Che cos’è l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina

Per molti è il portavoce politico della Palestina. Per altri rappresenta l’entità che l’ha difesa in più occasioni, custodendone lo spirito. Dal 1974, la Lega araba la considera anche la legittima rappresentante del suo popolo, ma in realtà l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, conosciuta anche con l’acronimo Olp, non è soltanto un’istituzione politica e paramilitare palestinese, ma soprattutto un garante. Pronto a difendere il Paese in qualsiasi circostanza: politica, militare, culturale. Il suo obiettivo, al momento della fondazione, nel 1964, era semplicemente la liberazione della Palestina attraverso la lotta armata. Nel tempo, però, i suoi scopi e i suoi compiti si sono adeguati al trasformarsi del tempo, cambiandone l’aspetto e le sue necessità.

 

L’Olp fu fondata a Gerusalemme nel maggio del 1964 da una riunione di 422 personalità nazionali palestinesi, a seguito di una precedente decisione della Lega araba. Lo scopo, almeno all’inizio, era quello di liberare la Palestina unicamente attraverso la guerriglia. Il primo (e originale) statuto dell’Olp è datato 28 maggio 1964: in quel documento veniva dichiarato che “la Palestina, all’interno dei confini che esistevano al momento del mandato britannico” era una “singola unità regionale” e che esisteva un diritto al ritorno per il suo popolo, al quale spettava l’autodeterminazione. Tecnicamente, almeno nel documento che ne sancì la nascita, non veniva menzionata la possibilità di un vero e proprio Stato palestinese. In ogni caso, come spesso accade con i fatti legati alla nascita della Palestina, anche l’Olp poggia le sue basi in Egitto: la Lega araba, infatti, in un incontro al Cairo del 1964, avviò la discussione per la creazione di un’organizzazione che rappresentasse il popolo palestinese, il cui Consiglio nazionale si riunì a Gerusalemme il 29 maggio di quell’anno. L’Olp venne fondato a conclusione di quella riunione.

Nelle dichiarazioni di proclamazione dell’organizzazione veniva chiarito “il diritto del popolo arabo palestinese alla sua sacra patria della Palestina e l’affermazione dell’inevitabilità della battaglia per liberare le sue parti usurpate e la sua determinazione a generare la sua effettiva entità rivoluzionaria e a mobilitare le sue capacità e potenzialità, oltre che le sue forze materiali, militari e spirituali”. Dieci anni dopo, nel 1974, l’Olp adottò una soluzione a due Stati, con Israele e la Palestina che potevano vivere l’uno a fianco dell’altra, con Gerusalemme Est capitale dello Stato di Palestina.

Al momento della sua formazione, l’Olp venne affidata a un gruppo di anziani, ritenuti i più idonei a ricoprire quel tipo di ruolo. Ma la scelta venne subito criticata sia da George Habbash, un arabo cristiano del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, sia da Yasser Arafat, che al momento guidava al Fatah (fondata nel 1959). La strategia di quest’ultimo consisteva nel cercare di accrescere la tensione con Israele, in modo da provocare una guerra generale. Al contrario, il presidente egiziano, Gamal Abd al-Nasser, che in quel momento controllava l’Olp, voleva evitare un altro conflitto. Tuttavia la Guerra dei Sei Giorni del 1967 e soprattutto il suo epilogo, che sancì la vittoria di Israele contro Egitto, Siria e Giordania, cambiò ogni prospettiva: gli Stati arabi coinvolti (e perdenti) diminuirono il loro livello di credibilità agli occhi del popolo palestinese. La figura che ne uscì più indebolita fu, indubbiamente, quella del leader egiziano Nasser: la sua immagine, fino a quel momento quasi intoccabile e inattaccabile, iniziò a sgretolarsi agli occhi dell’opinione pubblica palestinese (e non solo). E fu proprio in quel momento che Arafat, fino ad allora “soltanto” la guida di al Fatah, impose la sua figura anche su quell’importante scenario. Anche perché il leader palestinese, in questa circostanza, affermò ancora una volta il diritto di ricorrere alla guerriglia contro Israele.

