Chi è Sanna Marin

Sanna Marin è la giovane donna che ha ricoperto la carica di ministro capo della Repubblica finlandese, equivalente del nostro titolo di presidente del Consiglio, dal 10 dicembre 2019. Dopo la caduta del cancelliere austriaco Sebastian Kurz la leader dei Socialdemocratici è diventato il capo di governo più giovane dell’Unione europea.

Ascesa al potere nel dicembre 2019, ha alle spalle una lunga esperienza politica iniziata nelle organizzazioni giovanili del partito egemone del centro-sinistra finnico e proseguita fino alla conquista della posizione apicale nel governo di Helsinki. Dopo la sconfitta elettorale dei suoi Socialdemocratici alle elezioni del 2 aprile 2023 il suo governo si avvia alla conclusione, e si può tracciarne un bilancio

Marin ha dovuto mediare, nel corso del suo governo, col controverso rapporto del suo Paese con le linee economiche dell’austerità. Oscillando tra la necessità di superare il paradigma della deflazione interna che ha affossato l’economia e il Pil sul fronte interno e il richiamo a difendere la trincea del rigore quando in scena entravano le discussioni sugli interventi da mettere in atto su scala europea.

Da ultimo, dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 è diventata la premier che ha portato Helsinki a un passaggio storico: la fine della storica vocazione neutralista del Paese e la richiesta dell’accesso alla Nato.

Sanna Marin è nata il 16 novembre 1985 nella capitale Helsinki e ha passato la sua gioventù tra Espoo, seconda città del Paese per popolazione (sita nell’area urbana di Helsinki) e Pirkkala, prima di spostarsi definitivamente nella città di Tampere. La madre e il padre si separarono in gioventù, e Marin crebbe vivendo con la prima, che avrebbe iniziato in seguito una relazione con un’altra donna.

A Tampere la Marin si laureò nel 2012 in Scienze dell’Amministrazione dopo un lungo percorso formativo in cui molto spesso fu costretta a dividersi tra l’università e una serie di lavori occasionali finalizzati a pagare la frequenza agli studi; nel corso della carriera di studi aveva affiancato alla frequenza la militanza politica nella Gioventù socialdemocratica, in una fase in cui, dopo le elezioni del 2007, il partito era stato relegato all’opposizione dopo il successo del centro-destra, rientrando poi nell’esecutivo nel 2011 da junior partner dei liberalconservatori di Jyri Katainen, noto in Europa per il suo intransigente rigore sui conti.

Vicepresidente della Gioventù socialdemocratica tra il 2010 e il 2012, in quell’anno ottenne la sua prima carica istituzionale venendo eletta al consiglio comunale di Tampere, da lei presieduto tra il 2013 e il 2017.

Considerata esponente della sinistra del partito, critica dell’eccessivo appiattimento dei socialdemocratici sull’ortodossia rigorista, usa appellarsi ai membri della sua formazione con l’appellativo “compagni” la Marin si fece presto strada in campo socialdemocratico mano a mano che la linea conformista seguita dai vari segretari succedutisi dopo il 2007 produceva una vera e propria emorragia di consensi.

Come dichiarato nel 2019 in un’intervista all’Helsingin Sanomat, la Marin si è posizionata come una forte apologeta del welfare state, della tutela del lavoro e del rilancio della spesa pubblica a causa delle sue origini popolari: “Senza il forte welfare finlandese e il suo forte sistema educativo non avrei mai avuto successo nella mia carriera”.

I risultati del partito non mancarono di dare ragione alle sue convinzioni. Dal 2007 al 2015 i socialdemocratici persero un sesto dei loro voti (100mila) e cinque punti percentuali, crollando al minimo storico del 16,51% e al quarto posto nel voto del 2015, in cui la ristretta pattuglia portata in Parlamento (34 seggi) vide però la comparsa al suo interno della Marin come giovane e agguerrita debuttante.

Nei quattro anni di traversata del deserto i socialdemocratici costruirono una piattaforma politica alternativa, preparando la riscossa elettorale attraverso l’impegno a rinnegare l’austerità. Katainen e Oli Rehn, governatore della Banca Centrale di Helsinki, si erano affermati in Europa come falchi del rigore; la Finlandia, in alleanza con i Paesi nordici e l’Olanda, aveva difeso nella Nuova lega anseatica la trincea del rigore e della minore integrazione politica.

