Ramzan Kadyrov, il padre padrone della Cecenia dal 2007, è uno dei personaggi più importanti della Russia contemporanea. Pittoresco, talvolta folcloristico, Kadyrov legifera nella piccola repubblica nordcaucasica come se fosse un capoclan, dispone di una piccola ma capace armata privata in grado di condurre operazioni in tutto il mondo ed è tra i fedelissimi di Vladimir Putin.
A lungo trattato dalla stampa occidentale come una sorta di paria, uno dei tanti autocrati che dominano il panorama russo-turcico, Kadyrov ha catalizzato l’attenzione dei riflettori internazionali durante la guerra in Ucraina. Guerra di cui Kadyrov è stato protagonista, avendo inviato combattenti in loco e che gli è valso ulteriore apprezzamento da parte di Putin.
Ramzan Akhmadovič Kadyrov nasce il 5 ottobre 1976 in un remoto villaggio di nome Tsentaroj, che oggi si chiama Akhmat-Yurt, all’epoca sotto la giurisdizione della repubblica autonoma ceceno-ingusceta e ora appartenente alla Cecenia.
Ramzan non è mai stato una persona qualunque: il suo lignaggio, che in certi posti è tutto, non gli avrebbe mai permesso di vivere nell’anonimato. Ramzan, infatti, crebbe con la consapevolezza di essere figlio di Akhmad e Aimani, membri del prolifico e potente clan Kadyrov.
Akhmad, imam tanto riverito quanto temuto, allo scoppio della prima guerra cecena fu tra i capifila del movimento di indipendenza. Sulle orme dei padri spirituali (e non solo) del nazionalismo ceceno, come lo sceicco Mansur e l’asceta Hassan Izrailov, Akhmat proclamò il Jihad, la guerra santa, contro i soldati russi inviati dal Cremlino per sedare la voglia di emancipazione di uno dei popoli più agguerriti e fieri del Caucaso settentrionale.
Insieme, Akhmat e Ramzan, combatterono al fronte, dando prova di grande coraggio agli occhi degli indipendentisti e riuscendo a trasformare i Kadyroviti in una forza determinante all’interno del frammentato e destrutturato panorama clanistico ceceno. Qualcosa che avrebbero capitalizzato a guerra terminata.
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Il cambio di guardia al Cremlino, emblematizzato dal passaggio di scettro da Boris Eltsin a Vladimir Putin, fu interpretato da Ramzan padre come il segno di un cambiamento più vasto, destinato a durare e rimanere, perciò i Kadyroviti, un tempo nemici del potere centrale, a partire dal 1999 sarebbero diventati i più strenui sostenitori di Mosca. Una scelta, dettata da un mix di calcoli economici e lungimiranza politica, che li avrebbe premiati.
All’indomani della morte del padre, assassinato in un attentato ricco di ombre il 9 maggio 2004, Ramzan fu eletto vice primo ministro. Un ruolo utilizzato per implementare nottetempo una serie di politiche controverse, perché in direzione dell’islamizzazione dell’impianto normativo, e dunque della società, della Cecenia: dalla proibizione della manifattura di alcolici al divieto del gioco d’azzardo. Preludio di una più ampia agenda di islamizzazione, avvenuta con il tacito assenso di Mosca.
La dirigenza moscovita era insofferente nei confronti di Kadyrov, che sfidava le sentenze federali, chiedeva più denaro al governo centrale e minacciava di danneggiare l’immagine pubblica della Russia – ad esempio, gettando benzina sul fuoco ai tempi delle caricature di Maometto sullo Jyllands-Posten –, ma l’alternativa era una non-alternativa: la rinascita del caos in Cecenia e, a latere, nel resto del Caucaso settentrionale. Putin ne era consapevole, in quanto pragmatico, perciò il 4 marzo 2006 diede la benedizione alla sua elezione a primo ministro. Prima tappa del percorso verso la presidenza.
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Fu Putin in persona, il 15 febbraio 2007, a consacrare la trasformazione di Kadyrov in Kadyrov, mettendo la firma su un decreto che lo fece presidente della Repubblica cecena. A partire da quel momento, nonostante le pressioni della lobby anticecena a Mosca e quella della lobby indipendentista a Groznyj, tra Putin e Kadyrov sarebbe stato idillio: l’uno al servizio dell’altro, l’uno fedele all’altro.
La prima presidenza Kadyrov sarebbe passata all’insegna della catalisi dell’islamizzazione, del consolidamento del nuovo ordine – emblematizzato dall’istituzionalizzazione della milizia privata, i Kadyroviti – e della ricostruzione della Cecenia, possibilitata dalla pioggia di rubli proveniente dal Cremlino, sullo sfondo dell’aumento di influenza nell’immediato vicinato nordcaucasico. La Cecenia come piccola potenza, informalmente semi-indipendente, in grado di assoggettare le contigue repubbliche alla propria volontà.
