Il 9 novembre 2016 gli Stati Uniti sono in fermento: Donald Trump ha vinto le presidenziali. Con la sconfitta di Hillary Clinton il sogno di avere una donna alla guida della Casa Bianca svanisce ancora una volta, ma ora qualcosa potrebbe cambiare, grazie a Elizabeth Warren.
Settant’anni, dopo un passato tra le file dei Repubblicani, dal 1996 milita nel Partito democratico e siede a Capitol Hill come senatrice del Massachusetts. È candidata alle primarie del suo partito e, secondo gli ultimi sondaggi, potrebbe vincerle superando il favorito Joe Biden. Per poi sfidare Trump.
Elizabeth Ann Herring nasce in una famiglia della classe media dell’Oklahoma. Inizia gli studi alla George Washington University, ma presto li abbandona per sposarsi con Jim Warren, l’amore del liceo. I due si trasferiscono a Houston ed Elizabeth si laurea in patologia del linguaggio e audiologia. Dopo un secondo trasferimento, questa volta in New Jersey, e la nascita della prima figlia, Elizabeth si laurea per la seconda volta alla Rutgers Law School. Nasce il secondo figlio. Elizabeth e James divorziano nel 1978, dopo 10 anni di matrimonio, e lei si risposa con Bruce H. Mann, decidendo comunque di mantenere il cognome del primo marito.
A partire dagli anni Settanta inizia ad insegnare in varie Università americane. Nel frattempo, porta avanti approfondite ricerche sul tema della bancarotta. Nel 1992 ottiene la cattedra di Diritto Commerciale ad Harvard.
La carriera politica inizia nel 1991, quando Elizabeth si iscrive al Partito Repubblicano dell’allora presidente H.W. Bush, condividendo le critiche rivolte all’eccessiva intromissione dello Stato nelle questioni economiche. Nel 1993 dirà al Philadelphia Inquirer: “Le norme sono sempre di più, vanno ormai oltre ogni immaginazione. E le norme sono tasse, è come se l’Agenzia delle Entrate mettesse le mani nelle tasche dei cittadini e si prendesse il 33% dei loro guadagni”. Affermazioni che farebbero rabbrividire anche il più moderato dei democratici, ma che Warren non ha mai negato: “Ad un certo punto mi sono resa conto che tutti i Repubblicani erano dalla parte delle banche, mentre solo metà dei Democratici le appoggiava”, ha scherzato con il New York Times, interrogata sul cambio di rotta. “Ho scelto la mia battaglia, e la sto combattendo tutt’ora”. Abbandonati i repubblicani nel 1996, diventa senatrice per il Massachusetts con il Partito democratico. È il 2012.
La virata di Warren riguardo alle banche è netta: se prima sosteneva la filosofia del laissez-faire economico, dal 2008 al 2011 è membro della commissione governativa che cerca di stabilizzare l’economia e salvare il sistema finanziario distrutto dalla crisi. Partecipa quindi ai lavori per il Dodd-Frank Act, una complessa serie di misure che mirano proprio a regolamentare la giungla della finanza statunitense. “La morale di tutta questa storia è semplice: senza regole, i mercati finanziari semplicemente non funzionano”: a parlare è la stessa Elizabeth che, 15 anni prima, criticava il governo per l’eccesso di interventismo economico.
Dopo il passaggio a sinistra Warren inizia ad interessarsi anche alla tutela dei consumatori: il Consumer Protection Financial Bureau nasce dalle costole del Dodd-Frank Act proprio grazie al suo impegno. Il nuovo atteggiamento verso le banche, sempre più duro, diventa apertamente ostile nel 2017, quando Warren afferma: “Ho creato molti dei presupposti ideologici di Occupy Wall Street – il movimento anticapitalista sviluppatosi a partire dal 2011 a Zuccotti Park, a pochi minuti dal centro finanziario di Manhattan – e supporto l’operato del gruppo”.
