Le relazioni internazionali sono cambiate profondamente dalla fine dell’epoca bipolare ad oggi. Il Caucaso meridionale, ad esempio, lungi dall’essere ancora uno dei cortili di casa della Russia, è diventato uno dei teatri della competizione tra grandi potenze in cui si mescolano, intersecano e scontrano gli interessi di una costellazione di giocatori regionali ed extraregionali, in particolare Stati Uniti, Turchia, Israele, Iran, Francia e Cina.
Quanto accaduto nel Karabakh Superiore fra fine settembre e inizio novembre dell’anno scorso è la riprova del fatto che, per capire l’evoluzione delle relazioni internazionali in certi luoghi, occorra dotarsi di nuovi occhiali da lettura. Contrariamente ai primi anni Novanta, il conflitto azero-armeno è avvenuto sullo sfondo di, ed è stato condizionato da, una serie di sottotrame: la volontà del Cremlino di sfruttare gli eventi in chiave anti-Nikol Pashinyan, il protagonismo di Ankara legato all’ambizione di creare un corridoio panturco esteso dall’Anatolia agli –stan e attraversante il Caucaso meridionale, il supporto israeliano a Baku da contestualizzare nel quadro della guerra fredda con Teheran, e l’anelo di Emmanuel Macron di ergere la Francia a stato-guida nella formulazione della politica estera europea.
Sottotrame piccole, separate e sconnesse tra loro, eppure estremamente rilevanti ai fini dell’esito finale del conflitto, che ha incoronato l’Azerbaigian quale vincitore. Naturalmente, il contenuto dell’accordo di cessate il fuoco sarebbe stato radicalmente diverso se fra Russia e Armenia non avesse imperato il gelo diplomatico e se l’Azerbaigian non avesse fatto enormi investimenti nell’ammodernamento del settore militare, grazie al notevole sviluppo economico degli ultimi decenni, portando ad un dislivello incolmabile e determinante tra le due forze armate in conflitto.
Sino ad ora, però, non si è fatto riferimento ad uno degli elementi che maggiormente hanno contribuito a ribaltare parzialmente le sorti della prima guerra del Karabakh Superiore: il fattore Aliyev. Addentrarsi nella biografia e nella mente di Ilham Aliyev, architetto del successo bellico, è fondamentale al fine della comprensione degli accadimenti che hanno riscritto silenziosamente il volto del Caucaso meridionale nell’ultimo ventennio; è lui, infatti, ad aver reso l’Azerbaigian, una potenza energetica e militare, con una politica estera indipendente, di cui vanno riconosciuti status acquisito e potenzialità.
Ilham Aliyev, nome completo Ilham Heydar oglu Aliyev (in azero İlham Heydər oğlu Əliyev), nasce a Baku il 24 dicembre 1961. Unico figlio maschio di Heydar Aliyev, primo segretario del Partito comunista dell’Azerbaigian dal 1969 al 1982, e padre fondatore del nuovo Azerbaigian, Ilham Aliuev, dopo aver terminato il ciclo di istruzione secondaria in patria, nel 1977 si trasferisce in Russia per studiare storia al prestigioso Istituto statale di Mosca per le relazioni internazionali (MGIMO).
La permanenza al MGIMO non sarà per nulla breve: dopo aver conseguito la laurea, nel 1982 inizia un dottorato di ricerca, sempre in scienze storiche, a seguito del quale ottiene di poter tenere lezioni presso lo stesso istituto. L’esperienza di insegnamento durerà ben cinque anni, dal 1985 al 1990, venendo interrotta a causa della caduta dell’Unione sovietica.
Dimostrando di essere uno storico altamente preparato, Aliyev riesce a cogliere celermente la profondità del cambio di paradigma nella consapevolezza che, da sempre, la fine di un’epoca è l’inizio di un’altra. Abbandonato il mondo universitario, il giovane e intraprendente Aliyev entra nel mondo degli affari, facendo la spola fra Mosca e Istanbul sino al 1994.
Terminato il breve ma importante paragrafo affaristico, funzionale ad adornare di competenze pratiche un bagaglio sostanzialmente teorico, Aliyev fa ritorno in Azerbaigian, nel frattempo divenuto indipendente, dove viene accolto in maniera trionfale. Ad attenderlo, infatti, vi saranno il padre Heydar, eletto alla presidenza nel 1993 e destinato a ricoprire tale ruolo sino al 2003, e una posizione allettante da ricoprire: vicepresidente della Socar, la compagnia petrolifera statale azera.
