Chi è Joe Biden

Joe Biden è il presidente di un’America che, tra sfide geopolitiche e faglie interne, si trova in una fase decisiva per la definizione del suo futuro.

Conquistata la nomination, dopo una corsa in cui si presentava ai nastri di partenza delle primarie del Partito Democratico come uno dei favoriti per il ruolo di sfidante di Donald Trump alle elezioni presidenziali di novembre 2020, e superati tutti gli avversari, da Pete Buttigieg a Bernie Sanders, Biden ha sconfitto l’ex tycoon newyorkese nel voto più contestato della storia recente americana ottenendo l’accesso alla Casa Bianca.

Da Presidente ha provato a impostare un’agenda di rinnovamento del sistema-Paese e di rilancio della sua coesione che si dovuta scontrare prima con le tensioni politiche interne e poi con le difficoltà del suo Partito Democratico nel promuoverla. In politica estera ha dovuto affrontare la sfida della ritirata dall’Afghanistan tornato in mano ai Talebani nel 2021 dopo vent’anni di presenza occidentale e la risposta all’invasione russa dell’Ucraina l’anno successivo.

Joe Biden nei giorni del ritiro Usa dall’Afghanistan

Precoce astro nascente della politica statunitense ai tempi dell’elezione al Senato per lo Stato del Delaware nel 1973 Biden, classe 1942, ha alle spalle una carriera passata per trentasei anni ricoprendo il ruolo di rappresentante del Diamond State a Capitol Hill e per otto, dal 2009 al 2017, nel cruciale ruolo di vicepresidente dell’amministrazione Obama. Rappresentando di fatto il più navigato veterano dell’universo politico a stelle e strisce

Nato nel 1942 in una cittadina di provincia della Pennsylvania, Scranton, e cresciuto tra quest’ultima e il Delaware Biden proviene da una famiglia di middle class ordinaria: il padre, Joe Biden sr., si stabilì in Delaware proprio per portare avanti la sua attività di venditore di macchine usate con cui avrebbe mantenuto la sua famiglia.

Primo di quattro fratelli in una famiglia profondamente cattolica, Biden si formò studiando storia e scienze politiche all’Università del Delaware, facendosi strada grazie a programmi di assistenza e borse di studio fino alla successiva specializzazione in legge a Syracuse.

Ammesso al foro del Delaware, Biden nel 1966 sposò la moglie Neilia Hunter, che sarebbe deceduta in un tragico incidente d’auto nel 1972 assieme a Naomi, la più piccola dei tre figli del futuro capo di Stato, dopo Beau e Robert Hunter, quest’ultimo al centro del famoso caso “Ucrainagate” che ha nel 2020 portato alla votazione, fallita, sull’impeachment del presidente Trump.

La tragica circostanza avvenne poche settimane dopo che Biden aveva, a sorpreso, vinto a soli 31 anni la corsa al seggio senatoriale del Delaware per il Partito Democratico, a cui si era unito appena tre anni prima, sconfiggendo il veterano repubblicano Cale Boggs, che godeva dell’appoggio del presidente Richard Nixon ed era ritenuto tanto favorito da scoraggiare i maggiorenti democratici dallo sfidarlo in prima persona.

Dal gennaio 1973, anno della sua prima elezione, al gennaio 2009, anno di inaugurazione della presidenza Obama, Biden avrebbe costruito una solida carriera da Senatore.

Considerato un democratico centrista, per quanto favorevole in campo economico a misure più aperte in tema di spesa pubblica, Biden in Senato ha esordito con disegni di legge favorevoli ad accelerare il superamento della segregazione razziale per poi specializzarsi su temi quali la giustizia e la politica estera.

Per otto anni a capo del comitato per la Giustizia di Capitol Hill (1987-1995), Biden si costruì una notevole autorevolezza in materia di contrasto al traffico di droga e la prevenzione del crimine. Ha inoltre diretto dal 2001 al 2003 e dal 2007 al 2009 il comitato per gli Affari Internazionali del Senato, risultandone alla guida al momento della risposta agli attentati dell’11 settembre e delle votazioni in Congresso sull’inizio delle ostilità contro l’Iraq di Saddam Hussein.

Critico alla prima guerra del Golfo nel 1990-1991, Biden ha invece appoggiato l’intervento americano in Jugoslavia tra il 1994 e il 1995, promosso assieme al repubblicano John McCain la Kosovo Resolution del 1999 (autorizzante l’amministrazione Clinton a muovere guerra alla Serbia), accettato l’invasione dell’Afghanistan nel 2001 e votato a favore dell’autorizzazione all’uso della forza contro Saddam nel 2002, per quanto in seguito abbia dichiarato che il consenso alla guerra in Iraq sia stato un errore.

