Marine Le Pen è stata a qualche passo dall’Eliseo. Prima dell’esito del ballottaggio del 2017, sembrava che la figlia di Jean Marie potesse davvero raggiungere l’obiettivo della presidenza della Repubblica. Poi è andata in maniera molto diversa, con il trionfo a vele spiegate di Emmanuel Macron. Il leader di “En Marche” è stato favorito dal sistema elettorale francese – il double ballot – , ma la Le Pen non è riuscita a sfondare negli ambienti moderati come si era invece ipotizzato. Le periferie – quelle sì – hanno sorriso al vertice del Front National, ma non è bastato. Ora, dopo un repulisti complessivo dell’immagine del partito in cui Marine Le Pen ha iniziato a militare politicamente, ossia il Fn, il leader dei sovranisti d’Oltralpe già si prepara alla prossima sfida: le presidenziali del 2022.
In questa parabola biografica c’è qualche picco, ma pure qualche momento di difficoltà. In generale, i lepenisti francesi non sono quasi mai stati in grado di rappresentare una forza maggioritaria. E questo è il vero “problema” politologico con cui Marine Le Pen è costretta a misurarsi sin da quando il sovranismo ha iniziato a far raccontare di sé. Esistono un limite sostanziale ed una pregiudiziale storica: il doppio turno alla francese consente agli elettori centristi di evitare che i lepenisti assumano posizioni di potere, votando a seconda dei casi per il Partito Socialista (ora per En Marche!) o per i Repubblicani; gli stessi moderati associano la parabola di Marine Le Pen (in specie quella del padre) all’eredità della Repubblica di Vichy. Quel collegamento storico, in fin dei conti, è il motivo per cui il sistema partitico francese, nonostante non sia bipolare, ha consentito ai due partiti maggiori di alternarsi.
Con buone probabilità, l’evoluzione del Front National nel Rassemblement National serve proprio a cancellare la possibilità di quell’associazione. Anche l’anziano leader Jean Marie è ormai stato messo da parte dalla classe dirigente. La parola d’ordine è normalizzazione (o de-diabolizzazione). Lo scopo è fornire ai francesi sempre meno argomenti per dubitare della bontà della scelta lepenista. Per una serie di motivi diversi, Marine Le Pen ha avuto nelle elezioni europee (in più di una tornata) un alleato prezioso. Pure in quelle circostanze, però, il lepenismo ha fatto al massimo da apripista ma mai da gestore di processi esecutivi. Qualche soddisfazione è arrivata dagli appuntamenti elettorali territoriali, dove il Fn è riuscito ad imporsi, giusto per fare un esempio alle regionali del 2015, (almeno al primo turno). Il lepenismo si esprime ottimamente in potenza, mentre nell’atto persiste qualche ostacolo. La sensazione è che la Le Pen rappresenti molto di più rispetto a quanto raccolto politicamente.
Per il futuro Marine Le Pen ha giocato d’anticipo: si è già candidata alle elezioni presidenziali. La sfida ad Emmanuel Macron è già stata lanciata. Molto, anche questa volta, dipenderà dalla reazione dei francesi. La Republique En Marche di Macron qualche difficoltà ce l’ha. Se non altro per via delle proteste dei gilet gialli contro la riforma delle pensioni, per quelle dei cattolici contro la riforma bioetica e per le conseguenze economiche dovute alla pandemia. Ma il double ballot è ancora il sistema elettorale transalpino. E prevedere una vittoria della Le Pen alle prossime presidenziali è affare per coraggiosi.
Marine Le Pen nasce a Neuilly-sur-Seine, in piena estate sessantottina. Figlia di Jean Marie, che è riuscito a sua volta a raggiungere il ballottaggio presidenziale contro il gollista Jacque Chirac nel 2002, superando il socialista Lionel Jospin, da giovane si è distinta per aver fatto parte – come la sceneggiatura poteva prevedere – nelle organizzazioni giovanili del Fn. Un destino segnato il suo, con una leadership naturale cresciuta all’ombra del padre, con il quale poi litigherà. Gli studi in Giurisprudenza l’hanno resa una donna in politica preparata. E questo è un elemento che il “fronte sovranista” non può sempre rivendicare. Marine Le Pen, sin dal principio del suo cammino, ha incarnato la figura della donna austera, ma al contempo capace di risultare in grado d’impattare nel sistema politico francese. Nel corso della carriera, le verrà rimproverato l’approccio in Economia, uno dei terreni di confronto più complessi da affrontare per i populisti europei (e non solo per via dell’Euro). Quella della Le Pen è una famiglia “ingombrante”. Almeno nella misura in cui tutto il suo contorno familiare ha partecipato a frizioni politiche interne. Del litigio con il padre, che è rimasto distante dall’evoluzione del Fn e dalla de-diabolizzazione abbiamo accennato. Marion Le Pen, invece, è la nipote che continua a costituire un’alternativa. Da giovane promessa al fianco della zia a potenziale rivale: Marion, dopo un primo abbandono della politica, è tornata attiva con l’intellettuale Erich Zemmour: il duo ha costituito una scuola di formazione che, al livello del dibattito pubblico, sembra voler recuperare lo spirito originario del lepenismo, che invece Marine ha accantonato volentieri.
