Bernie Sanders comizio (La Presse)

Chi è Bernie Sanders

Nato nel 1941 a Brooklyn da due coniugi ebrei di origine esteuropea (madre russa, padre polacco) e laureato all’Università di Chicago, Bernie Sanders è uno dei grandi protagonisti della storia politica degli ultimi decenni del Partito Democratico statunitense. Dal 1968 si è radicato nel Vermont, suo Stato di adozione, perchè affasinato “dalla vita rurale” e ivi ha svolto una serie eterogenea di professioni (dal carpentiere al giornalista) affiancandola all’impegno contro la guerra in Vietnam e all’attivismo politico. Salvo gli esordi nella Liberty Union (dal 1971 al 1979), partito socialista rivoluzionario, e una breve parentesi di iscrizione personale al Partito Democratico (2015-2016) Sanders è rimasto in tutto e per tutto un indipendente. E da tale ha costruito buona parte delle sue fortune politiche.

La storia politica di Sanders è quella di un uomo controcorrente. Un leader politico che non considera anatema la possibilità di definirsi socialist, ovviamente declinato in inglese, perchè quello di Sanders è il socialismo adattato allo spirito americano: sulla scia dei grandi pensatori americani del suo campo politico, da Charles Wright Mills a Noam Chomsky, Sanders declina all’interno di uno dei grandi partiti di massa statunitensi una visione controcorrente. Fondata, in nuce, sul rilancio della contrapposizione centro-periferia che l’elezione di Donald Trump nel 2016 e l’exploit dello stesso Sanders nella corsa alla nomination dell’Asinello avevano fatto evidenziare negli Usa.

Politico navigato con alle spalle una lunga esperienza al Congresso statunitense, il quasi 79enne Bernie Sanders ha sfiorato per due volte la vittoria nella corsa verso la nomination presidenziale del Partito Democratico, tentando l’assalto ai candidati dell’establishment del partito nel 2016 contro Hillary Clinton e nel 2020 contro Joe Biden.

Dal 2016 al 2020 Sanders ha ulteriormente accentuato i tratti salienti del suo profilo politico: egli rappresenta infatti l’ala più a sinistra del campo democratico e il suo posizionamento a favore della lotta alle disuguaglianze, della critica al libero scambio e della sanità universale lo pongono in controtendenza con buona parte dei suoi sfidanti, da Joe Biden a Pete Buttigieg. Sconfitto in entrambe le occasioni, Sanders non ha tuttavia mancato di radunare attorno alle sue istanze una quota di consenso tale da condizionare, da sinistra, l’evoluzione della piattaforma politica democratica.

Sanders è uomo profondamente radicato nel suo Stato di elezione, il Vermont. In Vermont il giovane socialista Sanders riuscì, appena 38enne, a conquistare a sorpresa la poltrona di sindaco della città di Burlington nel 1980, puntando su un’agenda fortemente progressista, inclusiva e fondata sulla spesa sociale.

Una serie di programmi di spesa per la riqualificazione urbana, i servizi ai cittadini (sanità, istruzione, sicurezza) e l’inclusione delle fasce più povere della popolazione garantirono a Sanders un consenso trasversale tra la popolazione, tre riconferme consecutive per otto anni complessivi di mandato e un aumento della sua popolarità su scala nazionale.

La Burlington di Sanders, che da indipendente si appoggiava soprattutto sul localista Partito Progressista del Vermont, ospitava filosofi del calibro di Noam Chomsky,approvava risoluzioni contro la politica estera avventurosa dell’amministrazione Reagan (specie in riferimento alla condotta della Cia in America Latina e al sostegno alle dittature militari).

Due corse concluse senza successo alla carica di Governatore del Vermont (1986) e a un seggio congressuale (1988) sarebbero state solo un intermezzo temporaneo. Nel 1990 Sanders vinse il seggio della Camera dei Rappresentanti del Vermont, divenendo il primo politico dichiaratamente socialist a conquistare un posto al suo interno e il primo concorrente indipendente a riuscirvi da circa quarant’anni.