Nel frattempo, Biden tentò per due volte la corsa alla nomination democratica, nel 1988 e nel 2008. In quest’ultima occasione, fu scelto come candidato vicepresidente da Barack Obama, risultando dopo la vittoria di Obama contro McCain il primo veep cattolico della storia degli Usa.

Joe Biden, come era logico aspettarsi, ha concentrato la sua attività da vicepresidente, che nella cronaca internazionale pareva quasi marginale, nelle negoziazioni tra democratici e repubblicani in Senato per far passare iniziative bipartisan e portare avanti l’agenda obamiana.

Nei suoi otto anni da vicepresidente, Biden non ha mai promosso un intervento diretto a sbloccare un voto finito in parità in Senato, preferendo, come detto, la mediazione. Tale attività è risultata più facile nel corso del primo mandato, dato che nel 2013 la polarizzazione della contrapposizione tra repubblicani e democratici ha impedito sostanziali avanzamenti legislativi.

Biden ai tempi della vicepresidenza in una visita al Quirinale col Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (Ansa)

Nel corso degli otto anni di Obama, comunque, Biden ha negoziato con la maggioranza repubblicana in Senato il Tax Relief Act del 2010, finalizzato a dare respiro all’economia dopo la Grande Recessione, il Budget Act del 2011, che risolse la crisi del debito Usa e la fine dello shutdown apertosi a fine 2013.

Dopo la fine della presidenza Obama, Biden è risultato uno dei più aspri critici di Donald Trump, nei cui confronti si è espresso spesso con durezza. L’amicizia con John McCain, capofila dei nemici repubblicani del Presidente, fino alla sua morte nel 2018 ha sicuramente contribuito a consolidare un asse tra gli establishment democratici e repubblicani volto a porre un argine alla nuova amministrazione. In questo contesto matura la volontà di Biden di candidarsi alla Casa Bianca, annunciata nell’aprile 2019.

Alle primarie Biden si è trovato di fronte il veterano della sinistra dem Bernie Sanders come principale e più agguerrito avversario, ma ha potuto usufruire del compattamento del voto moderato democratico dopo alcune sconfitte iniziale ottenendo via via l’appoggio dell’ex sindaco di New York Michael Bloombergdella senatrice progressista della California Kamala Harris, del giovane outsider Pete Buttigieg e della deputata delle Hawaii Tulsi Gabbard, ritiartisi durante la corsa, sbancando nel “Super Tuesday” del marzo 2020 e incassando infine anche il via libera di Sanders quando la pandemia di Covid-19 ha iniziato a picchiare duro sugli Usa.

In vista delle elezioni del novembre 2020 Biden ha costruito la sua campagna elettorale sulla contrapposizione a Trump e al trumpismo, sulla ricerca di soluzioni politiche alla problematica della crisi economica e della pandemia, sulla ricerca della rivincita nelle roccaforti dem della Rust Belt cadute in mano repubblicana nel 2016.

Con un programma fondato su un’agenda imponente di spesa pubblica, sul rilancio del welfare, sulla ricerca della coesione nazionale, sulla transizione ecologica e sul rafforzamento delle infrastrutture Biden ha sfidato Trump presentandosi con l’ex avversaria Kamala Harris come candidata vicepresidente. Nelle elezioni del 3 novembre Biden ha sconfitto Trump conquistando 25 Stati e 306 grandi elettori contro i 232 del presidente uscente. Con oltre 81 milioni di voti Biden, presidente più anziano della storia al momento della prima elezione, è risultato inoltre il candidato capace di ottenere il maggior numero di consensi nel voto popolare, sette milioni in più di Trump, ottenendo l’assenso alla sua elezione del 51,6% degli americani che si sono recati alle urne.

Dopo il caos seguito alle contestazioni di Trump, prive di qualsiasi fondamento concreto, su possibili brogli elettorali Biden ha visto la sua presidenza inaugurata il 20 gennaio 2021.

Nella sua amministrazione Biden ha promosso figure di continuità col passato, come il Segretario di Stato Tony Blinken, outsider come il capo del Pentagono generale Lloyd Austin e esponenti della vecchia guardia dell’economia Usa capaci di interpretare il nuovo vento keynesiano come l’ex direttrice della Fed Janet Yellen, scelta come Segretaria del Tesoro. William Burnsex ambasciatore americano in Russia, è stato scelto per il delicato ruolo di direttore della Cia.

