Ali Hoseyni Khamenei (LaPresse)

Chi è Ali Khamenei

“Abbiamo respinto il nemico nelle guerre militari, politiche e della sicurezza e, con l’aiuto di Dio, lo respingeremo sicuramente anche in questa guerra economica”. Le parole, lapidarie, sono quelle dell’attuale Guida Suprema dell’Iran, Ali Hoseyni Khamenei, a commento delle proteste che hanno colpito il Paese nell’autunno del 2019 e che, a suo parere, sarebbero state manovrate dall’esterno. Magari proprio da quelle nazioni che Teheran reputa nemiche. Quella di Khamenei è una figura spaccata a metà, tra l’espressione mite che lo ha sempre contraddistinto e la realtà. Ricopre la principale carica politica e religiosa dello stato e può essere considerato l’artefice delle mosse politiche, sociali e civili degli ultimi anni in Iran. Anche (e soprattutto) quelle più repressive. È a capo, di fatto, di uno dei sistemi istituzionali più complessi al mondo, perché non è né una dittatura in senso stretto, visto che prevede diversi centri di potere (alcuni dei quali elettivi), e non è nemmeno una democrazia, perché i membri di diverse importanti istituzioni sono nominati e non eletti e appartengono quasi tutti allo schieramento politico e religioso più conservatore (quello più tollerato dai vertici). È a capo di una teocrazia, perché così è previsto dalla Costituzione e perché in Iran sono i religiosi a fare politica da 40 anni a questa parte. E l’ayatollah Ali Khamenei sa esattamente come farla.

La famiglia di Khamenei ha origini azere. La Guida Suprema è nata a Mashhad nel 1939 e lì ha iniziato i suoi studi religiosi. Lo ha fatto prestissimo, praticamente da bambino, poco dopo aver completato l’istruzione elementare. Sempre nella sua città natale, Khamenei frequentò le più importanti scuole religiose e, nel 1957, lasciò Mashhad per trasferirsi a Najaf. Nel 1958 si stabilì nella città di Qom, luogo e date che si rivelarono particolarmente significative per lui, perché lì frequentò le lezioni dell’ayatollah Ruhollah Khomeini. Ma la personalità del giovane Khamenei viene ricordata ancora oggi in Iran come quella di un ragazzo piuttosto anticonformista. Fumatore, poeta e scrittore, di lui si dice che indossasse persino i jeans sotto la veste religiosa. E poi qualcosa, piano piano, si trasformò.

Nel 1963, Khamenei fu coinvolto nelle rivolte islamiche. In quella circostanza, venne arrestato nella città di Birjand, nel Khorasan del sud. In carcere conobbe Hushang Azadj, un giornalista di sinistra, e Rahman Khatefi, giovane comunista. Entrambi gli incontri lo portarono ad approfondire il rapporto con quell’area politica, tanto che diversi anni dopo, nel 1989, a Khamenei venne riconosciuto il salvataggio di centinaia di comunisti da un’esecuzione certa (in particolare dopo gli arresti che seguirono la Rivoluzione islamica del 1979). In ogni caso, dopo un breve periodo di detenzione, venne rilasciato e tornò a Mashhad, dove continuò a insegnare nelle scuole religiose.

Nel 1979, il Paese venne investito da un cambiamento sociale profondo e radicale con l’avvio della Rivoluzione islamica. Al centro di quell’insurrezione, che scardinò antichi poteri politici e religiosi, vi furono due elementi importanti: la volontà di allontanare lo Shah e la sua famiglia e il ritorno in patria della guida suprema, allora esiliata, Ruhollah Khomeini. Khamenei in quel periodo rappresentò una figura chiave, anche perché fu intimo consigliere di Khomeini: membro del Consiglio della Rivoluzione, la futura guida suprema partecipò anche alla fondazione del partito della Repubblica islamica. Ma, soprattutto, a lungo diresse i Guardiani della Rivoluzione, conosciuti anche con il nome di pasdaran, una milizia nata nel 1979, che nel tempo ha ampliato di molto il proprio potere all’interno delle maglie dello Stato.

Khamenei raggiunse i vertici del potere relativamente presto, quando, dopo le dimissioni dell’ayatollah Hoseyn ‘Ali Montazeri, nell’autunno del 1979, fu nominato Guida delle Preghiere del venerdì di Teheran dall’ayatollah Khomeini. Un attentato fallito lo consacrò sempre di più alla gerarchia del potere: nel giugno del 1981, infatti, qualcuno nascose una bomba in un registratore durante una conferenza stampa, che esplose accanto a lui. Riuscì a scampare all’attacco, anche se venne ferito in modo permanente. Il fatto, però, giovò alla sua reputazione e iniziò a circolare, con insistenza, l’idea che fosse una sorta di “martire di vita”.

