurezza idrica.

Forte del ruolino di marcia da ministro, Tedros divenne la figura di riferimento su cui converse il sostegno dei Paesi africani e del mondo in via di sviluppo quando, nel 2016, il suo nome emerse come candidato alla guida dell’Oms per le elezioni del 2017. Fu in questo momento che sulla figura di Tedros conversero il sostegno politico cinese, le ambizioni etiopi per un “posto al Sole” tra i Paesi emergenti e la compattezza dell’Unione africana nel puntare ad ottenere per il continente un ruolo di tale importanza.
Il 23 maggio Tedros fu eletto a larghissima maggioranza, ottenendo 133 voti su 185, superando il britannico David Navarro avente il sostegno di Usa e Canada, in una contesa che segnò la prima manifestazione della grande influenza di Pechino in seno all’Onu.
L’ottavo direttore dell’Oms si insediò il primo giorno di luglio del 2017. Alla guida dell’Oms Tedros ha supervisionato la risposta alle nuove epidemie di ebola in Africa, ha indicato la crescita delle politiche di sanità unviersale come una top priority del suo mandato e imposto all’organizzazione una svolta “terzomondista”: poco prima della sua destituzione, ad esempio, ha nominato il contestatissimo presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe come ambasciatore dell’Oms.

Sotto la lente d’ingrandimento sono anche i legami tra i fondi dell’Oms e i finanziamenti earnmarked, ovvero vincolati a obiettivi precisi di spesa o a programmi ad hoc, da parte di aziende farmaceutiche o gruppi come Gavi, l’alleanza vicina alla Bill and Melinda Gates Foundation. Come ha scritto il British Medical Journal, “nel 2017 l’ 80% dei fondi ricevuti dall’ agenzia Onu era earmarked“. Tra i finanziatori dell’Oms, “a fare la parte del leone è la creatura di Bill Gates: la Bill & Melinda Gates Foundation (che vanta un patrimonio da 40 miliardi di dollari) ha destinato all’Oms quasi 444 milioni nel 2016, di cui circa 221 vincolati e quasi 457 milioni nel 2017, di cui 213 vincolati a programmi specifici”, con conseguenti asimmetrie, ad esempio, tra la lotta alla polio, malattia oramai debellata ma finanziata con quasi 900 milioni di dollari, e quella all’Aids, che riceveva fondi dieci volte inferiori.
La fama mondiale di Tedros è associata però allo scoppio della pandemia di Covid-19, in cui l’Oms ha assunto un ruolo di portata globale. Il 31 gennaio 2020 l’Oms ha lanciato l’emergenza sanitaria globale per la potenziale diffusione del coronavirus su scala planetaria, dichiarandola poi una pandemia l’11 marzo successivo.
La pandemia era già stata dichiarata un’emergenza sanitaria dalla Cina l’11 gennaio 2020, mentre al momento del lancio dell’allarme il virus aveva invaso 19 Paesi e infettato oltre 8mila persone. Allora Tedros non aveva ancora idea della possibilità di una dilagante infiltrazione mondiale del contagio, dato che ancora la prima settimana di febbraio le sue dichiarazioni erano ottimistiche sul fatto che il mondo non dovesse porre in essere misure restrittive su viaggi, trasporti e commercio per contenere il contagio.

Sul tema della pericolosità del Covid-19 Tedros ha preso una posizione netta solo dal summit dell’Oms sulla nuova malattia tenutosi l’11 febbraio, quando ha dichiarato: “il virus”, allora col 99% dei casi concentrati in Cina, “è una grave minaccia anche per il resto del Mondo”. Come riporta Quotidiano Sanità, molte domande allora poste dall’Oms sarebbero diventate di dominio pubblico globale in poche settimane: “Quali sono le dinamiche di trasmissione? Qual è il periodo di contagiosità? Quali campioni devono essere utilizzati per la diagnosi e il monitoraggio del trattamento? Qual è il modo migliore per gestire i casi di malattia grave? Di quali questioni etiche dobbiamo essere consapevoli nel modo in cui facciamo le nostre ricerche?”.
L’Oms ha messo in campo una sezione di reportistica quotidiana sul coronavirus e ha finalmente accettato la possibilità di una diffusione globale del contagio, non arrivando però a dare sempre risposte funzionali alle domande precedentemente esposte. Le prime linee guida dell’Oms, ad esempio, non prevedevano il tamponamento a tappeto dei contatti dei contagiati ritrovati positivi, nè strategie preventive di medicina domiciliare adottate, ad esempio, da enti come la regione Veneto in Italia. Più corretta, invece, la scelta di separare i pazienti Covid-19 dai degenti negli ospedali ordinari, tratto dall’esperienza cinese come fa notare il Post: e proprio attorno ai rapporti tra Tedros e la Cina sono sorte diverse critiche all’operato del direttore dell’Oms. Le mancanze dell’Oms nella gestione della pandemia sono state notevoli e possono essere divise in due categorie: leggerezze sanitarie e oscillazioni politiche.
Il 12 gennaio 2020 la Cina rende pubblicamente disponibile la mappa genomica del Sars-Cov2 sequenziato negli ospedali di Wuhan, dove la portata dell’epidemia stava venendo rapidamente a galla. L’Oms ha però aspettato venti giorni prima di lanciare l’allarme, iniziando una serie di ritardi e debolezze che sono emersi a più riprese nel corso delle settimane e hanno debolito l’accountability dell’organizzazione su scala globale.
Il 14 gennaio l’Oms rileva che, a seguito delle prime indagini, andrebbe esclusa la possibilità di un contagio da uomo a uomo per il Sars-Cov2. Il 22 gennaio, invece, viene esclusa da una conferenza sulla nuova malattia la delegazione di Taiwan, poi rivelatosi un esempio nel contrasto al coronavirus. “Lo scorso 31 dicembre”, si scriveva su Inside Over, “il Paese ha iniziato a monitorare i viaggiatori provenienti da Wuhan; l’8 febbraio ha invece chiuso i confini ai cittadini cinesi. […] Le aziende hanno ricevuto l’ordine di incrementare la produzione di mascherine; applicazioni e big data hanno fatto il resto, tracciando i soggetti contagiati e controllando che i pazienti a rischio restassero chiusi in casa. Morale della favola: pochi casi e niente quarantene di massa”.

