La decisione di acquistare degli spazi pubblicitari televisivi l’ha presa il 22 novembre, scombinando le certezze dei suoi avversari, dentro e fuori il partito. E questa mossa, che gli è costata circa 30 milioni di dollari, ha agitato soprattutto i candidati democratici. Perché Michael Bloomberg, imprenditore miliardario ed ex sindaco di New York, con questo gesto ha accertato le voci (insistenti) su una sua eventuale candidatura alle primarie per le elezioni presidenziali americane del 2020, contro Donald Trump. Nelle ultime ore, infatti, è arrivata anche la conferma: l’imprenditore si presenterà. Ma la storia politica e personale del co-fondatore e proprietario della società di servizi finanziari, software e mass media che porta il suo nome (Bloomberg LP), è tutt’altro che omogenea e scontata. Perché il miliardario 79enne, tra gli uomini più ricchi del pianeta, è stato prima di tutto un sindaco di New York molto amato dai suoi cittadini, che ha attraversato il partito repubblicano prima e travolto quello democratico poi. Una trasformazione politica per molti quasi scontata, viste le posizioni fortemente liberali espresse da sempre dall’ex primo cittadino.
Michael Bloomberg, che nel 2019 è stato classificato da Forbes come l’ottavo uomo più ricco del mondo, con un patrimonio stimato di circa 52,4 miliardi di dollari, è nato a Boston nel 1942, da una famiglia di origini ebraiche: i suoi genitori erano infatti entrambi immigrati ebrei di nazionalità russa. Nonostante abbia avuto un’educazione religiosa, Bloomberg ha sempre scelto di lasciarla fuori dalla sua attività politica e finanziaria. Per la sua istruzione, la famiglia Bloomberg si affidò prima alla John Hopkins University di Baltimora, dove Bloomberg si laureò in ingegneria elettronica nel 1964, e poi ad Harvard, dove conseguì un master in Business Administration. Che molto probabilmente gli cambiò la vita, formando l’uomo d’affari che è diventato.
Le prime esperienze nel centro del mondo finanziario, Bloomberg le fece dal 1973, diventando socio accomandatario di Salomon Brothers, una banca d’investimento di Wall Street, dove diresse il trading azionario e poi lo sviluppo di sistemi. Ma nel 1981 venne licenziato perché l’istituto di credito venne comprato da un’altra compagnia, la Phibro Corporation. Tuttavia, utilizzando i dieci milioni di dollari avuti come partner della banca d’investimento ceduta, Bloomberg fondò una nuova società, la Innovative Market Systems. La sua idea, già visionaria all’epoca, si basava sulla consapevolezza che Wall Street, ma più in generale la comunità finanziaria, fosse disposta a pagare per informazioni commerciali di alta qualità, fornite velocemente e in quante più forme fruibili possibili, tramite la tecnologia. Nel 1982, Merrill Lynch divenne il primo cliente della nuova società, installando 22 terminali Market Master e investendo 30 milioni di dollari nella società a cui, nel frattempo, nel 1987, era stato dato un altro nome: Bloomberg Lp. Nel 1990 i terminali installati arrivarono a 8mila e nel corso degli anni successivi la sua popolarità si fece più concreta. Arrivarono quindi Bloomberg News, Bloomberg Message e Bloomberg Tradebook. Ufficialmente, Bloomberg lasciò il ruolo di Ceo quando decise di candidarsi a sindaco di New York, agli inizi degli anni 2000.
Appartenente al partito Repubblicano, da sempre Bloomberg ha percorso una personalissima strada all’interno della sua area politica di riferimento. In molti, infatti, lo considerano da sempre un repubblicano liberale, soprattutto per le sue idee favorevoli all’aborto e alla legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso, per esempio. Tutti elementi che lo hanno avvicinato, nel tempo, all’universo dei Democratici. I quali però, almeno in parte, non hanno un’opinione positiva di lui: il suo ingente patrimonio economico l’ha reso ostile all’area ritenuta più radicale. Da sempre l’indipendente per eccellenza, Bloomberg, nel 2012, ha pubblicamente annunciato il suo appoggio alla ricandidatura di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti.
