La Guerra fredda è stata un’epoca di conflitti per procura, rivoluzioni pilotate, omicidi politici, terrorismo e misteri, tanti misteri. Fra i personaggi più enigmatici ed emblematici del periodo storico più misteriosofico del Novecento ve n’è uno che risalta in maniera particolare. Questi, un guerrigliero ed un terrorista che ha dedicato la propria esistenza alle cause più disparate, dall’anti-imperialismo di stampo marxista-leninista all’antisionismo, è ancora in vita e si chiama Ilich Ramírez Sánchez, sebbene il mondo lo conosca come Carlos lo sciacallo.
Ilich Ramírez Sánchez nasce a Michelena (Venezuela) il 12 ottobre 1949. Figlio di una coppia molto sui generis, la devota cattolica Elba María Sánchez e l’avvocato marxista José Altagracia Ramírez Navas, Ramírez Sánchez sarebbe cresciuto seguendo le orme e subendo l’influenza del carismatico e autoritario padre.
Perché se è vero che nomen omen, il giovane venezuelano nulla avrebbe potuto per fuggire da un fato ascritto alla nascita ed emblematizzato anagraficamente in Ilich, il secondo (e meno conosciuto) nome del rivoluzionario più celebre del Novecento: Lenin. Educato al rispetto e alla venerazione del comunismo, a soli dieci anni entra a far parte del movimento giovanile del Partito comunista venezuelano e a diciassette – gennaio 1966 – partecipa con il padre alla storica Conferenza Trilaterale di L’Avana, un evento allestito nell’ambito della guerra culturale agli Stati Uniti da parte del paragrafo latinoamericano dell’internazionale rossa.
Entro fine anno, il giovane avrebbe assistito all’inevitabile divorzio dei genitori: troppo differenti per stare insieme, troppo rancore da parte della madre per il modo in cui l’avvocato José aveva deciso singolarmente di educare il primogenito Ilich e i fratelli minori, Vladimir e Lenin.
Partito con la madre alla volta di Londra, sceglie comunque di seguire la via alla quale è stato iniziato dal padre. Separati da un oceano, ma uniti dall’amore per un’ideologia, padre e figlio trovano un accordo riguardante il percorso di studi dell’ultimo: obiettivo laurearsi all’università Patrice Lumumba di Mosca (oggi RUDN, Università russa dell’amicizia tra i popoli).
Gli studi, però, non fanno per Ilich. Espulso dall’università nel 1970, lo stesso anno avrebbe deciso di lasciarsi alle spalle la vita di rivoluzionario rosa, da comunista da salotto, partendo in direzione di Beirut. Sarebbe stato l’inizio di una lunga carriera, ma nella guerriglia e nel terrorismo, che anni dopo lo avrebbe trasformato ne “lo sciacallo”.
Giunto a Beirut, Ramírez Sánchez si arruola come combattente straniero volontario nelle milizie del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Inviato ad Amman (Giordania) per apprendere i segreti della guerra asimmetrica, verrà poi reindirizzato lungo il confine siro-iraqeno per trasformare la teoria in pratica.
Ed è qui, tra Libano e Siria, che Ilich, dimentico della vita precedente da rivoluzionario rosa, avrebbe assunto una nuova identità, e dato inizio ad una nuova esistenza, assumendo un nuovo nome: Carlos. Il “venezuelano venuto da Mosca” avrebbe scalato rapidamente i vertici piramidali del FPLP, distinguendosi per l’ardore, la disciplina e il notevole bagaglio culturale posseduto, un retaggio della gioventù passata a studiare geometricamente ogni angolo del confronto tra capitalismo e comunismo.
In prima linea durante quel periodo passato alla storia come “settembre nero in Giordania”, ovverosia la guerra tra re Hussein e i combattenti palestinesi, Carlos si costruisce una reputazione di duro e di combattente sfrontato. Quando la battaglia finisce, con la cacciata del FPLP da Amman, lui si sposta a Londra per riprendere gli studi all’università di Westminter, ma il suo nome avrebbe continuato a riecheggiare in lungo e in largo per i circoli filopalestinesi di tutto il Medio Oriente.
A Londra, Carlos avrebbe ricordato una verità dimenticata: l’avversione allo studio. Nuovamente agganciato dal FPLP, o forse mai del tutto allontanatosi da esso, nel 1973 tenta di uccidere Joseph Sieff, il numero due della Federazione Sionista Britannica, come rappresaglia per la recente eliminazione di Mohamed Boudia, ucciso a Parigi dal Mossad.
Sempre a Londra, Carlos orchestra un attentato (anch’esso fallito) contro la sede locale della “cassaforte del sionismo”, la Banca Hapoalim. Costretto alla fuga, perché il terreno ha ceduto sotto i colpi dei gravi eventi delittuosi, il guerrigliero-terrorista ripara nell’Europa continentale, altalenando fra Paesi Bassi e Francia, dove continua a operare al fine della realizzazione dell’agenda estera del FPLP.
Gli anni dell’Europa continentale coincidono, tra i vari eventi, con l’attacco all’ambasciata francese dell’Aia (1974), gli attentati all’aeroporto di Orly (1975) e l’uccisione di due agenti dell’intelligence civile francese. Di nuovo, dopo aver bruciato il terreno sul quale cammina, cambia teatro operativo facendo ritorno in Medio Oriente.