Marine Le Pen si candida per la prima volta giovanissima come consigliere regionale. La regione del Nord-Passo di Calais diventerà negli anni una roccaforte del lepenismo. Quella sarà la zona da cui la Le Pen lancerà la sfida nel 2015. E sempre in quell’emisfero settentrionale il Fn raggiungerà il suo picco elettorale al primo turno. Una sorta di quartier generale naturale, che contribuirà a dimostrare la capacità del lepenismo di attecchire al di fuori delle grandi metropoli. Quelle in cui i sovranisti d’Oltralpe hanno d’altro canto sempre avuto difficoltà, con Parigi in vetta alle sfide inaccessibili. Dopo la scalata nelle gerarchie il Fn, la Le Pen raccoglierà volentieri il testimone paterno, candidandosi per due elezioni consecutive alla presidenza della Repubblica francese. Due sconfitte dal sapore diverso: quella del 2012 – con un terzo posto – era nei pronostici; quella del 2017 – con un inaspettato secondo posto alle spalle di Emmanuel Macron – ha fatto sognare la cosiddetta destra transalpina.
Dopo questo percorso, la Le Pen ne inaugurerà uno nuovo, con il congresso di scioglimento del Front National, che modificherà nome ed assetto, rinunciando alle frange anti-sistema ed aprendo timidamente al centro, dove tuttavia la Le Pen non troverà moltissime sponde (almeno sino a questo momento). I successi principali sono stati due: le elezioni europee del 2014, in cui il Fn è risultato il primo partito, e appunto le presidenziali in cui la Le Pen ha perso il confronto finale contro Macron, un appuntamento dove tuttavia 10milioni di francesi hanno espresso una preferenza elettorale lepenista. Un evento impensabile fino a qualche anno prima. La Le Pen è stata soprattutto una parlamentare europea. Prassi che ha abbandonato dopo essere stata elette all’Assemblea nazionale per mezzo delle ultime elezioni legislative.
Marine Le Pen, a dispetto di altri leader sovranismi, non ha aderito al conservatorismo. La sua, in specie in bioetica, è una piattaforma progressista, sulla scia del sempreverde valore della laicità per i transalpini. I lepenisti, forti pure del terriccio religioso francese, guardano al tradizionalismo, ma sono meno rigidi rispetto alle formazioni politiche italiane, per esempio, in materia di “nuovi diritti”. Marine Le Pen ha abbandonato la battaglia contro l’Euro: alcuni analisti sostengono che la confusione fatta in campagna elettorale sull’uscita della Francia dal sistema della moneta unica abbia comportato la sconfitta alle ultime presidenziali. Con gli altri movimenti populisti, la Le Pen ha in comune la battaglia per la centralità dei confini, e dunque per una gestione restrittiva dei fenomeni migratori. Appoggiatasi al primo trumpismo, la Le Pen, secondo i piani iniziali, avrebbe dovuto rappresentare la punta di diamante dell‘internazionale populista di Steve Bannon, ma quel progetto è tramontato pure a causa delle scelte differenti compiute dagli altri leader europei. Marine Le Pen, anche grazie alla sua visione del mondo, è stata capace di attrarre le preferenze elettorali di molti immigranti di prima e seconda generazione. Il lepenismo, invece, non riesce a sfondare a pieno nel ceto borghese, che continua a preferire altre opzioni a quella lepenista. La nascita della France Insoumise di Jean Luc Mélénchon ha rotto le uova nel paniere rispetto alla sfera d’influenza che la Le Pen era riuscita ad espandere verso sinistra, ma il Rassemblement National rimane un partito post-ideologico che sa raccogliere i consensi ben al di là degli steccati composti da destra e sinistra.
Il futuro del lepensimo è ancora da scrivere. Il fatto che i Repubblicani non riescano a trovare una quadra convincente per l’elettorato francese e gli ultimi risultati delle amministrative suggeriscono che la Le Pen possa giocarsi di nuovo un ballottaggio contro Emmanuel Macron alle prossime presidenziali. Se Marine Le Pen dovesse di nuovo fallire l’obiettivo, però, si aprirebbe una discussione interna al mondo sovranista d’Oltralpe, con Marion Le Pen ed Erich Zemmour che insidiano da destra la leadership della figlia di Jean Marie. Il destino dei populisti transalpini segue del resto quello delle formazioni simili, che hanno in questi anni promesso faville in termini elettorali, senza riuscire poi ad affermarsi come forza maggioritaria, tranne in due casi: la vittoria di Donald Trump contro Hillary Clinton e la Brexit targata Nigel Farage. Più che dell’avvenire di Marine Le Pen, quindi, bisognerebbe parlare delle prospettive del sovranismo. Le stesse che, dopo la sconfitta di Trump alle presidenziali del 2020 ed il mancato trionfo in Europa alle ultime parlamentari per l’ Ue, appaiono ormai molto risicate.