Una delle tematiche che ha portato Elizabeth Warren al centro dei riflettori mediatici è la sua ferma opposizione ai giganti della Silicon Valley, che considera ormai troppo potenti e non sufficientemente regolamentati. Una delle sue proposte più controverse mira proprio a smembrare colossi come Facebook o Amazon. In un articolo pubblicato sulla sua pagina Medium, Warren sostiene infatti che “oggi queste compagnie hanno troppo potere, troppo potere sull’economia, sulla società e sulla democrazia. Hanno eliminato la competizione, usano le informazioni personali degli utenti per il proprio profitto e, nel farlo, danneggiano le piccole attività e soffocano l’innovazione”. Warren intende porre limiti all’azione delle società tecnologiche, per esempio vietando che un provider possa offrire un servizio di marketplace virtuale e allo stesso tempo, vendere i propri prodotti sulla stessa piattaforma. Il che è esattamente ciò che sta facendo Amazon con la sua linea di prodotti Amazon Basics.
Quando l’azienda di Jeff Bezos ha tentato di costruire una nuova sede nel Queens, a New York, le amministrazioni della città e dell’omonimo Stato avevano offerto all’azienda un pacchetto di incentivi da tre miliardi di dollari. Il piano è stato poi ritirato a causa dell’opposizione da parte di politici, attivisti e comunità locali. Warren ha festeggiato twittando: “Una delle compagnie più ricche del mondo ha appena rinunciato a miliardi di dollari in sconti sulle tasse, perché ancora non erano abbastanza: fino a quando permetteremo alle imprese di tenere in ostaggio la nostra democrazia?”
L’ostilità di Warren verso le compagnie tech passa anche per Menlo Park, dove la minaccia di smembrare Facebook – che controlla anche Whatsapp e Instagram – ha fatto impallidire Mark Zuckerberg. In un file audio diffuso dal sito The Verge Zuckerberg dice, durante una sessione di Q&A con i dipendenti: “Ci sono persone come Elizabeth Warren che pensano che la soluzione sia ridimensionare le aziende… se viene eletta presidente, scommetto che avremo guai legali, che vinceremo, ma comunque non vorrei trovarmi in causa contro il governo…”.
In settembre, Facebook ha comunicato un cambio di policy con il quale intende escludere, di fatto, i post di natura politica dalla procedura di fact-checking applicata a molti contenuti: “Crediamo non sia nostro compito arbitrare il dibattito politico” ha detto Nick Clegg, capo della comunicazione di FB. Warren si è opposta alla decisione sponsorizzando una fake news in cui si afferma che Zuckerberg è un fermo sostenitore di Trump. Il post è stato velocemente approvato e pubblicato, pronto per essere condiviso da milioni di persone in tutto il mondo. “Ancora una volta Facebook fallisce nella battaglia contro la disinformazione in politica, perché quando è il momento di decidere tra profitti e democrazia, Facebook sceglie il profitto” ha twittato la senatrice.
Le minoranze etniche sono un tema particolarmente spinoso per la campagna elettorale di Elizabeth Warren. Fin dall’inizio della sua carriera politica, con la sfida a Scott Brown per il Senato del Massachusetts, Warren ha sostenuto di discendere dai nativi americani. Proprio per questo Trump, che non ha mai creduto alla storia, si è più volte riferito a lei con il soprannome di “Pocahontas”. Il presidente ha anche promesso: “Donerò un milione di dollari in beneficenza se riuscirà a provare le sue origini”. Nel 2018, per mettere a tacere il presidente, Warren ha deciso di sottoporsi a un test del Dna i cui risultati hanno effettivamente confermato la presenza di sangue nativo risalente a sei-dieci generazioni prima. La mossa si è però trasformata in un autogol: i leader della comunità indigena hanno largamente criticato la decisione di sottoporsi al test, poiché “l’appartenenza non è data dal sangue, ma è insita nella cultura e nelle leggi che scegliamo di seguire”. In febbraio, Warren si è pubblicamente scusata al Native American Presidential Forum, in Iowa. In ogni caso, Trump non ha mai pagato il suo debito.