Tornato in Europa, a cavallo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, ha inizio una lunga stagione di attentati, consumati con successo o falliti, dietro alla quale è stato provato, o supposto, il suo coinvolgimento. Nell’elenco del terrore rientrano l’attentato agli uffici tedeschi di Radio Europa Libera (1981), la strage sul Capitole ad Ambazac (1982), l’attacco alla sede parigina della rivista Al-Watan al-Arabi (1982), l’attacco con razzi alla centrale elettronucleare Super-Phénix (1982), le bombe alla stazione centrale di Marsiglia e sui TGV (1983) e l’attentato al consolato francese a Berlino Ovest (1983) compiuto con la collaborazione dell’Esercito segreto armeno per la liberazione dell’Armenia.
Il triennio di sangue, determinante nel consacrarlo al pubblico come “lo sciacallo”, si sarebbe concluso con un bollettino di guerra: più di 15 morti e oltre 230 feriti. Inutile sottolineare che continui ad essere avvolto dal manto del mistero l’argomento “la rete di Carlos”, esistendo teorie – non per forza reciprocamente escludenti – che collegano la sua persona, oltre che al FPLP, a KGB, Stasi, Securitate e servizi segreti di altre nazioni comuniste.
Dei numerosi fatti di sangue che hanno trasformato il venezuelano venuto da Mosca in Carlos lo sciacallo, uno risalta fra tutti: lo storico assalto al quartier generale dell’OPEC di Vienna. È un gelido giorno di inverno nella capitale austriaca, il 21 dicembre per l’esattezza, e i ministri del petrolio dell’OPEC sono riuniti in conferenza.
Il clima di quiete dei lavori viene interrotto improvvisamente da un commando armato composto da sei persone, le quali irrompono nell’edificio e prendono in ostaggio gli oltre sessanta presenti. Dicono di appartenere al fronte palestinese e che uccideranno un ostaggio ogni quindici minuti. Dicono che vogliono inviare un messaggio al mondo intero, gettare l’attenzione sulla questione della Palestina, e sono guidati dal più celebre dei terroristi internazionali dell’epoca: Carlos.
Per dare prova della serietà delle loro intenzioni, i sei uccidono un membro della delegazione libica, un impiegato iraqeno e un poliziotto austriaco. Le trasmissioni televisive di tutto il mondo si fermano, da Vienna a Buenos Aires, interrotte per dare comunicazione dell’assalto.
Il governo austriaco, dopo aver discusso dell’argomento con i vertici dei Paesi OPEC, opta per la linea del non-intervento: è tassativo che la vita degli ostaggi abbia la precedenza su ogni altra cosa. Le autorità acconsentono alla messa a disposizione di un volo di fuga per i sequestratori. Il 23, due giorni dopo, Carlos, i cinque terroristi e quarantadue ostaggi partono alla volta di Algeri – dove sarebbero stati poi liberati –, non prima di aver meticolosamente caricato il velivolo di esplosivo da utilizzare come ultima spiaggia.
Nessuno avrebbe mai dimenticato il bagno di sangue provocato dallo Sciacallo in tutta Europa, perciò il terrorista a cavallo fra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 avrebbe trovato rifugio in Medio Oriente. Costretto “all’inattività” dal governo siriano, suo protettore e garante, il richiamo all’azione lo avrebbe tradito.
Dopo aver accettato una proposta di collaborazione dall’Iraq di Saddam Hussein all’alba della prima guerra del golfo, Carlos viene espulso da Damasco. Il lavoro per l’Iraq non verrà mai portato a termine, né è noto di cosa si trattasse, ma il “no” della famiglia Assad è categorico. Lo sciacallo, dopo un breve soggiorno in Giordania, trova rifugio in Sudan, a Khartoum. Qui, il 14 agosto 1994, al termine di trattative segrete tra Khartoum e Parigi, e triangolate da Washington, viene sedato nel sonno e trasportato nella capitale francese per affrontare gli innumerevoli processi che lo attendevano da più di un decennio.
Condannato all’ergastolo tre anni più tardi, lo Sciacallo avrebbe comunque trovato il modo di far parlare di sé: dapprima inaugurando un rapporto epistolare con l’allora presidente venezuelano Hugo Chavez e dopo tentando di trasformare (senza successo) il proprio regime carcerario duro in un caso di violazione dei diritti umani.
Il carcere non ha ucciso il lato più profondo di Ramírez Sánchez che, proprio dietro le sbarre, nel 2001 è rinato nell’islam e nel 2003 ha pubblicato un libro, Islam rivoluzionario, rivelatosi un piccolo successo editoriale. Il testo, molto controverso, è un’affermazione energica e perentoria di ciò in cui Carlos ha creduto: l’anticapitalismo, la lotta di classe e l’anti-imperialismo.
I capitoli mescolano letture indubbiamente interessanti sull’assetto delle relazioni internazionali e sulla questione del divario tra mondo avanzato e sottosviluppato e passaggi elogiativi di difficile digestione indirizzati al terrorista internazionale più ricercato dell’epoca, Osama bin Laden, colui che riuscì dove Carlos fallì: portare il terrore nel cuore dell’America.