Come prigioniera della sindrome di Stoccolma, tuttavia, Helsinki aveva applicato con durezza i dogmi del taglio della spesa pubblica e del contenimento del welfare anche sul fronte interno. Producendo, a cavallo tra la crisi del 2007-2008 e la Grande Recessioni, danni devastanti. La dismissione dei programmi di investimento e la dura fase di crisi del colosso nazionale dell’industria, Nokia, ha messo in ginocchio l’economia finlandese, che tra il 2008 e il 2015 ha conosciuto una contrazione del Pil da 283 a 232 miliardi di euro (-18%) prima di risalire faticosamente fino a 251 miliardi. I ministri capo succeduti a Katainen, Alexander Stubb (2014-2015) e Juha Silpila (2015-2019), non hanno saputo andare oltre un paradigma autolesionista.

La Marin ha contribuito a costituire il paradigma politico su cui i socialdemocratici guidati da Anti Riine fecero affidamento per il voto del 2019. Le elezioni finirono letteralmente al fotofinish: i socialdemocratici guadagnarono una quota di voti tutto sommato modesta, 50mila, salendo al 17,73%, ma approfittarono del tracollo della coalizione di centro-destra. Il Centro di Sipila perse 7 punti percentuali, precipitando dal primo al quarto posto col 13,76%, la Coalizione Nazionale oltre l’1% arrivando al 17% e anche i populisti dei Veri Finlandesi non andarono oltre un pur considerevole 17,48%. I socialdemocratici si trovarono dunque a essere il primo partito per una manciata di voti, ottenendo l’onore e l’onere di formare il nuovo governo.

Il 6 giugno 2019 Sanna Marin giurò come ministro dei Trasporti nel governo di Anti Riine, guidato dai socialdemocratici e sostenuto dal Centro, dai Verdi e dalla Sinistra. Proprio il partito un tempo centrale nell’esecutivo spianò la strada alla giovane ex studentessa di Tampere a dicembre, quando una disputa sulla gestione di uno sciopero postale portò al collasso della coalizione, che aveva avviato sul tema del rilancio degli investimenti pubblici e del superamento dell’austerità un’ampia azione riformatrice.

La Marin approfittò della crisi per scoprire le carte e ottenere il sostegno della leadership del partito per la costituzione della nuova coalizione governativa, un esecutivo fotocopia nella costituzione ma nelle intenzioni fortemente spostato a sinistra su temi come il cambiamento climatico e la previdenza sociale.

Alla prova dei fatti, la Marin non ha però potuto fare a meno di unificarsi al mantra lungamente seguito dalla Finlandia dopo lo scoppio della pandemia di coronavirus tra febbraio e marzo 2020 e l’avvio della susseguente crisi economica. Helsinki ha trovato spazio nuovamente tra i “frugali” e le promesse di rottura col passato di austerità e tagli sul fronte interno sono andate di pari passo con un rilancio di vechi schemi in campo continentale. L’azione riformatrice della Marin, a capo di un governo di ampia coalizione estremamente decentralizzato, deve tenere conto di pesi e contrappesi ingenti e influenti. Il prezzo per aver riportato un partito apparentemente finito nella stanza dei bottoni è stata la necessità di un compromesso con proposte massimaliste che hanno contribuito alle fortune politiche della giovane capa di governo.

Negli anni di governo, durante la pandemia, la Marin ha scelto una strategia politica molto cautelativa per evitare di perdere il sostegno politico-istituzionale ricevuto per la sua ascesa. Helsinki si è così ricostituita parte del fronte rigorista sul piano internazionale, senza tuttavia arrivare ai livelli di massimalismo dell‘Olanda di Mark Rutte.

La novità più importante del suo governo è stata tuttavia una svolta inizialmente imprevista: l’avvicinamento di Helsinki al pensiero strategico, l’uscita graduale dalla neutralità, l’abbraccio graduale con le strutture di potere della difesa europea e della Nato.

Nel marzo 2021 la Marin ha firmato una lettera aperta assieme a Angela Merkel e alle colleghe Kaja Kallas (Estonia) e Mette Frederiksen (Danimarca) in cui proponeva di cambiare passo sulla sovranità digitale europea, garantire alla Commissione europea un potere di coordinamento e controllo sulle dinamiche di rafforzamento dell’autonomia strategica del Vecchio Continente in materia di tecnologia.