Lo spazio vuoto lasciato da Nasser rese ingombrante l’influenza di Arafat, che fece dell’Olp un’organizzazione pienamente indipendente e sotto il controllo dei feddayyn, parola che in arabo significa letteralmente “devoti” e che indicava i giovani guerriglieri palestinesi fedeli alla causa. Alle successive riunioni del congresso nazionale palestinese del 1969, al Fatah ottenne il controllo delle strutture esecutive dell’organizzazione. Il congresso dell’Olp si tenne al Cairo il 3 febbraio dello stesso anno e in quella circostanza Arafat ne divenne il leader effettivo, perché eletto presidente dell’organizzazione (fino ad allora guidata da Ahmad Shuqayri, di cui Arafat fu portavoce).

Un manifesto commemorativo di Arafat

Il nuovo capo avviò un nuovo inizio per la causa palestinese e si diede due obiettivi: far riconoscere l’Olp come l’unico rappresentante del popolo palestinese (auspicio che si concretizzò nell’arco di cinque anni, con l’ammissione dell’organizzazione come movimento osservatore alle Nazioni Unite) e imporre all’attenzione dei vari governi e dell’intera opinione pubblica mondiale la condizione in cui versava la Palestina.

Una primissima crisi dell’Olp si consumò con la Giordania: nella sua capitale Amman, l’organizzazione trasferì la sua sede, abbandonando l’Egitto di Nasser. Il gesto fu più che mai politico, visto che il trasferimento avvicinava geograficamente l’organizzazione al Paese e ai suoi profughi, che nello Stato confinante avevano trovato rifugio. All’inizio, re Hussein appoggiò quella scelta, pensando di poter sfruttare la causa palestinese per qualificarsi come nuova guida araba riconosciuta (al posto del leader egiziano). Tuttavia per la Giordania gli effetti negativi di questa decisione superarono quelli positivi, dato che Israele iniziò a colpire i suoi villaggi come ritorsione per le incursioni dei feddayn. Inoltre, i profughi palestinesi iniziarono a percepirsi come un’entità autonoma rispetto al potere del sovrano. Così, nel 1970, la situazione già tesa sfociò in uno scontro tra i guerriglieri palestinesi e i soldati dell’esercito giordano. Nel giugno dello stesso anno furono diversi i governi arabi che cercarono di mediare una soluzione pacifica tra le due parti, ma nel settembre le operazioni dei feddayn (tra cui anche il dirottamento di tre aerei, il sequestro di alcuni passeggeri e la distruzione di quei velivoli) scatenarono un’altra reazione giordana che, attraverso una precisa operazione militare, cercò di riprendere il controllo sul suo stesso territorio. Il 16 settembre del 1970, re Hussein dichiarò la legge marziale e nello stesso momento Arafat prese il comando dell’Armata per la liberazione della Palestina (una forza armata regolare dell’Olp).

In quella nuova guerra civile, l’Olp ebbe il sostegno della Siria, che inviò in Giordania circa 200 carri armati. Tuttavia, ancora una volta, gli scontri più feroci si consumarono tra l’organizzazione guidata da Arafat e le forze giordane. Il 24 settembre l’esercito di Amman prevalse e l’Olp fu costretta a chiedere un cessate il fuoco e durante le azioni militari, i militari giordani attaccarono anche i campi profughi dove da anni erano confinati i civili palestinesi. La ferocia di quelle azioni, l’alto numero di vittime da entrambe e il caos politico che ne scaturì fecero in modo che quel periodo venisse riconosciuto storicamente come il Settembre Nero. Tra i sostenitori di una via pacifica ci fu anche l’egiziano Nasser che, però, morì in quei giorni a causa di un infarto. Dalla Giordania, l’Olp si scelse Beirut, in Libano, come sua nuova sede, portando la questione palestinese all’attenzione di tutto il mondo arabo. Grazie alla debolezza del governo centrale libanese, il movimento guidato da Arafat riuscì a operare con una certa indipendenza dall’esecutivo centrale e in quella circostanza riuscì a lanciare attacchi di artiglieria contro Israele, utilizzando il territorio come base per le infiltrazioni dei guerriglieri. Durante gli anni Settanta il nucleo centrale dell’organizzazione fu costituito da otto organizzazioni tutte localizzate a Damasco e a Beirut.

