Da Abraham Lincoln a Richard Nixon, da Teddy Roosevelt a Donald Trump: nella sua storia il Partito Repubblicano americano ha consolidato più volte la sua influenza politica sugli Stati Uniti esprimendo alcuni dei presidenti più importanti della storia del Paese. In perenne dualismo con il Partito Democratico, il “Grand Old Party” è attivo dal 1854, risultando una delle formazioni più antiche al mondo. Oggi è rappresentante organico dei settori conservatori e della destra politica Usa.
I Repubblicani nacquero ufficialmente nel 1854 sulla base del vecchio Partito Whig, attraverso l’incorporazione di diverse fazioni politiche attive soprattutto al Nord degli Stati Uniti, unite principalmente dalla volontà di opporsi al governo Democratico dell’epoca e contrastare la temuta espansione nell’Ovest del sistema schiavistico degli Stati meridionali, ritenuta frenante per gli interessi dell’industria e dello sviluppo interno.
L’elezione di Abraham Lincoln alla Casa Bianca aprì la strada all’abolizione della schiavitù ma anche alla Guerra Civile americana (1861-1865) in cui il Partito Repubblicano guidò l’Unione alla vittoria contro la secessione guidata dai Democratici segregazionisti del Sud.
Dopo la Guerra Civile, i repubblicani vinsero otto elezioni presidenziali su dieci tra il 1868 e il 1908, aprendo una fase di egemonia sulla politica americana che sarebbe durata fino all’ascesa di Woodrow Wilson alla Casa Bianca. In quest’ottica maturò una prima maturazione sistemica del partito, che divenne dapprima il grande portavoce dell’industrializzazione del Paese, del consolidamento della potenza economica a stelle e strisce, ma anche un sostanziale critico dell’ideologia del destino manifesto. Dopo lo scatenamento degli appetiti coloniali delle potenze europee nell’età dell’imperialismo tardo ottocentesco, tuttavia, anche i Repubblicani approvarono una svolta espansionista: i presidenti McKinley e Roosevelt ruppero una storia consolidata e, partendo dall’America Latina e dalla guerra alla Spagna (1898) interiorizzarono i dogmi dell’imperialismo a stelle e strisce.
Dato che i conservatori-populisti Democratici del Sud appoggiarono la segregazione razziale per diversi decenni, a inizio Novecento in entrambe le formazioni prevalsero tendenze orientanti tanto a destra quanto a sinistra i partiti-guida dell’America. I Repubblicani si riorientarono verso il liberismo dopo la Grande Guerra, ma le loro amministrazioni postbelliche furono travolte dalla Grande Depressione.
Dopo la Seconda guerra mondiale, fu la scelta di guidare il fronte anticomunista e il duro contrasto all’Unione Sovietica a promuovere un avvicinamento sensibile dei Repubblicani al campo conservatore. La crescita dell’influenza dei movimenti evangelici, dei potentati finanziari e dei pensatori della scuola di Chicago crearono il terreno di coltura per quell’unione tra liberismo classico, utilitarismo e individualismo morale su cui germogliò l’ideologia neoliberista. A partire dalla fallimentare candidatura di Barry Goldwater alla Casa Bianca (1964) il Grand Old Party iniziò a cercare di conquistare le fasce elettorali del Sud spostandosi nettamente a destra: Richard Nixon nel 1968 e nel 1972 e Ronald Reagan nel 1980 e nel 1984 completarono il percorso sfondando ovunque, dal Texas all’Alabama.
Con Reagan i Repubblicani divennero il partito della destra conservatrice, dei movimenti protestanti, della classe media dell’America profonda, dell’avversione al progressismo delle élite urbane delle metropoli. L’identikit del partito è stato scolpito definitivamente proprio nell’era dell’ex attore diventato presidente, mentre a livello di politica estera il forte anticomunismo di Reagan si è trasformato poi nel sostegno all’egemonia unipolare da parte di George Bush jr. (2001-2008) e nell’ideologia America First di Donald Trump, ultimo (per ora) presidente repubblicano, che scalando il partito da outsider nel 2016 lo ha poi gradualmente trasformato accentuandone i tratti identitari.