Approccio integrato e di massa mancante nelle linee guida Oms, anche dopo la scoperta della fallacia dell’accertamento del 14 gennaio. Solo il lockdown di Wuhan del 24 gennaio ha indotto l’Oms a lanciare l’allarme una settimana dopo, ma da lì alla dichiarazione di pandemia globale, avvenuta l’11 marzo, sono passati ulteriori 40 giorni. Nel corso dei quali solo il 18 febbraio arrivano le prime dichiarazioni dell’Oms circa il rischio globale di un’epidemai devastante; il 29 febbraio, sottolinea The Print, l’organizzazione guidata da Tedros si interrogava ancora sulla reale necessità di porre in essere misure di restrizione ai viaggi nei Paesi colpiti. Tutto questo mentre in Italia iniziava a dilagare il focolaio pandemico lombardo. Solo l’11 marzo la dichiarazione ufficiale di pandemia globale, quando nel mondo si contano oramai 100mila casi.
Ma questi ritardi sono nulla se confrontati alla partita politica che vede Tedros e l’Oms nel mezzo della battaglia per eccellenza della geopolitica planetaria, quella tra Cina e Usa. Paesi che, a turno, hanno guardato all’Etiopia e all’ex ricercatore sulla malaria come a un interlocutore importante in terra africana.
Tedros è stato accusato di esser stato troppo conciliante con la Cina di Xi Jinping dagli Stati Uniti d’America, che hanno annunciato il taglio dei loro finanziamenti all’Oms, ritenuta un’organizzazione favorevole a Pechino per i continui elogi portati all’Impero di Mezzo per la lotta alla pandemia.
Il 25 febbraio l’Oms ha ringraziato pubblicamente Pechino per le misure adottate, tre giorni dopo il citato e contestato rifiuto di ospitare una delegazione taiwanese. “L’approccio coraggioso della Cina per contenere la rapida diffusione di questo nuovo agente patogeno respiratorio ha cambiato il corso di un’epidemia in rapida escalation e mortale”, si legge in un rapporto dell’Oms. “L’uso senza compromessi e rigoroso da parte della Cina di misure non farmacologiche per contenere la trasmissione del virus Covid-19 in molteplici contesti fornisce lezioni vitali per la risposta globale”, continua enfatico.
Indipendentemente dalla reale efficacia delle misure cinesi, è bene sottolineare che un tono tanto enfatico non è stato concesso ad alcun altro Paese. Secondo l’amministrazione Usa l’Oms avrebbe perdonato alla Cina manchevolezze nella fase iniziale del contagio e sarebbe stata “rabbonita” dalla donazione di 20 milioni di dollari effettuata da Pechino a marzo.
Da un lato queste accuse sottendono la frustrazione statunitense per aver perso il controllo di un’organizzazione delle Nazioni Unite a favore di un asse filo-cinese, dall’altro sono favorite dall’effettiva debolezza di Tedros nella gestione della pandemia, che ha alimentato i sospetti di una possibile collusione politica con il Paese nel quale per primo il contagio si è manifestato.
Sta di fatto che già a inizio gennaio il genoma del Sars-Cov2 era disponibile, gli americani hanno sfollato i loro cittadini da Wuhan ed Hubei a partire dal 20 gennaio giorno e nel frattempo gli Usa, assieme al resto del mondo, hanno voluto cullarsi nell’illusione di poter evitare il contagio grazie alla distanza geografica. “Da allora”, scrive l’analista Pierluigi Fagan, “cosa abbiano fatti i governi occidentali e quello americano non si sa o si sa e non fa onore al senso di responsabilità dei governanti verso le proprie popolazioni. Da almeno l’11 gennaio a quando ha dichiarato l’emergenza sanitaria nazionale, Donald Trump ha avuto 60 giorni per “prepararsi” sempre che della ventina di agenzie di intelligence americane nessuna sapesse nulla e prima di ciò che avveniva in Cina perché l’Oms “non le aveva avvertite”.
La debolezza dell’Oms è chiara ma non giustifica ritardi e sottovalutazioni dei governi di tutto il mondo di fronte a una pandemia senza precedenti nell’ultimo secolo. Le critiche all’Organizzazione guidata da Tedros, uomo ritrovatosi controvoglia al centro della storia, sono su diversi punti legittime e hanno a che vedere con l’incapacità di tenere una linea sanitaria, ma anche politica, continua. Ma si ridimensionano rispetto a quelle portabili di fronte a governi e autorità che hanno pensato di potersi crogiolare nell’apatia di fronte all’avanzare del contagio dimenticandosi che il vero untore era la globalizzazione. Moltiplicatrice della velocità di un contagio in cui tutto il mondo si è ritrovato immerso prima di rendersi conto della sua gravità.