Al Sisi Egitto (La Presse)

Chi è Abdel Fattah al Sisi

Abdel Fattah al Sisi è il presidente dell’Egitto, eletto per le prima volta nelle elezioni del 26 maggio 2014. Nato ad Il Cairo il 19 novembre 1954, ha trascorso gran parte della sua vita all’interno dell’esercito egiziano, in cui è arrivato anche a ricoprire la carica di capo di stato maggiore. Al Sisi è dunque uno dei veterani tra i militari del paese arabo, ma è del 2014 la svolta di entrare in politica in seguito alla quale è diventato presidente.

Al Sisi è nato nella zona vecchia del Cairo, ha trascorso gran parte della sua infanzia tra i vicoli più storici ed antichi della capitale egiziana. La casa in cui ha vissuto da bambino ed adolescente, si trovava a pochi chilometri dalla moschea di Al Azhar, in un quartiere da sempre multietnico ed abitato anche da cristiani ed ebrei. Lo stesso Al Sisi ha più volte raccontato di essere cresciuto con il suono delle campane delle chiese cristiane della parte antica de Il Cairo.

I suoi studi superiori sono stati compiuti in un istituto militare, venendo qui a contatto per la prima volta con una formazione di stampo militare che proseguirà subito dopo il diploma. Al Sisi infatti, a 19 anni è entrato all’interno della principale accademia egiziana.

Dopo la fine degli studi, il futuro presidente egiziano ha quindi definitivamente intrapreso la carriera all’interno delle forze armate.

Abdel Fattah al Sisi ha iniziato la sua carriera nell’esercito servendo inizialmente nella fanteria meccanizzata. In questi reparti si è specializzato nelle tecniche di artiglieria controcarro e nell’impiego tattico del mortaio. Successivamente Al Sisi ha preso parte ad alcuni dei più importanti corsi di addestramento dell’esercito egiziano, molti dei quali anche all’estero.

Tra questi, figurano quelli effettuati in Gran Bretagna nel 1992 e quelli invece svolti negli Stati Uniti nel 2006. Questo gli ha permesso di entrare nell’orbita dello Stato maggiore dell’esercito ed ottenere i primi delicati incarichi, quale quello svolto come addetto militare egiziano a Riad, in Arabia Saudita.

Al Sisi è stato quindi poi nominato comandante della 16esima Brigata di fanteria meccanizzata, della 23esima Divisione meccanizzata. Un’ulteriore svolta nella sua carriera è arrivata nel 2008, quando è stato nominato Comandante della Regione militare settentrionale di Alessandria.

Poco dopo, per lui è arrivato un altro incarico delicato all’interno delle forze armate, quello cioè di direttore dell’intelligence militare. Ed è in questa veste che, allo scoppio della primavera araba del 2011, figura come il più giovane tra i componenti del consiglio supremo delle forze armate.

Il 2011 è un anno molto delicato per l’Egitto: a gennaio sono infatti scoppiati i tumulti di piazza inseriti nel contesto della cosiddetta “primavera araba”, proteste cioè che hanno coinvolto quasi tutto il mondo arabo dopo le prime manifestazioni sviluppatesi in Tunisia. L’entità delle proteste ha costretto l’allora presidente Hosni Mubarack alle dimissioni, con l’esercito che ha gestito la prima fase di transizione.

 

Nel 2012 si sono svolte le prime elezioni post primavera araba, le quali hanno visto la vittoria al ballottaggio la vittoria del candidato dei Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi. Quest’ultimo, tra i suoi primi atti da presidente, ha optato per la sostituzione del capo di stato maggiore dell’esercito, Moḥammed Ḥoseyn Ṭanṭāwī. Quest’ultimo, nei primi mesi post Mubarack, è stato anche presidente provvisorio.

Al suo posto Mohamed Morsi ha chiamato proprio Abdel Fattah Al Sisi, il quale ha preso possesso del suo incarico il 12 agosto 2012. In quella stessa data, Al Sisi è diventato anche ministro della difesa e dell’industria bellica.