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Nonostante i proclami sulla fine del capitolo russo della Guerra al terrore, Kadyrov avrebbe dovuto affrontare una nuova ondata di attacchi terroristici sul suolo ceceno nel 2010. In particolare, risaltarono per dimensioni e simbolicità l’assalto a Tsentaroj – una chiara provocazione da parte dei separatisti jihadisti nei confronti del presidente – e l’attacco al Parlamento.
Rieletto per un nuovo mandato nel 2011, e di nuovo negli anni successivi, Kadyrov avrebbe trascorso gli anni Dieci del Duemila a rafforzare la proiezione internazionale della Repubblica. Quando siglando accordi intergovernativi con nazioni sovrane, come l’Azerbaigian e l’Arabia Saudita, e quando operando incursioni all’estero a servizio del Cremlino, ad esempio con l’invio di Kadyroviti in chiave filo-assadista durante la guerra civile siriana.
Vero banco di prova delle relazioni Putin-Kadyrov, più che la guerra civile siriana e il conflitto nel Donbass – anch’esso partecipato dai Kadyroviti sin dal 2014 –, è stato il più grave scontro tra i due blocchi dall’inizio della competizione tra grandi potenze: la guerra in Ucraina. Perché nel teatro bellico ucraino, sia per dare manforte al contingente russo sia per terminare una caccia all’uomo cominciata nel 2014 – i jihadisti e gli islamisti al soldo di Kiev –, Kadyrov ha inviato un esercito, in prima linea nelle operazioni, che gli è valso la promozione a tenente generale.
Kadyrov è stato accusato, sia in patria sia all’estero, di aver convertito la Cecenia in un feudo personale, dove la shari’a è legge, dove l’omosessualità è reato punibile con la morte, dove la giustizia è affare controllato con la violenza dai Kadyroviti e dove il miglioramento delle condizioni di vita è il miraggio di un’economia artificiale, drogata, in quanto basata sugli ingressi di rubli provenienti da Mosca.
Kadyrov stesso è stato accusato di possedere un patrimonio immenso, frutto di quel denaro elargito dal Cremlino, ma fare indagini sul suo conto non è mai stato facile. Perché chi ha provato a mettersi contro Kadyrov, talvolta credendosi al sicuro perché nascosto all’estero, spesso ha avuto come destino la morte.
L’elenco delle persone presumibilmente assassinate dai Kadyroviti è esteso. Include gente residente nella Federazione, come Movladi Baisarov (2006) e Ruslan Yamadaev (2008), e gente residente all’estero, come Sulim Yamadaev (2009), Umar Israilov (2009), Imran Aliev (2020). Si è a lungo vociferato, inoltre, il coinvolgimento dei Kadyroviti nell’uccisione di volti noti del giornalismo e della politica russi, come Anna Politkovskaya, Natalia Estemirova e Boris Nemtsov.
A lungo considerato un male necessario, trattato alla stregua di un dittatore indispensabile, Kadyrov è stato ufficialmente riabilitato da Putin nel corso della guerra in Ucraina. Il presidente della Cecenia, invero, ha giocato un ruolo determinante nel conflitto sin dalle sue prime luci, nel febbraio 2022, partecipando direttamente ai combattimenti e dispiegando migliaia di elementi del suo esercito privato: i Kadyroviti.
I soldati di Kadyrov hanno operato in ogni area interessata dalla guerra: da Kiev, nelle prime settimane delle ostilità, agli oblast’ di Lugansk e Donetsk, una vecchia conoscenza dei Kadyroviti, passando per Kherson, Kharkiv e Zaporiggia. Hanno svolto operazioni di spionaggio, condotto cacce all’uomo, combattuto contro i loro connazionali nelle file ucraine, dato manforte alle truppe regolari e ai wagneriti nelle battaglie decisive, come l’assalto a Bakhmut, rivelandosi una forza decisiva.
Il contributo significativo di Kadyrov e dei suoi uomini agli sforzi bellici del Cremlino gli è valso un biglietto d’ingresso nella cerchia del potere putiniana. Meta da tempo ambita, ma mai raggiunta a causa delle diffidenze dure a morire causate (anche) da questioni identitarie − i difficili rapporti e la scarsa fiducia intercorrenti tra slavi e ceceni −, che è stata emblematizzata dalla sua trasformazione in colonnello generale nell’ottobre 2022. Tassello fondamentale, storico, che verrà ricordato come il primo passo verso un maggiore riconoscimento dei “montanari venuti da Grozny” nelle stanze che contano della centrale Mosca.