Kais Saied è il presidente della Tunisia dal novembre 2019, data in cui vince le elezioni al secondo turno. Eletto da indipendente e senza un partito alle spalle, Saied prima dell’esperienza politica risulta come uno dei più importanti studiosi di diritto costituzionale del Paese dopo una lunga carriera accademica. Nel luglio 2021 congela governo e parlamento a seguito di una grave crisi politica e sociale che paralizza la Tunisia.
Kais Saied nasce a Tunisi il 22 febbraio 1958, ma la famiglia è originaria di Beni Khiar, non lontano dalla punta estrema settentrionale della Tunisia e dell’Africa, ossia Capo Bon. Il padre, Moncef Saied, si trasferisce nella capitale tunisina per motivi di studio e lì rimane quando conosce la moglie Zakia Bellagha. Entrambi i genitori di Kais Saied vengono descritti come molto colti. La famiglia appartiene al ceto medio tunisino e può permettersi di pagare gli studi al futuro presidente. Il padre è un funzionario statale, la madre invece è casalinga. C’è un episodio, raccontato spesso dallo stesso Kais, riguardante il padre. Quest’ultimo, durante l’occupazione delle forze dell’asse nel 1941, avrebbe protetto e salvato Giséle Halimi, ragazza ebreo-berbera e futura avvocatessa.
Il volto più noto tra i parenti è quello di Hicham Saied. Si tratta dello zio di Kais Saied e negli anni ’60 è il primo chirurgo pediatrico della Tunisia. Un’attività che gli vale anche la fama nel suo ambito a livello internazionale, essendo autore di una delicata operazione di separazione di due gemellini siamesi.
Buona parte della vita accademia, sia da studente che da professore, di Kais Saied si svolge a Tunisi. Qui inizia a studiare diritto subito dopo le superiori. La specializzazione principale riguarda il diritto costituzionale. Il suo nome in questo ambito diventa tra i più noti. Si laurea nella capitale tunisina nel 1985. Il titolo viene conseguito nel Sadiki College, il prestigioso istituto in cui figurano tra i laureati tutti i presidenti tunisini post indipendenza. L’anno dopo ottiene un diploma presso l’accademia internazionale di diritto costituzionale a Tunisi e figura anche un’esperienza in Italia, all’interno dell’istituto internazionale per i diritti umani.
Terminati gli studi ottiene diverse cattedre nel dipartimento di legge dell’università di Sousse. Qui rimane fino al 1999, anno in cui ritorna a Tunisi sempre come professore.
Kais Saied pubblica pochi libri e non ottiene un dottorato per via di divergenze con alcuni suoi professori, tuttavia la carriera accademica lo porta a diversi incarichi di prestigio. Non a caso viene soprannominato “il professore”, soprattutto in relazione alla preparazione nel campo del diritto costituzione. Nel 1990 viene eletto segretario generale dell’associazione tunisina di diritto costituzionale, carica che mantiene fino al 1995 quando poi diventa vice presidente dell’ente. Nel Paese nordafricano Saied è quindi tra i principali punti di riferimento della materia, circostanza poi in grado di rivelarsi importante negli anni futuri una volta sceso in politica.
Sempre negli anni ’90 diventa consulente legale per la Lega Araba. Kais Saied viene quindi chiamato a dirimere diverse controversie riguardanti atti, leggi e trattati della stessa Lega Araba. Come esperto di diritti costituzionale, Saied viene anche nominato esperto legale dell’istituto arabo per i diritti umani. Sono questi gli anni in cui il potere dell’allora presidente Ben Alì appare indiscutibile.
La Tunisia vive una fase di relativa stabilità politica grazie alla forte presa sulla società dello stesso Ben Alì e del suo partito. Eppure si iniziano a intravedere i germogli di quell’insofferenza popolare capace, da lì a breve, di sovvertire la storia non soltanto tunisina ma dell’intero mondo arabo.
Quando sul finire del 2010 Mohamed Bouazizi, giovane della cittadina di Sidi Bouzid, si dà fuoco in piazza per protestare contro le condizioni economiche, Kais Saied è un conosciuto professore universitario. Ancora nella sua mente forse non è nemmeno contemplata una qualche forma di impegno politico.