Come scriveva nel 1990 il Washington Post, Sanders nei suoi discorsi d’esordio faceva suoi temi che avrebbero acquisito drammatica immanenza al termine della Grande Recessione ma che al termine dell’era dell’edonismo reaganiano e della vittoria statunitense nella Guerra Fredda apparivano anatema. “In Vermont”, diceva Sanders, “riteniamo ci sia qualcosa di sbagliato nel fatto che l’1% più ricco della popolazione statunitense ha raddoppiato il suo reddito negli ultimi dieci anni, mentre la classe media ha perso terreno”. La denuncia della disuguaglianza economica e della scarsa convinzione del Partito Democratico nel combatterla sarebbero rimasti una costante nella carriera di Sanders.

Democratici e repubblicani, in misura bipartisan, furono criticati da Sanders nel corso della sua esperienza da deputato. Ai repubblicani Sanders non perdonava l’aver imboccato, con Reagan, la strada della liberalizzazione e della destrutturazione del compromesso fondato sul New Deal. Ai democratici, soprattutto nell’era Clinton, Sanders rinfacciava l’abbraccio convinto della globalizzazione, l’abbandono della lotta alle disuguaglianze e la scelta di cavalcare la finanziarizzazione dell’economia.

Tra la fine degli Anni Novanta e l’inizio degli Anni Duemila Sanders si posizionò contro determinate riforme e iniziative che, col senno di poi, si sarebbero rivelate, rovinose per gli Stati Uniti e controproducenti per la popolazione e l’economia, sfidando la convergenza bipartisan tra Democratici e Repubblicani alla guida di un caucus progressista, il Congressional Progressive Caucus, in cui agglomerava la fronda di sinistra dei democratici critici della svolta impressa da Clinton.

In questa sede maturarono l’opposizione all’abolizione del Glass-Steagall Actla riforma di Franklin Delano Roosevelt che divideva banche commerciali e banche d’affari, la cui cancellazione aprì la strada alla slavina economica del 2007-2008, il rifiuto delle riforme fiscali e dei tagli ai servizi sociali operati dal governo di George W. Bush, le critiche al Patriot Act approvato dopo l’11 settembre e la sua condanna dell’attacco all’Iraq iniziato nel 2003.

Una vera e propria presa di posizione da “coscienza critica” dell’America, che non impedì a Sanders di portare all’incasso diversi provvedimenti sulla limitazione all’uso delle armi, la difesa dei programmi di assistenza sociale e la lotta alla violenza sulel donne. Nel 2006, con l’amministrazione Bush in crisi, la vittoria di Sanders alla corsa al posto di Senatore del Vermont lo proiettò in una posizione decisiva: i democratici iniziarono a ritenere necessario l’appoggio del suo voto indipendente per tenere sotto i repubblicani (che controllavano 49 seggi contro i 50 democratici).

Nei primi sei anni da senatore Sanders vide venire al pettine numerosi nodi: la crisi americana in Iraq e Afghanistan si manifestava come sempre più grave, mentre il crac finanziario del 2008 rischiò di precipitare nel panico il Paese.

E nemmeno l’amministrazione di Barack Obama avrebbe ricevuto sconti: nel 2010 Sanders parlò per 8 ore e 34 minuti in Senato per tentare di imporre l’ostruzionismo contro una riforma fiscale da lui ritenuta in continuità con le manovre dell’era Bush. Nel corso degli anni a Capitol Hill, Sanders amplificò i toni anti-establishment, polarizzando il dibattito attorno a fenomeni come la rapacità del sistema finanziario e le conseguenze della crisi e divenendo il punto di riferimento di sindacati, associazioni di lavoratori e movimenti come “Occupy Wall Street”.

In questo clima matura l’entusiasmante corsa del 2016 per la nomination democratica. Sanders emerse tra il 2015 e il 2016 come l’unico sfidante capace di contendere seriamente a Hillary Clinton la possibilità di diventare lo sfidante di Donald J. Trump. La Clinton riuscì a sorpavanzare l’agenda progressista, radicale e statalista di Sanders anche in virtù del sostegno dell’establishment del partito, che WikiLeaks ha accusato essersi trasformato in una vera e propria “combine” contro Sanders.