Ma uno degli aspetti più interessanti della sua vita politica riguarda la sua carica di sindaco. Quel ruolo, oltre ad avergli aperto la strada alla politica americana, l’ha reso popolare a ha dato un volto a quel nome che nella finanza era conosciutissimo ma ancora evanescente. Bloomberg è stato eletto sindaco di New York per la prima volta nel 2001, come successore di Rudolph Giuliani, esponente di spicco di quell’area repubblicana oggi molto vicina al presidente Trump. All’epoca della sua elezioni, furono in molti a sostenere che la sua candidatura riuscì a imporsi sull’avversario grazie a un’imponente campagna elettorale, in cui sconfisse di misura l’avversario Mark J. Green. Venne rieletto nel 2005 con un margine del 20%, battendo il democratico Fernando Ferrer. La decisione di lasciare i repubblicani arrivò il 19 giugno di due anni dopo, nel 2007, quando il primo cittadino decise di lasciare il partito ed essere così ufficialmente indipendente. Nel 2008 chiese (e ottenne) un voto del consiglio comunale di New York che abolì la limitazione di due mandati consecutivi per un sindaco. Si ripresentò, quindi, alle elezioni del 3 novembre 2009, uscendone ancora vincitore, questa volta con il 50,6% di voti, battendo il democratico Bill Thompson. Durante i suoi anni da sindaco, Bloomberg non abitò nella tradizionale residenza destinata al primo cittadino della città, cioè a Gracie Mansion, ma nel suo appartamento nell’Upper East Side. La scelta di raggiungere il Municipio quotidianamente in metropolitana lo rese popolare e, ancora una volta, un miliardario atipico e indecifrabile.
Il 23 gennaio del 2016, il New York Times aveva riportato la notizia che Bloomberg avrebbe potuto presentarsi come candidato indipendente alle elezioni presidenziali, mettendo a disposizione della sua campagna oltre un miliardo di dollari (tutti suoi), contro la possibile (e poi confermata) avanzata di Trump. Alcuni giustificarono l’ipotesi del miliardario di candidarsi per contenere quella che, secondo lui, fu la peggiore campagna elettorale delle primarie nella storia d’America, fatta solo di insulti personali e idee che lui disse “umiliano il popolo americano”. Bloomberg, infatti, riteneva che quei duelli così infuocati avrebbero potuto far emergere i rami più “estremisti” di entrambi gli schieramenti (da una parte Trump e dall’altra il senatore socialista del Vermont, Bernie Sanders). Ma l’8 marzo 2016, con la ripresa di Hillary Clinton tra i Democratici, l’ex sindaco annunciò di farsi da parte, probabilmente per lasciare spazio a lei.

A due anni dall’elezione dell’ex tycoon alla Casa Bianca, nell’ottobre 2018 Bloomberg ha annunciato di essersi iscritto al partito Democratico. È opinione di molti credere che il suo nome, contrapposto a quello di Trump, nella sfida nel 2020 forse potrebbe convincere parte dell’elettorato americano più moderato e più indeciso, stanco della politica aggressiva dell’attuale presidente, a cambiare rotta. Bloomberg, infatti, viene percepito come un moderato: è un pragmatico che odia slogan, clamore politico e radicalizzazione del dibattito. Da sempre avversario politico Trump, il cui profilo risulta nettamente all’opposto rispetto al suo, quasi come fosse un alter ego, l’ex sindaco di New York, in un eventuale scontro con l’attuale presidente degli Stati Uniti, potrebbe convincere molti elettori.
Ed è del 24 novembre l’ufficializzazione della sua partecipazione alla competizione elettorale del 2020. Avvenuta quasi all’improvviso, ma attesa da tutti. “Correrò per la presidenza per sconfiggere Donald Trump e ricostruire l’America” ha annunciato sul sito della propria campagna elettorale, sciogliendo ogni dubbio sulla sua partecipazione alle primarie con i democratici. Dovrà quindi sfidare Joe Biden (il più realistico avversario interno), Elizabeth Warren, Pete Buttigieg e Bernie Sanders. E in caso ce la facesse, poi l’attuale presidente. Con la sua dichiarazione di intenti, Bloomberg diventa il candidato più vecchio tra i Democratici e quello più moderato tra quelli rimasti in corsa.
Negli ultimi anni, Bloomberg ha dedicato molto del suo tempo ad attività filantropiche, legate in particolare alla lotta al riscaldamento globale e al contrasto della diffusione delle armi da fuoco, investendo centinaia di milioni di dollari nel sostegno a queste cause, appoggiando i candidati Democratici al Congresso. Negli anni, il miliardario americano ha aderito anche al “the Giving Pledge”, una campagna per incoraggiare le persone estremamente ricche a contribuire con la maggior parte delle loro ricchezze a cause filantropiche.