Dopo l’estremo gesto di Mohamed Bouazizi, il quadro tunisino cambia vertiginosamente. Iniziano a essere organizzate importanti manifestazioni di piazza, l’intero Paese è scosso da un’ondata di proteste mai viste negli ultimi decenni. Il potere intoccabile di Ben Alì si scioglie come neve al sole. All’inizio del mese di gennaio del 2011, il presidente dà le dimissioni ed è costretto alla fuga in Arabia Saudita.
È l’inizio di quella che passa poi alla storia come primavera araba. Non solo la Tunisia, da lì a breve anche Egitto, Paesi del Golfo, Libia, Siria, Yemen e altre nazioni del mondo arabo vengono travolte da ondate di protesta senza precedenti. La Tunisia viene vista come unico esempio di primavera riuscita. A differenza che in altri contesti, le manifestazioni non scivolano nella violenza. Si ha una transizione che, seppur difficile, conduce comunque il Paese ad elezioni multipartitiche.
Non vengono organizzate solo elezioni, ma si procede anche alla stesura di una nuova costituzione. Kais Saied, in quanto tra i principali esperti di diritto costituzionale, viene chiamato a far parte di una commissione incaricata di chiarire alcuni dei principali aspetti della nuova carta fondamentale tunisina. Un incarico che accetta. Sembra il preludio a un coinvolgimento a tempo pieno di Saied nella transizione.
Un colpo di scena si ha però nel 2013. In quell’anno sorge una controversia sulla creazione di un’autorità superiore indipendente per la gestione delle elezioni del 2014. Kais Saied è chiamato anche questa volta a far parte di una commissione di esperti in grado di pronunciarsi in merito. Clamorosamente però il professore decide di rifiutare. Le fonti di allora parlano della scelta di Saied di dedicarsi unicamente alla vita accademica e di non entrare in dispute di altro genere.
La decisione di Saied però si rivela di tutt’altro tipo. In realtà il professore pensa a un diverso contributo alla transizione, di natura maggiormente politica. Già nel 2014 i limiti della primavera araba vengono fuori anche in Tunisia. Nonostante il Paese non affronti conflitti civili o fasi di instabilità come accaduto ai vicini, pochi tunisini vedono in quegli anni il miglioramento delle proprie condizioni economiche e delle proprie prospettive future.
A essere ancora particolarmente insofferenti sono soprattutto i giovani. Gli stessi con cui Kais Saied quotidianamente si confronta nelle aule universitarie. Il professore recepisce il disagio di molti di loro e avvia una serie di dialoghi all’interno di piattaforme civiche e movimenti universitari. Saied del resto già nel 2011 appare un simpatizzante delle proteste contro Ben Alì. Inizialmente però la sua sembra una partecipazione “neutrale” o esterna alla rivolta. Il suo nome circola più per le interviste che, in qualità di esperto, rilascia sulle dispute legali e costituzionali sui vari mass media.
Nel confronto quotidiano con universitari e con giovani di varia estrazione sociale, nasce il primo vero impegno politico di Saied. Nel 2016 alcune delle piattaforme di dialogo a cui partecipa danno vita al movimento cosiddetto “Mouassissoun”. Si tratta di una formazione che vede in Saied il soggetto più rappresentativo. Anni dopo, intervistato da alcuni media francesi, Khalil Abbess, tra i fondatori di Mouassissoun, parla di Saied come personaggio più mediatico e non come leader.
La rete messa in piedi infatti non si organizza come un partito, bensì come un gruppo di professionisti, cittadini, professori e studenti che portano avanti determinate idee sul futuro della Tunisia, sul superamento del sistema partitico e sulla lotta alla corruzione. E in questo movimento Saied emerge quale personaggio maggiormente in grado di stare sulla scena mediatica. Per questo a un certo punto si decide di spingere lo stesso Saied a candidarsi alle presidenziali del 2019.
La Tunisia arriva alle consultazioni elettorali del 2019 in un quadro profondamente drammatico. Disoccupazione alta, debito pubblico alle stelle e frammentazione politica sono soltanto alcuni dei problemi che affliggono il Paese. Molti cittadini perdono fiducia verso i partiti e verso la primavera del 2011. Cronica la mancanza di prospettive tra i più giovani, i più delusi dalla Tunisia post Ben Alì.
Kais Saied intercetta il loro disagio e lancia un’originale campagna elettorale: niente promesse, niente programmi e soprattutto niente partiti alle spalle. Solo l’intenzione di rilanciare la Tunisia e di portare all’interno del palazzo le istanze recepite in anni di dialoghi e confronti. Quando Saied si candida, di lui complessivamente i tunisini sanno poco. C’è chi lo descrive come conservatore e dunque vicino ad Ennadha, il partito islamico dei Fratelli Musulmani. Saied nei suoi discorsi appare in effetti in linea con i gruppi più tradizionalisti del Paese, ma non ha alcuna tessera partitica e sceglie di non avere apparentamenti.
