Bashar al Assad (LaPresse)

Chi è Bashar Al Assad

Bashar al Assad è il presidente della Siria dal 17 luglio del 2000, dopo aver ereditato il potere dal padre Hafez al Assad. Bashar nasce a Damasco nel 1955, in una famiglia originaria di Latakia, la roccaforte della minoranza sciita alauita a cui gli al Assad appartengono.

La famiglia di Bashar è di estrazione umile: non appartiene a tribù o gruppi in vista nel Paese e il fatto di appartenere alla minoranza alauita non aiuta. Il padre di Assad, però, intraprende una fulminea carriera all’interno dell’aeronautica ed è alla guida dell’ala militare del partito Baath, la formazione che, dopo un colpo di Stato nel 1963, governa la Siria.

Hafez diventa sempre più importante all’interno del partito Baath, tanto che il  13 novembre 1970 compie il cosiddetto “colpo di Stato correttivo“, prendendo il potere. Il governo di Hafez al Assad punta tutto sul nazionalismo e si avvicina sempre di più all’Unione Sovietica. Assad attua inoltre importanti riforme che fanno della Siria uno dei Paesi più laici dell’intera regione mediorientale.

Tutto ruota attorno alla famiglia Assad: Rifaat, fratello minore di Hafez, viene messo a capo della sicurezza (verrà però cacciato in seguito a un tentativo di colpo di Stato); negli anni Novanta, il figlio maggiore, Basil , viene designato come successore alla presidenza. Più in generale, parenti e soggetti orbitanti attorno agli Al Assad assumono posizioni sempre più importanti all’interno dello Stato siriano.

Essendo il secondogenito, Bashar al Assad vive ai margini della politica. Si diploma nel 1982 e, subito dopo, si iscrive alla facoltà di medicina di Damasco. Il sogno è quello di diventare oculista. Per questo motivo, Assad abbandona la Siria negli anni Novanta e si trasferisce a Londra dove studia oftalmologia.

Proprio nel periodo londinese, il futuro presidente siriano incontra Asma Akhras, figlia di un cardiologo originario di Homs e di una funzionaria dell’ambasciata siriana a Londra. Tra i due nasce una relazione sentimentale, culminata, nel dicembre del 2000, con le nozze.

Il 21 gennaio del 1994 la Siria e Bashar vengono colpiti da un terribile lutto: Basil al Assad, primogenito di Hafez e designato ad ereditare presidenza,  muore in a seguito di un incidente stradale.

Ufficialmente, Basil avrebbe urtato con la sua auto una rotonda nei pressi del centro della capitale, morendo nello schianto. Trattandosi del primogenito del presidente siriano, a quell’incidente è seguita però una lunga scia di sospetti ancora oggi mai del tutto sopiti.

Con la morte di Basil, l’erede designato diventa dunque Bashar: richiamato dal padre in Siria, il futuro presidente siriano lascia i suoi studi e anche la sua futura moglie per stabilirsi nel palazzo presidenziale di Damasco per “studiare” da leader. Bashar al Assad diventa così il capo di Stato in pectore e delfino del padre Hafez.

Se la morte del fratello è improvvisa, con il repentino richiamo di Bashar da Londra, anche quella del padre non manca di generare improvvisi scossoni sia nella vita del futuro presidente siriano che in quella del Paese. Hafez al Assad, infatti, muore d’infarto il  10 giugno del 2000, quando non ha nemmeno settant’anni. La morte lo coglie improvvisamente, mentre è al telefono con l’omologo libanese.

I problemi al cuore di Hafez sono noti ma nessuno, in quell’estate del 2000, si aspetta un decesso così fulmineo. Bashar al Assad forse non è pronto – sia politicamente che anagraficamente – a ricoprire un ruolo così pesante: secondo la costituzione siriana, inoltre, l’età minima per diventare presidente è 35 anni e Bashar, nel giugno del 2000, ne ha 34.

La successione comunque avviene senza grandi scossoni e, anzi, sia in patria che all’estero la salita al potere di Bashar al Assad viene salutata come un fatto positivo, in grado di generare la speranza per importanti riforme.

La sua giovane età, il suo trascorso londinese e l’immagine di una moglie soprannominata la “Lady D del Medio Oriente”, aiutano Bashar al Assad a proporsi quale riformatore sia in campo sociale che economico. Dall’altro lato, però, a fare da contraltare e ad alimentare dubbi sul suo operato è l’inesperienza politica e il fatto che, avendo ereditato repentinamente il potere, Bashar deve inizialmente circondarsi della stessa vecchia guardia di collaboratori del padre.

I primi anni di governo di Bashar al Assad sono contraddistinti, a livello internazionale, da numerosi ed importanti episodi: dall’11 settembre alla guerra in Afghanistan, dall’ascesa di Bush jr. alla Casa Bianca, fino alla guerra in Iraq.

La Siria di Bashar al Assad viene inserita, in questo contesto, tra i cosiddetti Stati canaglia“: la dottrina di Bush, volta a combattere il terrorismo internazionale, impone una lista di Paesi considerati vicini al cosiddetto “asse del male”. Dall’Iran alla Corea del Nord, dalla Libia di Gheddafi fino all’Iraq di Saddam Hussein, passando per Yemen, Sudan e per l’appunto la Siria.

Il primo vero banco di prova internazionale, per Bashar al Assad, si ha con un attentato del 14 febbraio 2005 a Beirut: in quell’occasione, l’ex premier libanese Rafiq Hariri viene ucciso da un’autobomba. Sunnita ed in contrasto con Damasco, nei mesi precedenti alla sua morte, Hariri aveva più volte chiesto il ritiro delle truppe siriane dal Libano.