Nell’ottobre del 1974, i Paesi della Lega araba si riunirono a Rabat, in Marocco, riconoscendo l’Olp e Arafat come gli unici legittimi rappresentanti del popolo palestinese. Il voto dei presenti fu unanime e per la prima volta, il leader palestinese fu invitato a parlare davanti all’assemblea dei Paesi aderenti. I produttori di petrolio della Lega Araba promisero un sostegno finanziario su un orizzonte pluriennale all’Olp e ai Paesi in cui la risorsa naturale era meno presente. Sempre in quell’anno, il consiglio nazionale palestinese approvò il “Programma dei dieci punti“, formulato dai leader di al Fatah, che ambivano alla creazione di un’autorità nazionale in ogni parte dei territori palestinesi liberati e il perseguimento attivo per stabilire uno Stato secolare democratico composto da due nazioni in Palestina, sotto il quale tutti i cittadini avrebbero potuto godere degli stessi diritti senza discriminazioni di razza, sesso o religione. Una pianificazione inedita, considerata il primo vero tentativo dell’Olp di giungere a una soluzione pacifica della questione arabo-israeliana, nonostante l’ultimo obiettivo fosse quello di “completare la liberazione di tutto il territorio palestinese”. Ma la svolta “pacifista” non convinse proprio tutti: negli anni Settanta l’OLP comprendeva altri gruppi che poi, successivamente, avrebbero abbandonato l’organizzazione anche per questo motivo. Tra questi ci fu anche il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, che decise di lasciare l’Olp proprio per la diffusione del programma in dieci punti.

A metà degli anni Settanta, Arafat e al Fatah si trovarono in una posizione politicamente molto fragile. Il fronte di chi aveva rifiutato il programma in dieci punti, considerato troppo pacifico, cresceva e si opponeva agli appelli del leader palestinese di puntare sulla diplomazia. Nel 1976, infatti, il capo dell’Olp si era detto favorevole a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che auspicava l’istituzione di uno stato bi-nazionale all’interno dei confini precedenti il 1967. Tuttavia, la popolazione dei territori occupati videro ancora una volta in Arafat l’unica speranza per una risoluzione favorevole (e più rapida) del conflitto. E se da una parte la guida dell’Olp risentiva di una scarsa fiducia degli altri leader palestinesi, dall’altra era riuscita a costruirsi una nuova immagine, a scapito anche di Israele, che risentì della sua inedita popolarità e della sua nuova credibilità diplomatica (anche a livello internazionale).

Una rifugiata palestinese regge una simbolica bandiera

Nel frattempo, però, Abu Nidal, nemico (interno) accanito dell’Olp da qualche anno, figura complessa ed emblematica nel mondo arabo e terrorista riconosciuto (fu il fautore della strage di Fiumicino del 27 dicembre del 1985), assassinò l’inviato diplomatico dell’organizzazione palestinese alla Comunità economica europea, che nel 1980 aveva esortato lo Stato ebraico a riconoscere i diritti dei palestinesi all’autodeterminazione. I complici di quell’assassinio non furono mai identificati, ma il messaggio ad Arafat arrivò piuttosto chiaramente. La nuova fase pacifista non era universalmente riconosciuta.

Dopo il trasferimento dell’Olp in Libano, la situazione si fece ancora più tesa di quanto accadde in Giordania, trasformandosi di fatto in un’altra guerra civile. Questa volta tra la componente cristiano-maronita e quella musulmana, appoggiata dall’organizzazione guidata da Arafat. I cristiani maroniti accusarono la guida dell’organizzazione di essere responsabile della morte di decine di migliaia di membri del loro popolo e Israele, approfittando della crisi interna, si alleò con loro, mettendo in atto due azioni di invasione del Paese. La prima, denominata operazione Litani, fu nel 1978 e la seconda, la più celebre operazione Pace in Galilea, nel 1982. In quest’ultimo conflitto, che sancì l’inizio della prima guerra israelo-libanese, lo Stato ebraico occupò la maggior parte dell’area meridionale del Libano. In quella circostanza, migliaia di civili palestinesi vennero massacrati nei campi profughi di Sabra e Shatila dai falangisti cristiano-maroniti guidati da Eli Hobeik.