In Egitto, a partire dal mese di novembre del 2012, è iniziata ad insorgere non poca insofferenza verso le nuove politiche che erano state poste in atto dal presidente Morsi. In particolare, a suscitare la maggiore indignazione sono stati i decreti con i quali il capo di Stato stava iniziando ad assumersi anche diversi poteri in campo giuridico.

Dopo mesi di tensione sul fronte politico, il 30 giugno 2013 si è verificato il primo grande raduno di piazza contro Morsi. In piazza Tahrir, ad Il Cairo, migliaia di manifestanti hanno iniziato a chiedere le dimissioni del presidente, stesse scene sono state viste in quei giorni anche nelle altre città più importanti del paese.

Il 1 luglio il movimento di protesta è cresciuto a macchia d’olio, tanto che il capo di stato maggiore dell’esercito, ossia per l’appunto Al Sisi, ha lanciato un ultimatum di 48 ore a Morsi: in caso di mancate risposte al popolo egiziano, allora i militari lo avrebbero rimosso dal suo incarico. Il presidente però ha dichiarato di essere pronto al martirio e di non voler lasciare il suo ruolo di capo dello Stato.

Il 3 luglio, alla scadenza dell’ultimatum, i militari guidati da Al Sisi hanno iniziato a prendere possesso delle principali sedi governative. In quella stessa serata, proprio Al Sisi ha parlato a reti unificate alla nazione annunciando la rimozione di Morsi e l’arresto di Morsi e del precedente governo.

A seguito del golpe del luglio 2013, Al Sisi è ben presto diventata la figura più popolare d’Egitto. Ed è infatti proprio lui a chiedere, circa un mese dopo il colpo di Stato, ampi poteri agli egiziani per combattere contro il terrorismo e contro le ideologie radicali. Di fatto, questo è stato il primo segnale di una possibile discesa in campo politico per il capo di stato maggiore.

Da quel momento è iniziata anche un’opera di vasta repressione contro i Fratelli Musulmani, considerati da ora in poi fuorilegge e posti alla stregua di organizzazioni terroristiche in grado di destabilizzare il paese.

La costruzione di un’immagine da uomo forte, ha fatto sì che molti egiziani vedessero Al Sisi come possibile nuova guida in vista delle elezioni presidenziali fissate per il mese di giugno del 2014. Ed infatti, il 26 marzo di quello stesso anno il capo di stato maggiore ha annunciato le dimissioni dall’esercito per candidarsi alla presidenza.

Le successive elezioni del giugno del 2014, hanno incoronato Al Sisi presidente con una percentuale del 96.91%, essendo di fatto l’unico reale candidato.

Il primo vero obiettivo perseguito da Al Sisi come presidente, è stato quello riguardante la repressione della fratellanza musulmana. Assieme a questo, anche la lotta in generale contro tutti i gruppi islamisti e jihadisti e contro i movimenti terroristici.

Nel 2014 del resto, per via dell’avanzata dell’Isis tra Siria ed Iraq, anche in Egitto era molto sentita la necessità di avere sicurezza nel paese e di stroncare ogni possibile movimento radicale.

Nel giro di pochi mesi sono stati compiuti numerosi arresti tra i membri della fratellanza, così come sono state attuate diverse azioni militari contro gruppi jihadisti. Tuttavia, sul fronte proprio della sicurezza non sono mancati problemi nel corso degli anni: diversi infatti sono stati gli attentati sia ad Il Cairo che in altre città, con i quali sono stati presi di mira turisti e luoghi di culto cristiani. Nella penisola del Sinai invece, dal 2015 opera una cellula dello Stato Islamico protagonista di diversi attacchi contro le forze armate e di Polizia egiziane.

Con l’avvento di Al Sisi, la politica estera egiziana ha subito alcuni cambiamenti rispetto al recente passato. E questo soprattutto a partire dalle forniture militari, per oltre 30 anni appannaggio degli Stati Uniti i quali sono stati di gran lunga il rifornitore di armi all’Egitto a partire dagli accordi di Camp David del 1979.

Il Cairo dal 2014 in poi ha diversificato le fonti di approvvigionamento di armi, aprendosi soprattutto alla Russia di Vladimir Putin. Questo ha quindi avuto come conseguenza un importante avvicinamento a Mosca, che proprio in quegli anni stava tornando protagonista nella regione mediorientale.