Biden al febbraio 2023 alla Laborers’ International Union of North America

L’amministrazione Biden ha fin dall’inizio puntato a promuovere, centrandolo nelle prime settimane, un piano di aiuti anti-Covid in continuità con quello promosso da Trump; sul fronte delle politiche espansive, invece, a settembre 2021 è stato raggiunto coi Repubblicani al Senato un accordo bipartisan per un piano infrastrutturale da un trilione di dollari.

La vicepresidente Kamala Harris è stata impegnata in una gestione complessa della crisi migratoria ai confini col Messico, e trasversale all’impegno politico dell’amministrazione è stata la gestione della campagna vaccinale che, sfruttando la disponibilità di dosi e le capacità logistiche delle forze armate e degli apparati Usa, ha consentito nella primavera 2021 una graduale fine delle restrizioni e un ritorno alla normalità sostanzialmente ordinato.

Sul fronte della politica estera la partita dei vaccini e il rifiuto Usa di fornire nei mesi iniziali del 2021 dosi all’Unione Europea ha prodotto una tensione con Bruxelles, e nel corso dell’anno Biden ha dovuto incassare dalla Germania di Angela Merkel la decisione di portare a compimento il gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2, la cui attivazione è stata poi revocata da Olaf Scholz nel 2022 dopo l’avvio della guerra in Ucraina. Biden si è mosso in continuità con Trump sul fronte del contenimento della Cina nell’Indo-Pacifico e sul fronte del 5G, rafforzando le sanzioni commerciali e puntando ad accelerare il decoupling industriale nei settori strategici.

Tra agosto e settembre 2021 sono andate in scena due svolte fondamentali per gli Usa e i loro alleati: dapprima, il 15 agosto 2021, la caduta di Kabul nelle mani dei Talebani nel pieno del ritiro occidentale dall’Afghanistan, che gli Usa avrebbero perfezionato a fine mese e dopo il quale Biden ha dichiarato la sua volontà di porre un termine alle “guerre infinite”. In seguito, il 15 settembre 2021, Biden ha siglato con il premier australiano Scott Morrison e l’omologo britannico Boris Johnson l’accordo per l’alleanza Aukus, che dà il via libera a una partnership strategica militare e politica nell’Indo-Pacifico focalizzata sul contrasto alla Repubblica Popolare Cinese. Una svolta con cui Biden ha provato a mettere in mostra il motto America is back! con cui si è rivolto al mondo dopo la sua inaugurazione presidenziale, destinata a segnare la geopolitica dell’area più strategica del pianeta negli anni a venire.

La presidenza Biden è profondamente svoltata il 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione russa dell’Ucraina. Nelle settimane precedenti i servizi segreti Usa avevano profondamente coinvolto l’Ucraina di Volodymyr Zelensky avvertendo dei rischi di un attacco di Mosca, mentre Biden aveva più volte sottolineato che mai Washington sarebbe intervenuta militarmente in caso di invasione russa.

L’amministrazione Biden ha, sulla scia di quanto fatto sul campo nonostante le dichiarazioni distensive nell’era Trump, continuato a identificare nella Russia un rivale strategico in Europa e non solo. Dall’inizio del suo mandato con sanzioni mirate e critiche sostenute Biden ha tentato di promuovere un rafforzamento della pressione strategica sulla Russia di Vladimir Putin da lui però incontrato a Ginevra nel giugno 2021. Il meeting ha sancito di fatto l’accettazione reciproca dello status di rivali geopolitici e, nelle intenzioni di Washington e Mosca, avrebbe però dovuto rappresentare anche il primo passo verso una gestione della sfida bilaterale nei settori più caldi, dall’Ucraina alla Siria.

Questo piano a cui l’ambasciatore Burns e lo stesso Biden, con la velata opposizione di Blinken, hanno lavorato, non ha però funzionato anche, se non soprattutto, per la corposa mobilitazione militare russa ai confini dell’Ucraina di cui le agenzie di intelligence Usa hanno continuamente dato notizia a Kiev.

Il 19 febbraio 2022, mentre da giorni Washington avvertiva Kiev della possibile invasione, Biden ha escluso un intervento diretto della Nato in caso di aggressione: “in caso di un attacco reagiremo con sanzioni severe“, ha dichiarato, togliendo dal terreno l’intervento militare.

Dopo lo scoppio della guerra però Biden ha colto al balzo la palla dell’attacco di Vladimir Putin al Paese limitrofo e, sulla scia della programmazione strategica di Blinken, ha usato l’Ucraina per cogliere più piccioni con una fava: in primo luogo, impantanare la Russia in una guerra per procura consolidando l’esercito ucraino inviando armi e appoggio concreto; riprendere le redini dell’Europa saldando a sé i Paesi del Vecchio Continente e mettendo fine alle velleità di autonomia strategica, passanti anche per l’asse con la Russia sull’energia, di Paesi come Francia e Germania; infine, ampliare la Nato e renderla in grado di proiettarsi verso il futuro, come confermato dall’ingresso della Finlandia di Sanna Marin e della Svezia di Magdalena Andersson nell’Alleanza.