Nell’ottobre del 1981, dopo l’assassinio di Muhammad ‘Ali Rajaj e durante il periodo della guerra tra Iran e Iraq, Khamenei venne eletto presidente del Paese. Divenne, quindi, il primo religioso a ricoprire questo tipo di carica pubblica. Per molti, le intenzioni della Rivoluzione di qualche anno prima, che aveva nutrito le tante speranze di quell’area (soprattutto a sinistra) alla ricerca di uno Stato più libero e laico, con questa elezione risultarono definitivamente compromesse. Furono in tanti a percepire la presidenza di Khamenei come il segno dell’abbandono di una politica laica a favore di regole religiose sempre più pervasive, che passavano, per esempio, dal controllo dell’abbigliamento e degli stili di vita a una limitata libertà di parola. Per mantenere una sorta di equilibrio formale tra i gruppi di potere nel Paese, Khomeini gli impose, come primo ministro, Mir Hosein Musavi. Il secondo mandato di Khamenei iniziò nel 1985 e negli anni confermò la sua posizione molto vicina a quella della Guida Suprema, che gli aveva permesso, di fatto, di arrivare dove era arrivato.

Alla morte di Khomeini, il 3 giugno del 1989, il suo “delfino”, l’ayatollah Hossein Ali Montazeri, venne destituito per essersi opposto al massacro di alcuni oppositori della teocrazia. A quel punto, fu Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, grande rivale di Hossein Ali Montazeri, a sostenere il nome di Khamenei per la sua candidatura. Venne quindi eletto dall’assemblea degli Esperti il 4 giugno del 1989, il giorno dopo il decesso di Khomeini. Ma visto che l’emendamento alla Costituzione che avrebbe permesso a un esponente del clero del suo livello di assumere il ruolo di Guida Suprema non era ancora stato sottoposto a referendum, l’Assemblea parlamentare decise al suo interno di affidargli l’incarico temporaneamente, finché la correzione alla Costituzione non fosse stata debitamente votata. La sua elezione a Guida Suprema, però, fece discutere. E non poco. Khamenei, infatti, era un esponente importante ma di medio rango del clero sciita prima di ricoprire la carica più importante.

La scelta di imporre lui – che venne subito nominato ayatollah ma il cui prestigio di dotto giurisperito che lo autorizzerebbe a esprimere l’ijtihad (ovvero l’interpretazione autentica sui dati coranici e della tradizione islamica sciita) venne messo in discussione – fu di tipo politico. Il tentativo di promuoverlo come nuovo Marja’ però fallì quando venne in contatto con gli ambienti dei dotti sciiti, che non lo ritennero sufficientemente preparato per l’ufficio della Marja ‘jyat. Il fallimento emerse quando si ebbero riscontri ufficiosi da parte dei maggiori centri di studio sciiti, i quali, interpellati, suggerirono che la pretesa fosse inaccettabile. Il “Marja’ al-taqlid” è, di fatto, un “Grande ayatollah”, che viene considerato come il giurista-teologo sciita duodecimano avente la maggior autorevolezza per dottrina e capacità esegetica di mujtadid per quanto riguarda i dati del Corano e delle tradizioni, diventando così la fonte di doveroso tentativo di emulazione e di imitazione. Il Grande ayatollah Mohammad Shirazi, come molti altri, non accettò che Khamenei (come Guida Suprema) potesse essere una “fonte da emulare”.

Oggi, Ali Khamenei è considerato da molti l’emblema della classe dirigente conservatrice del Paese. La Guida Suprema, infatti, ha costantemente puntato sul ruolo supervisore del conservatore Consiglio dei Guardiani. Nell’agosto del 2000, infatti, lo affiancò per respingere la proposta del Majlis di riformare la legge sulla Stampa del Paese. In una lettera scritta e inviata al Parlamento scrisse che la legge allora vigente aveva protetto la teocrazia perché impediva ai “nemici dell’Islam” di piegare al proprio volere giornali e mass media. “Ogni reinterpretazione della legge non è nell’interesse del Paese”, aveva dichiarato nella sua missiva. L’idea, quindi, di una nuova norma sulla stampa fu abbandonata dal Parlamento. Conosciuto per la sua politica anti-occidentale e antisionista, Khamenei ha da sempre osteggiato l’idea di dialogare con gli Stati Uniti. L’astio politico, probabilmente, nacque dal ruolo che l’America ebbe nel conflitto Iraq-Iran.