Alcuni sopravvissuti al massacro di Sabra e Shatila

Le azioni risultarono talmente brutali da determinare persino una reazione internazionale, con l’invio di una forza armata di interposizione. Nella guerra civile libanese, l’Olp prima si scontrò contro i maroniti, poi contro Israele e, infine, ancora contro le milizie sostenute dalla Siria, tra cui le milizie di Amal, un gruppo fondato nel 1975 dal movimento dei diseredati, creato dall’imam sciita Musa al-Sadr. Fu una delle più importanti armate musulmane durante la guerra civile libanese, che si sviluppò anche grazie ai suoi stretti legami con l’Iran dell’ayatollah Ruhollah Khomeini e il regime siriano (in cui, in uno Stato a maggioranza sunnita, al potere vi era il gruppo sciita degli alawiti). Dal 1985 al 1988 Amal assediò i campi profughi palestinesi in Libano per allontanare (con violenza) tutti i sostenitori di Arafat. I palestinesi morti per le conseguenze di quella guerriglia e per le ferite da arma da fuoco furono migliaia e al termine dell’assedio di Amal, i campi profughi implosero, a causa degli scontri tra i palestinesi stessi. L’opposizione ad Arafat fu importante non solo tra i gruppi radicali arabi, ma anche fra i sostenitori dei diritti di Israele: Menachem Begin ribadì in diverse circostanze che, anche se l’Olp aveva accettato la risoluzione n° 242 del Consiglio di Sicurezza Onu e aveva riconosciuto il diritto allo Stato ebraico di esistere, egli non avrebbe mai negoziato con l’organizzazione di Arafat.

Dopo l’invasione del Libano del 1982, l’Olp si trasferì in Tunisia. Il 25 settembre del 1985, nella ricorrenza della festività ebraica dello Yom Kippur, tre civili israeliani furono prima sequestrati e poi uccisi a bordo della First, una barca a vela ormeggiata nel porto turistico di Larnaca, a Cipro. Una sezione d’élite dell’Olp, conosciuta come “Forza 17” e composta da tre uomini (tra cui un cittadino britannico) rivendicò l’attentato con una telefonata anonima, chiedendo la liberazione di 20 detenuti palestinesi precedentemente arrestati in diverse azioni della marina militare israeliana. Il 27 settembre, lo Stato ebraico domandò l’estradizione dei tre feddayyn responsabili, colpevoli dell’attacco terroristico, ma Cipro rifiutò la richiesta. Il governo israeliano decise quindi di intraprendere un’immediata azione di ritorsione e scelse come obiettivo il quartier generale dell’Olp vicino alla capitale tunisina. Così, il 1° ottobre dello stesso anno, nell’operazione Gamba di Legno, un raid delle forze aeree israeliane si abbatté contro la sede dell’organizzazione ad Hamman Chott, a 19 chilometri dalla capitale tunisina. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite (con la risoluzione n° 573 del 4 ottobre del 1985) condannò energicamente l’azione militare israeliana contro il territorio tunisino, evidenziando una flagrante violazione dello statuto Onu e del diritto internazionale. La risoluzione, oltre a chiedere a Israele di non ricorrere più ad azioni di questo tipo, puntualizzò che la Tunisia avesse diritto a un adeguato indennizzo per i danni provocati dall’attacco e le perdite di vite umane.

Dopo il conflitto in Libano, Israele impose la propria presenza nel Paese con l’intensificarsi di altri insediamenti in Cisgiordania. Il fenomeno dei coloni, cioè ebrei residenti in luoghi circondati da villaggi abitati da cittadini arabi, lamentarono una situazione simile all’assedio, alimentando episodi di violenza e di razzismo nei confronti dei palestinesi. Dal 1983, l’occupazione israeliana in quella zona e a Gaza incontrò diverse forme di resistenza (in maggioranza, si trattava di cittadini armati di pietre e di bastoni). Nel dicembre del 1987, in un incidente provocato da un camion militare, persero la vita quattro lavoratori arabi di Gaza. Quella fu la miccia che acutizzò nuovamente un conflitto mai sopito, nonostante non si trattasse di un vero atto di guerra. I palestinesi cercarono di bloccare l’ingresso ai villaggi e, per la prima volta, il loro corpo divenne il mezzo per fermare l’avanzata israeliana. L’esercito reagì con la forza e per fermare le proteste utilizzò lacrimogeni e proiettili. Quella fu la prima intifada, che colse di sorpresa l’Olp e la sua dirigenza, che poté influenzare la battaglia e gli eventi soltanto dall’esterno. Un fatto del tutto inedito. Emergeva, infatti, il Comando unificato dell’intifada, che riuniva numerose e importanti fazioni palestinesi. Nel 1988, da quei disordini, si concretizzò anche il potente partito di resistenza islamico Hamas, fino a quel momento si era distinto più come un movimento di tipo sociale che di guerriglia.