Un altro punto critico è rappresentato dalla comunità afroamericana, che si sta rivelando essere una delle sue più grandi sfide. Il supporto di questo gruppo massiccio è fondamentale in Stati-chiave come Texas, Nord e Sud Carolina o Virginia, e ha dato una grande spinta alla vittoria di Obama e Hillary Clinton. Il problema principale è che gli afroamericani non conoscono Warren, mentre vedono in Joe Biden un candidato forte con cui sentono di avere già confidenza. In un’intervista, il responsabile della campagna di Warren ha detto: “I dati ci dicono che le persone di colore non conoscono Elizabeth, non ne hanno mai sentito parlare”.
Elizabeth Warren è una convinta sostenitrice del piano Medicare for All che punta a creare un programma di copertura sanitaria esteso a tutti i cittadini americani, completamente gestito dal Governo federale. Il dibattito sulle assicurazioni sanitarie è un evergreen della politica statunitense: oggi, circa 30 milioni di persone non sono assicurate e i costi insostenibili della sanità sono uno dei principali motivi di bancarotta per le famiglie americane. Il sistema sostenuto da Warren prevede che sia il governo a farsi carico delle spese sanitarie, sostituendosi ai cittadini. In realtà, il “Medicare” esiste già in America, ma è accessibile solo dalle persone con più di 65 anni. Estendere il programma all’intera popolazione comporterebbe un costo stimato intorno ai 34 trilioni di dollari nei primi dieci anni di attività. Sì: trilioni. Proprio per questo, l’idea è stata a lungo considerata come poco più che un sogno ad occhi aperti. Durante il dibattito tra i candidati alle primarie democratiche del 15 ottobre Warren è stata più volte attaccata dai suoi sfidanti, che la incalzavano perché spiegasse nei dettagli come intende sostenere la spesa necessaria per ristrutturare il sistema sanitario del terzo Paese più popoloso al mondo. Warren non ha fornito una risposta chiara.
Sulle tematiche dell’ambiente e dei diritti per la comunità non-binary, che infiammano il dibattito pubblico americano, Elizabeth Warren si posiziona in modo deciso nella sinistra dello spettro politico. “Come prima cosa, mi batterò per l’approvazione dell’Equality Act, che garantisce la non discriminazione per tutti coloro che si identificano nella comunità Lgbtq+”. Il Decreto mira a proibire qualsiasi forma di discriminazione basata su sesso, genere, orientamento sessuale o stereotipi di genere. È stato approvato dalla Camera dei Rappresentanti nel maggio 2019 ma il via libera del Senato, ora a maggioranza conservatrice, sembra compromesso.
Durante un confronto organizzato dalla Cnn, il moderatore Morgan Cox ha chiesto a Warren cosa risponderebbe “se un elettore venisse da lei e le dicesse: ‘sono all’antica, secondo me il matrimonio unisce un uomo e una donna’”. Warren ha detto: “Credo che l’elettore in questione sia un uomo… quindi gli risponderei di sposare una donna, sempre ammesso che ne trovi una”. Lo scambio è presto diventato virale.
Altro argomento controverso è l’ambiente. Se eletta, Warren si è impegnata ad implementare un piano decennale che renderà l’America un Paese ecosostenibile, completamente dipendente dall’energia pulita. “Sfido ogni altro candidato a fare la stessa proposta”, ha scritto su Medium.
Infine, Warren punta a migliorare le condizioni di vita non solo negli Stati Uniti, ma a livello globale, tramite una revisione degli accordi commerciali. Il suo piano prevede di alzare l’asticella firmando partnership soltanto con paesi che soddisfino determinati requisiti sulle condizioni dei lavoratori e sull’ambiente. Queste misure non implicano riforme interne, ma mirano a migliorare gli standard nel Sud del mondo.
Le primarie del Partito democratico americano si terranno tra febbraio e giugno 2020. Secondo i più recenti sondaggi, i principali contendenti sono Elizabeth Warren e Joe Biden, seguiti dall’indipendente Bernie Sander e dall’ex procuratrice generale della California Kamala Harris. Uno di loro sfiderà Trump alle presidenziali di novembre. Sarà una bella lotta.