La vera svolta si è avuta dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Fonte di preoccupazione nel Paese a partire dal primo giorno: di fronte alla pressione dell’opinione pubblica finnica, il neutralismo del governo è stato via via accantonato. E nel maggio 2022 la  Marin col suo governo ha ufficializzato la svolta, presentando la domanda di Helsinki per aderire all’Alleanza Atlantica. Una svolta che sarà guidata dalla premier donna più giovane d’Europa, alla prova di maturità per costruire un futuro da statista in un contesto senza precedenti per la Finlandia.

Sanna Marin ha dovuto, assieme alla premier svedese Magdalena Andersson, superare in tal senso l’ostilità del presidente turco Recep Tayyip Erdogan verso l’adesione alla Nato di Helsinki e Stoccolma. Erdogan ha richiesto ai due Paesi nordici la fine della protezione ai membri del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) custoditi sul loro territorio in asilo, essendo l’organizzazione riconosciuta come terroristica da Ankara e, di fatto, anche dalla Nato.

Alla vigilia del vertice Nato di Madrid del 29 giugno Turchia, Svezia e Finlandia hanno firmato un memorandum che ha portato Ankara a ritirare il veto sull’ingresso dei due Paesi nordici nell’Alleanza. La Marin e la Andersson si sono impegnate a riformare profondamente la legislazione e le pratiche nazionali di Svezia e Finlandia in materia di lotta al terrorismo e industria della difesa, tagliare i sostegni alle organizzazioni vicine ai nemici di Erdogan e coordinarsi con Ankara sulle questioni securitarie.

Il 5 luglio 2022 con la firma dei protocolli di accesso è iniziato il processo di ratificazione da parte degli alleati della Nato dell’allargamento a 32 Stati dell’Alleanza. “Questa è una giornata storica per la Nato, per la Svezia e per la Finlandia: insieme saremo più forti e le nostre popolazioni più sicure”, ha ricordato il segretario Nato Jens Soltenberg. La socialdemocratica amica dell’ambiente e della lotta alle disuguaglianze, Sanna Marin, è diventata la premier della svolta più importante della Finlandia dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi.

La svolta pro-Nato dei Socialdemocratici e il processo di adesione in via di completamento per la Finlandia al momento del voto delle politiche del 2 aprile 2023 non ha però reso la giovane premier una calamita di consensi esterni al suo campo.

La svolta di Marin si è sostanziata di fatto nel portare a compimento un processo di graduale approvazione del campo atlantico da parte dell’opinione pubblica progressista. I conservatori e i liberali da tempo vedevano positivamente l’ingresso di Helsinki nella Nato e dunque la campagna elettorale per il rinnovo del parlamento finlandese ha visto partiti vicini su molte questioni chiave per la sicurezza nazionale e anche sostanzialmente convinti di politiche comuni come la cautela in Europa e la svolta green dibattere su temi di carattere interno.

Marin ha compreso la necessità di non fare dell’atlantismo un cavallo di battaglia politico e, come ricorda Politico, ha voluto ritornare alle origini, “inveendo contro i tagli alla spesa pubblica proposti dal centro-destra e invitando i finlandesi a sostenere gli investimenti fiscali che secondo lei avrebbero portato a una maggiore occupazione e crescita economica”. Su questo tema il leader del Partito di Coalizione Nazionale di centro-destra, Petteri Orpo, ha contestato la premier, proponendo più cautela fiscale e un ritorno alla rigidità sui conti tipica del Paese.

La scelta ha avuto successo. Nonostante la crescita dei Socialdemocratici, passati a 43 seggi, il partito della Marin è stato sorpassato sia da quello di Orpo, cresciuto di 10 seggi a quota 48 e, a sorpresa, dai Veri Finlandesi di estrema destra guidati da Rikka Purra, alter ego “rosa” della Marin, secondi con 46. Con questi numeri la Marin, che nel frattempo si è dimessa da leader del Partito, non riuscirà a riconfermarsi premier nonostante una performance elettorale non negativa. Ma la giovane premier si è già, a suo modo, conquistata uno spazio nella storia del Paese. E certamente, anche in caso di passaggio all’opposizione, si sentirà parlare ancora molto di lei.

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