Il Partito Democratico americano vanta quasi duecento anni di storia e, essendo in attività dal 1828, può definirsi come la formazione politica oggigiorno più antica al mondo. La formazione dell’attuale presidente Joe Biden e della vicepresidente Kamala Harris ha alle spalle una lunga storia che l’ha vista attraversare, nella sua lunga storia, l’intero arco politico negli Stati Uniti. Dalle origini come formazione conservatrice, attenta alla difesa dello schiavismo negli Stati del Sud e segregazionista, il Partito Democratico è poi diventato il contenitore politico artefice del New Deal, della svolta dei diritti civili, infine del multiculturalismo. La sua storia, assieme a quella del Partito Repubblicano, racconta due secoli di evoluzione degli States.
Il Partito Democratico è il diretto erede del dallo storico Partito Democratico-Repubblicano fondato da Thomas Jefferson nel 1792 come espressione dei piccoli proprietari degli Stati del Sud, ostili al centralismo predicato dalle ex colonie britanniche del New England in senso federalista.
Dal 1800 al 1824 Jefferson, James Madison e James Monroe furono eletti alla presidenza come espressione di questa formazione, che fu la principale portavoce dell’ideologia dell’espansione a Ovest e dell’accrescimento dimensionale dell’Unione, al cui dilatarsi iniziarono a esprimersi diverse posizioni politiche. Fu l’ascesa del primo presidente populista, Andrew Jackson, a sancire la scissione tra il Partito Democratico e una serie di formazioni minori tra cui si sarebbe distinto, in seguito, il Partito Whig, espressione della borghesia finanziaria del Nord da cui nel 1854 sarebbe emerso il Partito Repubblicano.
All’elezione di Abrahm Lincoln, repubblicano, avvenuta nel 1860, la principale divisione tra Repubblicani e Democratici era palese: i Repubblicani, oggi definibili “a sinistra” dello spettro politico, erano a favore del protezionismo, della crescita industriale, degli investimenti interni, del superamento della schiavitù; i Democratici, invece, difendevano il latifondo agrario e la schiavitù, guidando la secessione e dando fuoco alle polveri della Guerra Civile tra il 1861 e il 1865.
Dopo l’assassinio di Lincoln, a livello nazionale la politica americana fu monopolizzata dai Repubblicani, che sospesero temporaneamente dall’Unione alcuni Stati meridionali e ammisero al voto gli ex schiavi afroamericani, per cui il Partito Democratico fu per qualche tempo fuori gioco. In cambio, però, il partito potè consolidare le sue roccaforti negli Stati segregazionisti del Sud; sarebbe stato Grover Cleveland ad aggiungere, a conquista della frontiera in via di completamento, frange di proletariato urbano, di immigrati cattolici e esponenti della piccola imprenditoria al blocco elettorale democratico, consentendo ai Democratici la riconquista della Casa Bianca nel 1884.
Iniziò l’inesorabile spostamento al centro prima e a sinistra poi del partito: dapprima con la forma populista di William Bryan e in seguito con quella istituzionale di Woodrow Wilson, i democratici tra fine Ottocento e inizio Novecento coniugarono conservatorismo identitario, frange crescenti di progressismo sociale e internazionalismo, mentre i Repubblicani erano più conservatori sul piano sociale e isolazionisti.
Anche il più progressista Franklin Delano Roosevelt poté costruire il New Deal puntando sull’alleanza con le classi conservatrici. Roosevelt seppe iniziare a far sfondare i Dem nel nuovo elettorato afroamericano con le sue politiche economiche keynesiane e a partire dal Secondo dopoguerra iniziò a cambiare la coalizione sociale con l’uscita dei Democratici sudisti dal partito. In genere, gli abitanti bianchi del Sud continuarono a votare per i Democratici nelle elezioni locali e in quelle per il Congresso (in cui molti Democratici sudisti erano conservatori), ma ad abbandonare il partito o a favore dei Repubblicani o di candidati del Sud indipendenti alle elezioni presidenziali.
Nella Guerra Fredda i democratici furono il partito del più ferreo anticomunismo (con John Fitzgerald Kennedy) e del progetto della great society; con Lyndon Johnson promossero l’apertura delle prime misure di sanità pubblica e chiusero il cerchio promuovendo la legge sui diritti civili. L’ascesa della questione ambientalista e del progressismo liberal a favore delle minoranze a partire dalla metà degli Anni Settanta ha definitivamente fatto transitare nel centro-sinistra i democratici, divenuti infine il partito-sponsor della globalizzazione neoliberista con Bill Clinton e del tentativo di governarla dopo i disastri delle guerre afghane e irachene e la crisi finanziaria del 2007-2008 prima (presidenze di Barack Obama) e la tempesta pandemica da Covid-19 poi (attuale presidenza Biden).