La pressione internazionale su Damasco e su Bashar al Assad è molto forte: da più parti, infatti, piovono accuse contro il governo siriano. Secondo la ricostruzione avallata da media arabi ed occidentali, l’attentato contro Hariri sarebbe stato organizzato dai servizi segreti siriani per eliminare un importante politico libanese in contrasto con Damasco.

L’attentato in Libano fa scendere in piazza anche migliaia di cittadini e studenti: a Beirut, in particolar modo, vengono organizzate diverse manifestazioni in cui si chiede a gran voce un’indagine per accertare i mandanti dell’omicidio. Ma non solo: molti manifestanti libanesi dimostrano una certa insofferenza nei confronti delle truppe siriane presenti nel Paese.

Bashar al Assad, dal canto suo, respinge le accuse e inoltre afferma di voler collaborare con gli investigatori internazionali. Questa posizione allinea il governo siriano alla risoluzione del consiglio di sicurezza dell’Onu che, di fatto, istituisce un tribunale internazionale per i fatti del 14 febbraio 2005.

Una prima svolta si ha nell’aprile del 2005. In un discorso tenuto al parlamento siriano, Assad dichiara la volontà di ritirare le truppe dal Libano. Un passo in avanti, secondo la comunità internazionale. Il 27 aprile 2005, dopo anni di permanenza, le truppe siriane stanziate in Libano fanno rientro in patria.

La politica estera di Bashar al Assad è la prosecuzione di quella del padre. Questa continuità è testimoniata dal posizionamento di Damasco nei primi anni del Duemila, vicino sia all’Iran che agli Hezbollah libanesi.

Nel 2003 il presidente siriano si schiera contro l’invasione Usa dell’Iraq, nonostante suo padre, 12 anni prima, abbia fatto parte della coalizione anti Saddam in occasione della guerra in Kuwait. La posizione di Bashar al Assad, in questo caso, è dettata dal timore di un pericoloso precedente storico: la paura, in particolar modo, è quella di essere il successivo obiettivo degli Usa dopo il regime change in Iraq.

Nel corso del primo decennio di presidenza, Bashar al Assad ha margini di manovra importanti nel dialogo con l’Europa. Damasco e Roma, ad esempio, diventano partner commerciali importanti con il presidente Giorgio Napolitano che, nel 2010, conferisce anche un’importante onorificenza ad Assad. Nel 2002, si ha la prima storica visita di un papa a Damasco: il 5 maggio 2002 infatti, il Pontefice Giovanni Paolo II entra all’interno di una moschea incontrando lo stesso Assad ed i vertici religiosi siriani.

Ma c’è un altro alleato, sempre più vicino alla Siria: la Russia.  Assad è Putin, però, cementificano la loro alleanza solamente dopo lo scoppio del conflitto nel Paese mediorientale.

La prova più importante per Bashar al Assad inizia nel 2011. Le proteste che all’inizio di quell’anno investono il mondo arabo, dall’Egitto alla Tunisia passando per l’Algeria e la Libia, arrivano anche in Siria.

Assad cerca di mediare in qualche modo e promette riforme, introducendo svolte in senso multipartitico e togliendo lo stato d’emergenza in vigore da diversi anni. Il presidente siriano, però, usa più volte il pugno di ferro contro chi protesta. La nascita dell’Esercito siriano libero e i primi attacchi contro le postazioni di polizia e del governo preannunciano lo scoppio del conflitto.

Con lo scoppio della guerra, cambia anche l’immagine che l’Occidente ha di Assad, dipinto ora come un dittatore senza scrupoli. Le accuse sull’uso di armi chimiche fanno il resto.

Nonostante il conflitto che sta distruggendo l’intero Paese, Assad, usando abilmente le immagini, non si fa quasi mai vedere in divisa. Lui – è questo il messaggio che c’è dietro – non vuole esser il classico dittatore mediorientale, come Saddam Hussein e Mu’ammar Gheddafi. Le sue apparizioni sono quasi sempre in giacca e cravatta, in alcuni casi anche in semplice camicia o comunque in abiti civili.

Anche quando visita i fronti e saluta i soldati impegnati in prima linea, Assad si mostra in abiti civili. Emblematico, in questo senso, è il video girato nell’aprile del 2018, con il presidente siriano immortalato dentro la propria auto, in occhiali da sole e camicia, mentre gira lungo le strade delle città della Ghouta orientale appena riconquistate.

Foto LaPresse Syrian President Bashar al-Assad (C) speaks to his supporters during his visit to the Baba Amr neighbourhood in the restive city of Homs / 270312
Il presidente siriano Bashar al-Assad circondato da sostenitori a Baba Amr (LaPresse)

Oppure ancora, sono emblematiche le sue visite alla fiera di Damasco apparentemente senza guardie del corpo al seguito (anche se ci sono) oppure all’interno di abitazioni di famiglie colpite dalla guerra. In alcune occasioni, Assad si muove anche con la moglie e la famiglia al seguito tra le vie affollate di Damasco.

Se durante la guerra contro gli Usa la tv irachena trasmetteva ininterrottamente canzoni patriottiche e video su Saddam Hussein, la televisione siriana invece si concentra di più sulle notizie provenienti dai fronti. Tutto ciò, secondo molti analisti, contribuisce nel dare al presidente siriano un’immagine tanto forte quanto “normale”, donando anche alla popolazione e ai soldati l’idea di lottare non per l’uomo al comando ma per la difesa della nazione.

Più che una classica propaganda, i media vicini ad Assad sembrano voler rilanciare l’idea di normalità, la stessa che la popolazione siriana ricerca a partire dal 2011. Forse, anche in questo, va ricercata la vittoria che sta permettendo ad Assad e allo Stato ideato dal padre di rimanere in vita e con un forte sostegno popolare.

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