Da Lincoln a Trump, sono stati ben diciannove i presidenti esponenti del Partito Repubblicano. Quattro di questi, Chester Arthur (1881-1885), Theodore Roosevelt (1901-1909), Calvin Coolidge (1923-1929) e Gerald Ford (1974-1977) non furono formalmente eletti al momento del loro insediamento. Arthur e Roosevelt subentrarono ai presidenti Garfield e McKinley morti assassinati (con Lincoln, tre dei primi sette presidenti del Gop caddero in questo modo), Coolidge a Warren Harding, morto in carica, Ford al dimissionario Richard Nixon. Di questi, poi, Roosevelt e Coolidge hanno conquistato mandati popolari in successive elezioni, mentre Ford fu l’unico presidente a entrare in carica senza essersi presentato alle elezioni nemmeno come candidato vicepresidente. Era subentrato infatti a Spryo Agnew, vecchio vice di Nixon, solo un anno prima delle dimissioni del presidente in carica.
I Repubblicani hanno presentato come presidenti ex generali (Ulysses S. Grant dopo la guerra civile, Dwight Eisenohwer negli Anni Cinquanta), ex capi della Cia (George Bush senior) e, con Donald Trump, il primo leader privo di agganci politici precedenti al momento dell’elezione presidenziale.
Nella loro amministrazione hanno nel corso di un secolo e mezzo ottenuto: l’abolizione della schiavitù (con Lincoln), il completamento dell’espansione territoriale (tra Grant e McKinley), lo sviluppo del potenziale navale degli Usa (Roosevelt), il consolidamento del piano di sviluppo e modernizzazione post-seconda guerra mondiale (Eisenhower). Negli ultimi decenni la loro agenda si è molto spostata sulla partita fiscale e sulla riduzione delle imposte a cittadini e imprese, oscillando invece tra interventismo e isolazionismo in politica estera.
L’ascesa di Trump ha sicuramente scompignato le carte nel Partito Repubblicano, inserendosi trasversalmente a diverse correnti politiche presenti nella formazione conservatrice. Diverse linee di tendenza sono però ancora riconoscibili.
Le presidenze di Barack Obama e l’opposizione repubblicana all’agenda del primo capo di Stato afroamericano della storia Usa ha reso trasversale a tutte le correnti la difesa dell’idea che il libero mercato, la libertà d’impresa e la deregolazione siano gli unici fondamenti per un’autentica prosperità. Esse sono interpretate in senso nazional-liberista dai trumpiani, favorevoli a un mix di sostegni fiscali e investimenti interni, che però combattono soprattutto sul fronte del contrasto al politicamente corretto, all’immigrazione e al declino dell’identità americana le loro battaglie politiche, saldandosi in particolar modo con i paleoconservatori e i membri della destra interna del partito.
I neoconservatori sono oggigiorno presenti in frange minoritarie nel partito dopo la loro parabola nelle amministrazioni di Bush junior. Sono a favore di una politica estera interventista, comprendendo anche l’azione militare preventiva contro precise nazioni nemiche in alcune circostanze, e sono iper-liberisti sul fronte economico.
Il “correntone” centrale dei Repubblicani più tradizionali unisce figure aperte a un moderato conservatorismo sociale e a una fiscalità favorevole, così come politici che non temono aperture in senso di battaglie ritenute eccessivamente sbilanciate sul fronte progressista, come quella amibentale.
Oggigiorno minoritaria è l’ala dei Repubblicani progressisti, vera e propria “Sinistra” interna del partito che in passato ha visto esponenti di peso come il sindaco di New York Fiorello La Guardia e l’ex vicepresidente Nelson Rockfeller. Di recente in seno ad essi sono spiccati un nuovo sindaco di New York, Michael Bloomberg (poi divenuto indipendente) e l’ex governatore della California Arnold Schwarzenegger. Essi da una parte sono conservatori o moderati fiscalmente, ma sono anche a favore dell’aborto, dei diritti dei gay, del controllo delle armi e contro la pena di morte.
Da non sottovalutare anche l’ala dei Libertari. Un vero e proprio fenomeno tutto americano, quello dei Libertari unisce politici iper-liberisti, fautori dell’individualismo, del libero porto d’armi e del governo minimo, ma comprende anche i più feroci avversori di tutte le politiche di interventismo estero degli Usa. Attualmente, l’esponente più coerente di questa corrente è il Senatore del Kentucky, Rand Paul, figlio dell’ex deputato Ron Paul, suo leader storico, a lungo sentitosi a casa nel Partito Repubblicano. Le cui trasformazioni sono state, spesso, immagine di quelle dell’America.