Negli ultimi giorni il Kashmir è tornato a infiammare le già tese relazioni indo-pakistane dopo che il governo di Nuova Delhi guidato da Narendra Modi, per bocca del ministro degli Interni Amit Shah, ha annunciato la cancellazione dell’articolo 370 della Costituzione, quello che garantiva alla citata regione himalayana e allo Stato di Jammu la possibilità di legiferare in maniera autonoma.
In questo modo l’India di Modi, rieletto trionfalmente a maggio grazie a una piattaforma fortemente incentrata sull’orgoglio nazionalista hindu, ha riaperto una linea di faglia dolorosa su cui le due nazioni che dominano il subcontinente, armate fino ai denti di arsenali che comprendono anche il deterrente nucleare, si sono scontrate a ripetizione in passato.
La regione indiana del Jammu e Kashmir rappresenta la parte preponderante, ma non l’interezza, di una terra di confine tra i due Stati contesa sin dalla fine del governo britannico in India. Regione a maggioranza musulmana, il Kashmir era tuttavia fortemente legato per ragioni economiche e demografiche all’India, tanto che il Mahraja Hari Singh, ultimo governante della regione nell’era britannica, sfruttò i legami col Partito del Congresso Indiano per portare la regione all’unione con l’India nel 1947.
La questione non poteva non accendere uno scontro con il neonato Pakistan, Stato nato come terra dei musulmani d’India e unico esempio nella storia contemporanea di nazione sorta per motivi prevalentemente religiosi. Il Quaid-i-Azam (“Grande Leader”) Muhammad Ali Jinnah, padre della patria del Pakistan contemporaneo, aveva capito che fondare esclusivamente sull’Islam la nuova nazione avrebbe portato a equivoci e contrasti, subodorando i problemi legati a casi-limite come quello del Kashmir. Iftikar H. Malik, professore alla Bath University, ha scritto che “Jinnah immaginava un Asia meridionale successiva al ritiro della Gran Bretagna basato su un modello westfalico di Stati nazionali”, aggiungendo che il Quaid-i-Azam era favorevole alla creazione di un’identità islamica “basata su fattori storici, etnografici, economici e demografici” e di uno Stato in cui l’Islam sarebbe stato “un importante fattore di unificazione, ma non l’unico”.
Nè la lungimiranza di Jinnah nè i tentativi di mediazione di Nehru, primo leader dell’India indipendente, poterono però evitare le massicce proteste e gli scontri di frontiera causati dalla scelta del sovrano del Kashmir di unirsi all’India. L’intervento degli eserciti dei neonati Paesi in quella che era divenuta una vera e propria “terra di nessuno” portò ad un violento conflitto militare che, dall’ottobre 1947 alla fine del 1948, causò oltre 7mila morti e portò a un armistizio, siglato l’1 gennaio 1949, che cristallizzò gli incerti confini sulla linea del fronte, consegnando al Pakistan un terzo circa della regione e all’India la rimanente, preponderante porzione. La morte di Jinnah, avvenuta l’11 settembre 1948, aveva nel frattempo privato il Pakistan del suo leader più rappresentativo e lungimirante; le relazioni con l’India sarebbero state, da allora in avanti, tarlate dal “peccato originale” del conflitto del 1947-1948, nonostante numerose fasi di riconciliazione e distensione, e minate alla base dalla continua disputa sulla sovranità delle aree di confine. Il Kashmir era destinato a rimanere terra di confine.
Nel 1962 un terzo pretendente ad alcune regioni kashmire si era affacciato sugli altopiani himalayani: la Cina di Mao Zedong, che dopo un breve conflitto con l’India occupò la regione dell’Aksai Chin e i suoi valichi strategici, oltre alla regione dello Shaksgam su cui il Pakistan riconobbe la sovranità di Pechino nel 1963, inaugurando la strada alla lunga alleanza strategica sino-pakistana.
La debolezza indiana sul confine esaltò le mire dei falchi del governo pakistano, desiderosi di rovesciare lo status quo venutosi a creare nel 1948: su pressione dei vertici militari, tra cui il futuro leader del Paese Zulfikar Ali Bhutto, il Presidente Ayub Khan acconsentì nell’estate 1965 a una ripresa delle ostilità. Tra le montagne e le vallate del Kashmir India e Pakistan combatterono tra agosto e settembre una guerra durissima, che portò alla morte quasi 7.000 combattenti e fu teatro delle più imponenti battaglie di carri armati dai tempi della seconda guerra mondiale: tra l’8 e il 10 settembre l’esercito pakistano subì una decisiva sconfitta nella battaglia di Asal Uttar, perse 99 carri armati e fu respinto nelle posizioni di partenza, prima dell’intervento del Consiglio di Sicurezza Onu che cristallizzò la situazione sulle posizioni di partenza. Per il Pakistan fu un’umiliazione, amplificata dalla rotta del 1971: quando l’esercito indiano, su ordine di Indira Gandhi, travolse le forze pakistane impegnate nella repressione della guerriglia indipendentista in Bangladesh in sole due settimane (3-16 dicembre) l’equilibrio strategico si spostò a favore di Nuova Delhi, che con l’ingresso nel club nucleare tre anni dopo certificò il definitivo distacco strategico sul Pakistan. Questione Kashmir chiusa per manifesta inferiorità di Islamabad? Non proprio…
Nel 1998 anche il Pakistan eseguì i suoi primi test atomici, in risposta alla ripresa del programma nucleare indiano: la tensione tra i due Paesi tornò alle stelle, complice l’avvio dell’attività delle guerriglie finanziate dai rispettivi servizi segreti nelle aree di confine. L’India finanziò attivamente l’indipendentismo nella regione del Balochistan, il Pakistan rispose muovendosi a favore della guerriglia islamista in Kashmir.
Nel mese di maggio del 1999 la penetrazione di alcune unità paramilitari pakistane nel distretto di Kargil, nel Kashmir indiano occidentale, effettuata nel quadro della cosiddetta “Operazione Badr” di contrasto al terrorismo scatenò la reazione indiana e lo scoppio di un conflitto di due mesi combattuto ad alta quota, al termine del quale le 30.000 truppe indiane riuscirono a espellere i 5-6.000 paramilitari di Islamabad.
Da allora in avanti la tensione resta altissima: l’India ha alzato l’allerta ai confini dopo gli attentati di Mumbai del 2008, ha a più riprese violato i cieli pakistani per bombardare unità paramilitari e terroristiche e inasprito, dopo l’ascesa di Modi, la contrapposizione tra hindu e musulmani. Il Pakistan rivendica per sè l’intera regione e denuncia l’attivismo di Nuova Delhi. Imran Khan e Modi puntano su etno-nazionalismo e fervore religioso per fare del Kashmir una questione-bandiera delle rispettive agende. Tra le due potenze nucleari dell’Asia meridionale il Kashmir è la polveriera più pericolosa. E ogni questione, come la revoca dell’autonomia, rischia di divenire l’innesco di un’esplosione.