Il 5 novembre del 1988, anche se in esilio a tutti gli effetti, l’Olp proclamò la creazione dello Stato della Palestina, nei termini della risoluzione n° 181 dell’Onu. Il 13 dicembre dello stesso anno, Arafat dichiarò di accettare la risoluzione n° 242 promettendo il futuro riconoscimento dello Stato d’Israele e la rinuncia al terrorismo. Il 2 aprile del 1989, il leader dell’Olp venne eletto dal comitato esecutivo del Consiglio nazionale palestinese (una sorta di parlamento da cui dipendeva anche l’organizzazione stessa) presidente dello Stato palestinese e nello stesso giorno, l’America propose la formazione di due separate entità statali. In base a questa mozione, Israele sarebbe dovuto rimanere entro i confini fissati precedentemente al 1967 e la Palestina doveva essere composta da Cisgiordania e Striscia di Gaza.

Nel 1993 l’Olp negoziò segretamente gli accordi di Oslo con Israele, che furono firmati il 20 agosto del 1993. La cerimonia pubblica fu a Washington il 13 settembre dello stesso anno. Le due parti furono rappresentate da Arafat e da Yitzhak Rabin, con la presenza dei rispettivi responsabili per gli affari esteri. Gli accordi avrebbero garantito il diritto dei palestinesi all’autogoverno di Gaza e Cisgiordania tramite la creazione di un’Autorità Nazionale Palestinese, di cui Arafat fu eletto capo (nonostante Olp e Anp non fossero formalmente collegate). Da quel momento, ufficialmente, l’Olp dominava l’amministrazione palestinese, trasferendo il suo quartier generale a Ramallah. Il 9 settembre del 1993, Arafat dichiarava alla stampa che l’organizzazione palestinese “riconosceva il diritto dello Stato d’Israele all’esistenza pacifica e sicura”.

Il primo testo della carta nazionale palestinese, così com’era stata emendata nel 1968, conteneva diverse clausole che richiamavano all’esigenza della distruzione dello Stato ebraico. Tuttavia, nella corrispondenza intercorsa tra Arafat e Rabin in occasione degli accordi di Oslo del 1993, il leader arabo concordava che quelle condizioni dovessero essere rimosse. Il 26 aprile del 1996, il Consiglio nazionale palestinese votò per rendere nulle le clausole e invitò alla redazione di un nuovo testo. Ma nonostante le intenzioni, comunicate anche da Arafat all’allora presidente americano Bill Clinton, il nuovo testo con le nuove condizioni non vide mai la luce, alimentando polemiche e pareri contrastanti tra le parti. Inoltre, la carta del 1968 approvava l’uso della violenza e della lotta armata contro ciò che essa chiamava “imperialismo sionista”. L’articolo 10 del documento specificava anche che le azioni dei feddayyn, cioè dei guerriglieri, rappresentavano “il nucleo della guerra di liberazione popolare palestinese”. Ai suoi combattenti veniva anche richiesto “il conseguimento dell’unità per la lotta nazionale fra i diversi raggruppamenti del popolo palestinese e delle masse arabe, così da assicurare la continuazione della rivoluzione, la sua intensificazione e la vittoria”.

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite concesse lo status di osservatore all’Olp il 22 novembre del 1974 e il 12 gennaio del 1976, il Consiglio di Sicurezza Onu votò con 11 voti favorevoli, un contrario e tre astenuti per consentire all’organizzazione di partecipare al suo dibattito, senza però avere diritti di voto (un “privilegio” normalmente riservato ai soli componenti dell’Onu). Dopo la dichiarazione d’indipendenza palestinese, la rappresentanza dell’Olp a Palazzo di Vetro è stata rinominata semplicemente Palestina. Il 7 luglio del 1988, questo status è stato esteso per consentire la partecipazione dell’Olp ai dibattiti dell’Assemblea generale, sempre senza diritto di voto. Tuttavia, in numerose risoluzione dell’Assemblea generale, l’Olp è stata dichiarata la sola rappresentante legittima del popolo palestinese (elemento che venne poi riconosciuto negli accordi di Oslo del 1993).