La guerra non ha mancato di produrre però contraccolpi interni: l’inflazione è corsa fino alla doppia cifra, l’economia ha sfiorato la recessione, la Fed ha dovuto alzare i tassi per evitare il surriscaldamento dell’economia, il debito privato è tornato a scricchiolare in una fase in cui Wall Street ha perso, nei vari indici, tra un terzo e la metà del suo valore.

Biden e i Dem, di fronte a consensi in crisi, hanno provato a rispondere puntellando la loro agenda con i pacchetti sulla transizione energetica e il rilancio della produzione Usa di semiconduttori per portare l’America in una nuova era.

In particolar modo ha pesato nelle strategie dell’amministrazione l’Inflation Reduction Act, che prevede 370 miliardi di dollari di sussidi a tecnologie critiche e alla transizione energetica con il richiamo agli obiettivi di decarbonizzazione promossi al Cop26 di Glasgow. Una norma ritenuta addirittura troppo invasiva dall’Unione Europea, che l’ha ritenuta l’inizio di una vera e propria sfida commerciale. Mentre il combinato disposto tra l’Ira e il Chips Act, la legge per la costruzione della filiera Usa dei semiconduttori, è stata pensata da Biden come una sfida esplicita alla Cina.

Biden parla dell’agenda infrastrutturale del Paese alla Casa Bianca, 8 dicembre 2022 (ANSA)

Intanto, con la Cina i rapporti sono tornati a infiammarsi dopo la visita dell’estate 2022 di Nancy Pelosi, speaker della Camera dei Rappresentati, a Taiwan. Tra rilancio dell’economia, sfida geopolitica con la Russia, timori per il ritorno di Trump e sfida prospettica con la Cina l’amministrazione Biden sta affrontando, insomma, problematiche complesse, quasi strutturali: e il secondo biennio di governo si preannuncia destinato ad essere sull’ottovolante.

Il voto delle Midterm 2022, primo “referendum” su Biden, ha visto i Democratici cedere il controllo della Camera ai Repubblicani, ma operare un’avanzata insperata al Senato mantenendo tutti i seggi in bilico e conquistando quello conteso della Pennsylvania.

Biden, dato in profondo calo nei sondaggi a novembre 2022, ha in quest’ottica incassato un pareggio rispetto ai sondaggi che lo davano destinato a subire una doppia sconfitta e a perdere oltre 30 seggi alla Camera. Alla prova dei fatti la perdita di seggi alla Camera si è ridotta a una decina, abbastanza per far passare di mano la parte bassa del Congresso al Grand Old Party ma non per gridare al tracollo. Biden è uscito meglio di Trump, Obama e George W. Bush alle sue Midterm-chiave: ma questo segnala, una volta di più, il divisionismo di un Paese sempre più difficile da governare. In cui il ritorno in campo di Donald Trump, che ha annunciato la sua ricandidatura il 15 novembre 2022, aggiunge ulteriori elementi di complessità.

Al Discorso sullo Stato dell’Unione del febbraio 2023, Biden ha lanciato la sfida della discesa in campo per un secondo mandatoHa provato a lanciare un ramoscello ai Repubblicani, proponendo gli spazi di lavoro comune sulla ripresa economica e la lotta all’inflazione. Ha ribadito il sostegno all’Ucraina, la sfida a Russia e Cina e la necessità di lavorare per ricucire il Paese. Ha messo in campo la necessità di creare posti di lavoro e sviluppo. Ha provato, in fin dei conti, a proporre un’idea di futuro. Per la cui realizzazione le incognite sono ovviamente molte, in un Paese sempre più polarizzato.

La prima prova del fuoco è stata superata nel giugno successivo, quando Democratici e Repubblicani hanno trovato l’accordo sul tetto al debito, garantendo l’innalzamento al deficit federale consentito dalla legge e dunque mettendo gli Usa al rischio dalla possibilità di un’insolvenza. L’asse tra Biden e il nuovo Speaker repubblicano della Camera, Kevin McCarthy, è stato osteggiato da Sinistra radicale e conservatori duri e puri. Segno dell’esistenza di un divisionismo che continuerà a aleggiare con gli Usa. E sarà il principale dato politico da analizzare nel prossimo futuro.