Diversi presidenti democratici tra i quindici che il partito ha eletto nel corso degli utlimi due secoli hanno segnato profondamente la storia degli Usa.
Andrew Jackson fu presidente dal 1828 al 1836. Da capo dello Stato lanciò una profonda operazione di democratizzazione delle strutture politiche statunitensi, precedentemente dominate dalle ristrette oligarchie terriere del Sud e da quelle finanziarie del Nord. Andando spesso anche contro l’interesse dei suoi referenti al Sud, tentò di aumentare la centralizzazione politica offrendo, in cambio, spazio alle correnti più libertarie abolendo la Bank of United States, antesignana della Federal Reserve; durante il suo mandato furono progressivamente abolite le restrizioni di voto e introdotto il voto segreto; molte cariche pubbliche, statali e locali, divennero elettive; si intensificarono infine le campagne contro gli Indiani d’America.
Nella Grande Guerra il presidente che condusse alla vittoria fu Woodrow Wilson, alfiere di un interventismo “missionario” che echeggiava il sostegno del suo partito al destino manifesto quale ideologia di espansione di Washington. Wilson del resto fu un convintissimo sudista che fece però passare leggi progressiste, come quella sull’antimonopolio e la riforma costituzionale che diede il voto alle donne, senza tuttavia promuovere i diritti degli afroamericani, al contrario sostenendo e promuovendo la segregazione razziale come gli altri Democratici suoi coevi.
Franklin Delano Roosevelt si impegnò per superare l’estasi liberista dei governi repubblicani degli Anni Venti che condusse alla Grande Depressione. Fautore di politiche di intervento pubblico molto massicce il governo del presidente democratico potè superare veramente la Grande Depressione solo con l’effetto leva garantito dallo scoppio della Seconda guerra mondiale e dal compattamento del Paese nel regime di economia bellica. Il sostegno di figure come padre Charles Couglin, il radio-predicatore nemico di Wall Street, alla sua figura, è sintomatico di un’evoluzione sociale avvenuta nella base elettorale dei dem, sempre meno elitisti, durante i suoi lunghi mandati.
John Kennedy tradusse definitivamente in realtà questi propositi e inaugurò un’apertura dei dem verso la conquista della maggioranza dell’elettorato delle minoranze. Questo avrebbe portato, infine, i dem a essere il primo partito capace di eleggere un afroamericano, Barack Obama, alla Casa Bianca, nel 2008. Kennedy e l’attuale inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, sono altresì gli unici cattolici eletti presidenti nella storia americana.
Oggigiorno il Partito Democratico è una formazione liberal-progressista con correnti interne estremamente diversificate a seconda delle basi politiche e territoriali di riferimento.
Scomparsa la corrente dei Democratici del Sud passata nei Repubblicani, esiste tuttavia una fascia di centristi, liberali in politica economica e più conservatori della media del partito sui diritti civili, che consentono ai dem di presidiare fasce di elettorato a lungo ostili negli ultimi decenni: un esempio classico è Joe Manchin, Senatore dello Stato della West Virginia.
Negli ultimi anni sta prendendo piede la corrende dei Progressive Democrats, esponenti della sinistra interna e aperti alla lotta ai monopoli finanziari e tecnologici, alla sanità universale, alla democratizzazione del sistema politico, a un welfare all’Europea e a tutte le battaglie proprie della cultura liberal predominante tra gli studenti e la nuova borghesia urbana. L’esponente tipico di questa corrente è stato, negli ultimi anni, il Senatore del Vermont Bernie Sanders.
Relativamente maggioritaria resta, comunque, la corrente dei Democratici Centristi, così chiamati in quanto non si professano propriamente di sinistra e si rifanno piuttosto al centrismo liberale e alla terza via di ispirazione blairiana. Tra questi vi sono importanti personaggi quali i presidenti Bill Clinton, Barack Obama e Joe Biden. Essi rappresentano l’ossatura del partito e di parte della classe dirigente americana. I maggiori custodi di una lunga storia che deve sempre essere mediata con le spinte provenienti dall’esterno. Come del resto Biden ha ben dovuto comprendere, bilanciandosi tra pressioni dei radicali e mediazioni con i conservatori, fin dai primi giorni del suo mandato.