Il motto della sua campagna elettorale è rappresentato da una linea autonoma e indipendente dal sistema politico fino ad allora interno al parlamento tunisino. Per via del suo modo austero di condurre comizi e incontri elettorali, viene soprannominato “robocop”. Ma il messaggio filtra. Sostenuto dai giovani del ceto medio e dagli studenti universitari, Kais Saied alle presidenziali di ottobre risulta il più votato al primo turno con il 18% dei consensi. Al ballottaggio sfida l’imprenditore Nabil Karoui. Quest’ultimo in quel momento è in carcere per accuse di natura finanziaria e Saied decide, per garantire equilibrio durante la campagna elettorale, di sospendere i comizi. Una mossa che lo rende ancora più popolare. Con oltre i 70% dei voti vince il secondo turno e il 23 ottobre 2019 diventa il settimo presidente della Tunisia.
Kais Saied già nelle prime settimane di mandato ha fama di “decisionista”. Un elemento apprezzato dall’opinione pubblica tunisina delusa da un’eccessiva frammentazione politica che impedisce solide maggioranze in parlamento.
L’apice della strategia di Saied in tal senso lo si raggiunge nel luglio del 2021. La Tunisia in quel momento è allo sbando: alla crisi economica in atto si aggiunge quella causata dal coronavirus. Il parlamento appare paralizzato dai veti tra i principali partiti. E così il presidente decide di congelare l’assise e mandare a casa il governo in carica. Saied viene accusato di golpe bianco, ma lui si difende invocando la costituzione. Del resto, dopo la sua carriera universitaria basata sul diritto costituzionale, Saied nel difendersi citando la carta fondamentale appare a suo agio. Il presidente giustifica la sua mossa con l’articolo 80 della costituzione, il quale dona al capo dello Stato la facoltà di congelare esecutivo e legislativo in caso di emergenza o comprovata crisi.
In poche parole, Kais Saied riesce a mantenere la sua decisione all’interno dell’alveo della legalità. Nell’ottobre del 2021 nomina un “suo” governo, guidato da Najla Bouden Romdhane, prima donna premier della Tunisia. L’esecutivo è chiamato a guidare il Paese fino alle nuove elezioni fissate per il 17 dicembre 2022. Il gradimento dell’elettorato per Saied dopo il colpo di spugna di luglio appare molto elevato. Da robocop, il presidente tunisino passa ad avere la nomina di nuovo rais.
La guerra in Ucraina, esplosa nel febbraio 2022, comporta per la Tunisia un ulteriore aggravamento della crisi economica. Il Paese dipende molto dalle importazioni di grano e farina dalle aree in guerra, i prezzi dei beni di prima necessità di conseguenza iniziano a salire e l’inflazione appare poco sostenibile per le tasche dei cittadini tunisini. Il governo di Saied quindi sembra ancorato ai prestiti chiesti al Fondo Monetario Internazionale (FMI). L’intenzione sembra quella di varare dei piani volti a ricevere almeno due miliardi di Euro dall’istituto con sede a Washington.
All’inizio del 2023 però la situazione si complica. Saied viene accusato di aver indirizzato il suo Paese verso una deriva autoritaria. Inoltre, il presidente tunisino pronuncia parole contro la presenza nel proprio territorio di migranti di origine subsahariana. Frasi che non piacciono agli Stati Uniti, con l’Fmi che sembra orientata a non concedere prestiti. Ma la vera questione riguarda in realtà le riforme: il Fondo chiede stop ai sussidi e maggiori privatizzazioni. Saied rifiuta il piano e mette in risalto la complessità della realtà tunisina. I suoi timori riguardano le possibili conseguenze della fine dei sussidi e della vendita di alcune delle principali aziende del Paese.
Contestualmente, la Tunisia è protagonista di una drammatica stagione migratoria. Dal gennaio al marzo 2023, partono alla volta dell’Italia 15.000 migranti, anche se solo una quota marginale è composta da cittadini tunisini. La situazione allarme l’Italia, con Roma che chiede all’Fmi di concedere almeno alcune tranche ed evitare il fallimento del Paese nordafricano.