Il duro ko della Clinton contro Trump, in un certo senso, ha riscattato Sanders: la via per conquistare l’America passava dagli Stati del Paese profondo, colpiti dalla deindustrializzazione, dal calo delle aspettative economiche e, soprattutto, dalla sfiducia: i forgotten men che hanno premiato Sanders alle primarie democratiche nel 2016 in Stati come Pennsylvania e Michigan hanno votato Trump o si sono astenuti al momento della sfida tra il tycoon e l’ex First Lady.

Nel 2020 Sanders si presenta come l’anti-Trump capace di riportare i democratici al successo in una terra lasciata libera alle scorribande dei repubblicani, quella dei flyover States lontani dalle metropoli rivierasche. Sanders, tuttavia, ha fallito nel tentativo di ampliare il suo consenso oltre le fasce giovani della popolazione e le categorie più deboli, su cui pende la spada di Damocle della scarsa partecipazione al voto. Il vecchio leone del Vermont rimane un ottimo comunicatore e un leader capace di suscitare forti passioni, ma la sfida all’establishment democratico si preannunciava fin dall’inizio tutta in salita, nonostante la capacità del Senatore di annullare i rischi posti inizialmente alla sua campagna dall’incognita salute (è reduce da un intervento per un infarto occorsogli nel 2019). 

Front-runner all’inizio della corsa, vincitore di due delle prime tre corse in South Carolina e Nevada, appaiato a Buttigieg in Iowa, Sanders ha subito poi il compattamento dei candidati “di sistema” sulla figura di Biden a partire dal Super Tuesday, quando nonostante un roboante successo in California, lo Stato più grande dell’Unione, ha subito un decisivo distacco dall’ex vicepresidente.

I politologi americani sono concordi nel sottolineare che Sanders abbia avuto difficoltà a far sfondare il suo elettorato nelle periferie urbane, nelle minoranze e al di fuori di un blocco comprendente giovani, elettori ideologizzati, esponenti degli Stati più profondi. Soprattutto, l’anziano senatore è stato isolato da un vero e proprio cordone sanitario connesso al graduale abbandono della corsa di Michael Bloomberg, Pete Buttigieg, Kamala Harris e Elizabeth Warren senza che i consensi di nessuna di queste figure convergessero esplicitamente su di lui. L’estremismo ideologico di una fetta di sinistra democratica che lo sosteneva, con la giovane deputata Alexandria Ocasio-Cortez in testa, non condiviso direttamente da Sanders, ha rappresentato un ulteriore fattore di criticità della sua campagna.

Dopo lo scoppio della pandemia di coronavirus, Sanders si è uniformato al resto del partito nel concentrare il “fuoco” su Donald Trump e l’8 aprile 2020 ha sospeso la sua campagna concedendo l’endorsement formale a Biden.

Sanders si è dimostrato un leale sostenitore di Biden in occasione della corsa alla presidenza di questi culminata nella vittoria elettorale contro Trump del 3 novembre 2020, frutto di un’agenda politica che ha permesso a Biden di riconquistare gli Stati “dimenticati” nel 2016 nella Rust Belt. Complice la crisi economica da Covid-19 Biden nella sua piattaforma programmatica per la corsa alla Casa Bianca ha previsto di rivoluzionare le catene del valore strategiche dell’industria americana con l’obiettivo di “usare tutto il potere del governo federale per rilanciare il potenziale manifatturiero” del Paese, implementare una strategia a tutto campo per garantire il rifornimento di “dispositivi critici” come i presidi sanitari e lavorare con gli alleati per “aprire nuovi mercati all’export statunitense”, aprendo di fatto alla re-industrializzazione del Paese e sfidando lo slogan trumpiano “Buy American, Hire American” sul suo stesso terreno. Una ripresa formale, dunque, delle proposte sandersiane che ha trovato applicazione diretta nelle prime leggi di spesa pubblica promosse nel 2021 per sviluppare la transizione green, le infrastrutture, la digitalizzazione, la coesione sociale.

Sanders, dopo la vittoria democratica alle elezioni, si è posizionato sulla linea più radicalmente interventista, confrontandosi con il gruppo di senatori di orientamento conservatore facenti riferimento in campo dem al senatore della West Virgina Joe Manchin e rilanciando dunque la dialettica interna ai dem tornati di governo. Tuttora centrata sul vecchio leone del Vermont, desideroso di portare avanti a lungo la sua battaglia politica e ideale.

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