Al Sisi ha poi posto l’Egitto nettamente al fianco della coalizione sunnita filo saudita, almeno nei primi anni di presidenza. Lo si è potuto evincere sia in occasione della guerra lanciata da Riad contro gli Houti nello Yemen nel marzo del 2015, con Il Cairo che è inizialmente entrata in quella coalizione, sia nel giugno del 2017 quando i Saud hanno imposto l’embargo al Qatar. Al Sisi ha aderito a quelle misure, chiudendo i propri rapporti con Doha. Inoltre, l’Egitto nel 2017 ha ceduto alcune isole del Mar Rosso proprio all’Arabia Saudita. La vicinanza con il regno dei Saud, è dovuta in primo luogo all’individuazione nei Fratelli Musulmani di un nemico comune ai due paesi. In secondo luogo, i petrodollari sauditi hanno iniziato a finanziare diversi progetti ritenuti da Il Cairo essenziali per far ripartire l’economia egiziana.

Questa vicinanza, pur se confermata negli ultimi anni, si è andata però via via ridimensionando. Nello Yemen ad esempio, l’Egitto appare molto più defilato anche per via dell’insuccesso saudita in quella guerra.

Sono comunque sempre ottimi i rapporti anche con gli Stati Uniti di Donald Trump, nonostante il sopra accennato riavvicinamento alla Russia. Un elemento essenziale della politica estera di Al Sisi è rappresentato dal gas: la scoperta del giacimento di Zohr, operata dall’Eni in un tratto di mare interno alla Zee egiziana, ha stravolto le carte in tavola nel Mediterraneo orientale. L’Egitto vuole entrare nel mercato europeo degli idrocarburi ed è per questo che Al Sisi appoggia il progetto EastMed, con il quale si vuole lanciare il gas egiziano, israeliani e cipriota nel vecchio continente. Questo ha posto l’Egitto su posizioni molto vicine a quelle dei paesi europei del Mediterraneo, così come ha reso Il Cairo meno diffidente nei confronti di Israele seppur non sono mancate in questi anni le divergenze. L’Egitto, in particolare, è diventato nei mesi scorsi il primo cliente del gas israeliano dopo l’attivazione del giacimento Leviathan dinnanzi le coste dello Stato ebraico.

Da non dimenticare ovviamente anche il ruolo dell’Egitto di Al Sisi in Libia: già dal 2014 Il Cairo è sostenitore del generale Khalifa Haftar, il quale controlla buona parte di Cirenaica e Fezzan e dal 4 aprile 2019 ha iniziato la battaglia per la presa di Tripoli.

Abel Fattah Al Sisi è tra i leader il cui operato è più dibattuto in Europa ed in occidente. Secondo alcuni è un presidente che è stato in grado di stabilizzare l’Egitto e di investire in diverse opere pubbliche volte a modernizzare il paese. Altri invece hanno posto l’accento sulla questione relativa ai diritti umani. E questo soprattutto dopo il cosiddetto “caso Regeni”, il quale ha riguardato la morte del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni nel gennaio del 2016 ad Il Cairo.

Ucciso da non meglio precisati membri dei servizi egiziani, secondo i detrattori di Al Sisi quanto avvenuto al ragazzo italiano è esempio di come le forze dell’ordine operino in modo repressivo in Egitto da quando l’ex generale è diventato presidente. Lo stesso Al Sisi ha risposto alle accuse in alcune occasioni, sostenendo il non coinvolgimento dei proprio apparati di governo. La mancanza di trasparenza nell’inchiesta operata in Egitto ha più volte rischiato di incrinare i rapporti, considerati complessivamente ottimi, tra Roma ed Il Cairo.

Rieletto nel 2018, di recente Al Sisi ha fatto introdurre una norma costituzionale che ha prolungato il mandato presidenziale da 4 a 6 anni ed ha tolto la regola del divieto di ricandidatura dopo due mandati. Probabile dunque che Al Sisi si candiderà anche nel 2024 per rimanere in sella almeno fino al 2030. Queste modifiche, nelle intenzioni annunciate dal presidente egiziane, dovrebbero servire a dare maggiore stabilità al paese e ad attuare le riforme messe in cantiere.