Come accadde con il suo predecessore, Khamenei, in quanto incarnazione del potere religioso, ha sempre cercato di imporre un certo controllo sulla vita dei cittadini – dall’abbigliamento allo stile di vita, fino a ciò che riguarda la libertà di espressione – venendo anche accusato di intolleranza. Nel 1997, per esempio, Ali Montazeri lo criticò, dichiarandolo incompetente per il ruolo che stava ricoprendo. Dopo diverse dimostrazioni di massa contro di lui, Khamenei lo fece arrestare per cinque anni. Anni dopo, diede il suo appoggio a uno dei personaggi più controversi dell’Iran contemporaneo, il presidente Mahmoud Ahmadinejad, che ricoprì questa carica per due mandati. Durante la cerimonia del suo primo insediamento, nell’agosto del 2005, il neo capo di Stato baciò la mano di Khamenei, gesto ritenuto molto più che significativo dall’opinione pubblica internazionale. Nonostante qualche dissidio negli anni successivi, il collante che riuscì a tenerli insieme fu un’idea ultraconservatrice della società, della politica e della religione.

Qualche anno fa, Khamenei avrebbe emesso una fatwa ostile alla produzione, allo stoccaggio e all’uso di ordigni nucleari. Il termine “fatwa” indica genericamente un responso giuridico su questioni riguardanti il diritto islamico o le pratiche di culto. Si tratta di una risposta data a un giudice musulmano di nomina governativa da un esperto di legge coranica quando questi sia interpellato per conoscere quale sia l’orientamento prevalente riguardo a un determinato tema. In termini semplici è una sorta di indicazione. La parola, però, iniziò ad assumere contorni più inquietanti in Occidente dal 1989, anno in cui venne riferita dai media alla condanna a morte in contumacia pronunciata da Khomeini contro lo scrittore Salman Rushdie, “colpevole” di sacrilegio verso la religione islamica per il suo libro I versi satanici. La fatwa di Khamenei, invece, è stata citata in una dichiarazione ufficiale del governo iraniano nell’agosto del 2005, in un incontro con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica a Vienna. Ma siccome non è mai stata formalmente pubblicata, in molti sono scettici sulla sua validità. Secondo quanto riportato da alcuni ex diplomatici iraniani, inoltre, Khamenei avrebbe dichiarato che la fatwa sul nucleare non sarebbe da applicare al mondo islamico. Secondo quanto riportato dal Boston Globe, il sito fardanews.com, portale vicino alla Guida Suprema, avrebbe pubblicato un articolo in cui Khamenei giustificava il possesso dell’arma nucleare, se orientata contro chi la possiede.

Nell’estate del 2009, Khamenei non fermò e anzi incentivò la sanguinosa repressione delle proteste di piazza contro la popolazione iraniana che, in quella circostanza, accusava il governo di Ahmadinejad di brogli elettorali e di ingiustificata violenza su chi si opponeva alle sue politiche. Ciò che colpì maggiormente l’opinione pubblica di mezzo mondo fu che, in quella circostanza, scesero in piazza a protestare pacificamente migliaia di persone. A pagarne il prezzo più alto furono i giovani, la maggioranza delle persone presenti nella rivolta. Molti furono uccisi, altri torturati e altri ancora reclusi all’interno di penitenziari destinati agli oppositori politici. Rimase impressa l’uccisione di Neda Agha Soltan, la cui morte violenta venne ripresa in un video. Finì in rete e l’immagine pubblica della teocrazia ne uscì danneggiata.

Khamenei, nonostante le difficoltà attraversate nella sua lunga carriera politica, rappresenta oggi il massimo esponente nazionale del clero sciita. C’è chi sostiene che aspiri a essere il terzo leader politico iraniano a morire “in carica”, come accadde a Mozafareddin Shah e Khomeini. Ma la sua salute, già precaria dall’anno dell’attentato, è stata compromessa anche dalla scoperta di un tumore (probabilmente alla prostata). Da anni si parla di una sua eredità politica e su chi possa essere il suo eventuale successore. Nessuno può dire con certezza da chi verrà scelto, da quale influenza sarà designato, né chi sarà.