Le aspettative del padre-presidente non vengono tradite: la Socar, sotto l’egida di Ilham Aliyev, incaricato dello sviluppo della strategia di impresa, conclude i primi accordi di natura vincente-vincente con i governi europei per l’esportazione dell’oro nero azero. Dando nuovamente prova dell’abilità di applicare la conoscenza della storia agli affari, il futuro presidente comprende la rilevanza dei giacimenti di risorse naturali ai fini dell’arricchimento e dell’autonomia geopolitica della nazione, tema al quale dedicherà diversi saggi.
Sullo sfondo del coinvolgimento nella Socar, nel 1995 entra in parlamento come deputato e nel 1997 diventa il presidente del Comitato Olimpico Nazionale dell’Azerbaigian; ente, quest’ultimo, che trasforma in un instrumentum regni per la promozione di potere morbido a livello domestico e internazionale.
Tenendo a mente la sempreverde attualità della locuzione “panem et circenses“, Aliyev commissiona la costruzione di ginnasi, l’organizzazione di eventi sportivi e inizia a tessere una ragnatela di amicizie e contatti internazionali che avrebbe generato frutti negli anni della sua presidenza, portando Baku ad ospitare il Gran Premio d’Europa della Formula Uno (2013), l’edizione inaugurale dei Giochi Europei (2015), le Olimpiadi degli scacchi (2016), la quarta edizione dei Giochi della solidarietà islamica (2017) e la finale dell’Europa League (2019).
Aliyev entra in parlamento come deputato nel 1995, venendo eletto quattro anni dopo alla vicepresidenza del Partito del Nuovo Azerbaigian (YAP, Yeni Azərbaycan Partiyası). La corsa alla presidenza del Paese, data per certa sin dal suo ritorno a Baku nel 1994, viene preceduta da una breve esperienza all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, presso la quale dirige la delegazione azera dal 2001 al 2003.
Il 2003 è l’anno della svolta. Aliyev padre rassegna le dimissioni per ragioni di salute, investendo il figlio dell’incarico di primo ministro e spronandolo a partecipare alle presidenziali programmate nello stesso anno per portare avanti il sogno di “un nuovo Azerbaigian”. Le urne consacrano la vittoria di Aliyev figlio, primo con il 75,5% dei voti, rieletto a seguire nel 2008, 2013 e 2018.
I risultati dell’era Aliyev, del resto, non sono opinabili: dimensione dell’economia decuplicata fra il 2004 e il 2014, aspettativa di vita alla nascita in costante aumento (da 68 anni nel 2004 a 72 nel 2018), e riduzione eccezionale dell’indigenza – nel 2001 il 49% della popolazione viveva al di sotto della soglia di povertà, ovvero un azero su due, nel 2016 tale cifra era scesa al 5,9%; un risultato che assume ulteriore rutilanza se raffrontato con i dati di Georgia (21,3%) e Armenia (29,4%) riferiti allo stesso anno.
La fine di un’era è l’inizio di un’altra; è sulla base di questo ragionamento, intriso di cognizione del flusso storico, che Aliyev ha messo in moto un processo di graduale allontanamento dalla Russia all’insegna di un motto: diversificazione. Contrariamente a quanto accaduto in Georgia, e a quanto tentato da Nikol Pashinyan in Armenia, Aliyev non ha mai interpretato l’allontanamento in termini di rottura, ragion per cui ha dato uguale priorità al mantenimento in essere dei rapporti di ottimo vicinato con la Russia e allo sviluppo di nuovi partenariati, in primis con Unione Europea, Turchia, Israele e Iran.
Le iniziative tese a favorire il dialogo interreligioso sono valse ad Aliyev il riconoscimento del patriarcato di Mosca, dal quale ha ottenuto la decorazione dell’Ordine di gloria e onore nel 2010, e il plauso dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica, con la quale ha siglato accordi di cooperazione che hanno trasformato Baku in un’importante sede di eventi culturali e forum internazionali sugli affari islamici.
L’islam riveste un ruolo importante all’interno dell’agenda domestica ed estera di Aliyev, per ragioni identitarie e strumentali, e il suo recupero ha contribuito a favorire l’avvicinamento con la Turchia. L’erosione della primazia russa a Baku è andata di pari passo con l’incremento dell’influenza di Ankara, che, islam a parte, ha trovato nel panturchismo un vettore con cui espandersi dal Caucaso meridionale all’Asia centrale.
Affinità identitarie e comunanza di interessi hanno permesso la nascita di un sodalizio stabile, robusto e duraturo che ha trovato fortuna e diffusione presso le rispettive opinioni pubbliche, plasmate dal panturchismo e storicamente legate da rapporti più fraterni che amichevoli – il concetto di “una nazione, due stati” è popolare tanto in Turchia quanto in Azerbaigian.