Dal momento della sua nascita, l’Olp ha avuto un suo apparato legislativo, il Consiglio nazionale palestinese, ma attualmente ogni potere politico e ogni decisione vengono prese e controllate dal suo Comitato esecutivo, composto da 15 membri (eletti appunto dal Consiglio nazionale palestinese). Da sempre, all’interno dell’Olp convivono diverse ideologie, tutte praticamente laiche, che sono espressione di diversi movimenti palestinesi che nel tempo si sono impegnati nella lotta per il conseguimento dell’indipendenza del suo popolo e per la “liberazione” di tutti i luoghi considerati occupati. Ritenuta la legittima e unica rappresentante dei palestinesi, l’Olp oggi gode dello status (permanente) di “osservatore” all’interno dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e questa scelta, da tempo, è oggetto di disputa e di qualche contestazione. L’organizzazione non possiede un organo a cui spetta il processo decisionale o un meccanismo che consenta di controllare direttamente le sue fazioni (che, appunto, sono diverse), ma tutte le entità che ne fanno parte devono seguire il suo statuto e le decisioni del Comitato esecutivo. Esattamente come accade in un sistema di governo, che poggia su un meccanismo di fiducia e voci diverse. L’adesione all’organizzazione, infatti, è oscillante: diverse istituzioni al suo interno, infatti, hanno lasciato l’Olp o sono state sospese durante i periodi di agitazione sociale e politica, ma spesso sono anche rientrati.

Il Consiglio nazionale palestinese, che si riunisce normalmente ogni due anni, è il suo organo legislativo ed elegge il suo comitato esecutivo, che assume la guida dell’OLP tra le sessioni. Le deliberazioni sono approvate da una maggioranza qualificata, con un quorum di due terzi. Il presidente della Palestina è il capo dello Stato di Palestina e di conseguenza dell’Olp e risiede a Ramallah. Il primo è stato Arafat e dalla sua morte, avvenuta in circostanze mai del tutto chiarite nel 2004, il posto è rimasto vacante fino all’arrivo di Mahmud Abbas, che si insediò come leader nel 2009. La Commissione palestinese indipendente per i diritti del cittadino è stata istituita, invece, da un decreto di Arafat del 1993, in qualità di presidente della Palestina e del Comitato esecutivo dell’Olp. Il suo compito era quello di seguire e assicurarsi che leggi e regolamenti palestinesi non contrastassero i diritti umani.

L’Olp, dal momento della sua nascita, raccoglie al suo interno voci e movimenti completamente diversi. Il partito più grande che ne fa parte, di orientamento socialista-nazionalista, è al Fatah. In termini di grandezza numerica, seguono poi il Fronte popolare per la Liberazione della Palestina (gruppo radicale e militante comunista), il Fronte democratico per la Liberazione della Palestina (comunista), il Partito popolare palestinese (in passato comunista e ora non militante), il Fronte di Liberazione Palestinese (orientato a sinistra), il Fronte arabo di Liberazione (allineato al partito iracheno Ba’th), il Fronte popolare di Lotta e, infine, al Sa’iqa, movimento filo-siriano. Ma all’interno dell’Olp militano, da sempre, anche altri gruppi minori.

L’Autorità nazionale palestinese è l’organismo politico di autogoverno palestinese ad interim formato nel 1994, subito dopo gli accordi di Oslo, per governare la Striscia di Gaza e le aree A e B della Cisgiordania. Inizialmente poteva essere considerata una sorta di filiale dell’Olp, anche perché quest’ultima era l’unica entità politica a poter rappresentare il popolo palestinese nel panorama internazionale. Dal 3 gennaio del 2013, l’Anp ha adottato ufficialmente il nome di Stato di Palestina (anche alle Nazioni Unite) sui documenti ufficiali. Ma è bene tenere presente che lo Stato di Palestina, unilateralmente proclamato nel 1988 dall’Olp, ma non ancora effettivamente indipendente e sovrano, e l’Anp, creata nel 1994 in accordo con Israele per governare transitoriamente parte dei territori palestinesi in attesa di un accordo di pace definitivo, restano due organismi distinti. L’Anp, che è stata costituita in applicazione degli accordi di Oslo tra l’Olp e Israele, attualmente gode di riconoscimento internazionale come organizzazione che rappresenta il popolo palestinese. L’Anp possiede forze di polizia con armamento limitato, ma non ha comunque un pieno controllo sul territorio, né sulle vie di comunicazione, né su quelle di trasporto.