Le ottime relazioni bilaterali hanno svolto un ruolo determinante nella realizzazione di progetti infrastrutturali dall’impatto profondo a livello regionale, come l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, il gasdotto Baku-Tbilisi-Erzurum, la ferrovia Baku-Tbilisi-Kars, e internazionale, come il corridoio meridionale del gas incardinato su TAP e TANAP, che hanno permesso ad entrambi i Paesi di accrescere il loro peso nelle dinamiche eurasiatiche.
Dall’Anatolia al Vecchio Continente il passo è stato breve. Attualmente, l’Unione Europea rappresenta il primo mercato di destinazione dei carboni fossili azeri (petrolio e gas) ed è il principale collaboratore commerciale dell’Azerbaigian.
Un altro Paese con il quale Aliyev ha prioritizzato lo stabilimento di un sodalizio fruttuoso è Israele. Le relazioni fra i due popoli sono antiche, pre-esistenti alla costituzione dello stato ebraico, ma è solo a partire dal collasso dell’Unione Sovietica che hanno trovato il modo di evolvere ed ottenere istituzionalizzazione.
Il sodalizio azero-israeliano è stato costruito a partire dalla comune e sentita necessità di limitare l’influenza iraniana nella regione, e si è rivelato estremamente dopo i tempi della prima guerra del Karabakh Superiore, quando l’Azerbaigian ha iniziato ad acquistare armamenti israeliani – uno scenario ripetutosi lo scorso anno e che, come si è visto, ha inciso in maniera significativa sulle sorti del conflitto.
La visione del mondo di Ilham Aliyev è il frutto di un amalgama complesso di obiettivi pragmatici e convinzioni idealistiche, all’interno del quale si incrociano e mescolano panturchismo, turanismo, ecumenismo, eurasiatismo e solidarismo islamico, con il mantenimento di sempre buoni rapporti con l’Occidente. Si tratta di elementi combinati con cautela e nella consapevolezza che dal loro dosaggio calibrato dipende la stabilità dell’intero sistema.
L’eurasiatismo è utile per legittimare il mantenimento in essere del buon vicinato con la Russia e la proiezione verso il Vecchio Continente, il panturchismo rappresenta il fondamento dell’alleanza con la Turchia e della partecipazione al Consiglio Turco, il turanismo è lo strumento che permette di fungere da ponte fra l’Europa e l’Asia e rivendicare il ruolo di ponte fra mondi e civiltà, mentre l’enfasi importante ma non eccessiva sull’appartenenza islamica ha permesso di evitare processi di radicalizzazione fra i fedeli e di promuovere l’Azerbaigian quale casa della tolleranza.
Nel nome del turanismo, scuola di pensiero che ha legato i destini dell’Ungheria di Fidesz e della Turchia dell’AKP, Aliyev ha potuto inquadrare la nazionalizzazione delle masse e l’espansione globale dell’Azerbaigian all’interno di un contesto più ampio, che è quello del risveglio identitario delle popolazioni turciche nel nuovo secolo. I risultati sono manifesti: il governo di Viktor Orban, oltre ad aver sostenuto diplomaticamente Baku nel corso della guerra dello scorso autunno, parteciperà alla ricostruzione del Nagorno Karabakh.
Per non dimenticare i risultati ottenuti nei rapporti con l’Italia, con cui l’Azerbaigian è legato da partenariato strategico, in particolare nel settore energetico, essendone fino ad oggi il principale fornitore di greggio e, proprio dagli ultimi giorni, fornitore di gas tramite il TAP. Tale partenariato, già attivo attraverso i numerosi progetti realizzati in Azerbaigian da aziende italiane e consolidato con le visite di stato del Presidente Mattarella in Azerbaigian nel 2018 e del Presidente Aliyev in Italia nel 2020, verrà rafforzato anche con il coinvolgimento dell’Italia nel processo di ricostruzione del Karabakh, come testimoniato da contratti già conclusi, ad esempio con l’italiana Ansaldo Energia.
La più grande eredità che Aliyev si accinge a trasmettere alla posterità è la liberazione dei territori, considerati inespugnabili sino allo scorso autunno. La memoria della vittoria bellica entrerà a far parte dell’immaginario collettivo, contribuendo a cristallizzare la figura del suo presidente nella storia.
Karabakh Superiore a parte, Aliyev tramanda alle future generazioni un Azerbaigian più sicuro e prospero, complici l’ammodernamento delle forze armate e la diversificazione di partenariati e alleanze, proiettato da una posizione periferica ad una centrale nello scacchiere eurasiatico.