Alexander Zakharchenko (ilGiornale.it)

Chi era Alexander Zakharchenko

Alexander Zakharchenko è stato un leader separatista della autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, una delle due entità secessioniste sorte nell’Ucraina orientale in seguito allo scoppio del conflitto nel Donbass nel 2014. Zakharchenko ha ricoperto la carica di Capo di Stato e Primo Ministro di questa entità politica tra il 2014 ed il 2018 ed è stato comandante militare nell’Oblast di Donetsk nel 2014. Ha perso la vita nell’agosto del 2018, quando è stato ucciso dallo scoppio di una bomba che era stata nascosta vicino ad un bar dove era recato. Sposato con Natalia Zakharchenko, fu padre di quattro figli.

Alexander Zakharchenko è stato un leader separatista della autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, una delle due entità secessioniste sorte nell’Ucraina orientale in seguito allo scoppio del conflitto nel Donbass nel 2014. Zakharchenko ha ricoperto la carica di Capo di Stato e Primo Ministro di questa entità politica tra il 2014 ed il 2018 ed è stato comandante militare nell’Oblast di Donetsk nel 2014. Ha perso la vita nell’agosto del 2018, quando è stato ucciso dallo scoppio di una bomba che era stata nascosta vicino ad un bar dove era recato. Sposato con Natalia Zakharchenko, fu padre di quattro figli.

Alexander Zakharchenko nacque nella città di Donetsk il 26 giugno del 1976. Diplomatosi in un istituto tecnico, lavorò in seguito come elettricista nel settore minerario. Secondo quanto riferito dai media russi studiò anche legge e tentò di iniziare una carriera nel mondo degli affari nel settore minerario. Nel 2010 fu posto a capo della sezione locale di Oplot, un’organizzazione non governativa fondata a Kharkiv e vicina alle posizioni dell’esecutivo filo russo presieduto dal presidente Yanukovych. La Ong collaborò con le forze di polizia per cercare di sedare le dimostrazioni pro-occidentali di protesta in Piazza Maidan, svoltesi tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014. In seguito alla caduta dell’esecutivo Yanukovych le attività del gruppo iniziarono a focalizzarsi sull’Oblast di Donetsk. Il 16 aprile del 2014 Zakharchenko, insieme ad altri membri di Oplot, occupò, armi in pugno, la sede del governo municipale della città di Donetsk, chiedendo un referendum sullo status della regione. Erano i primi fuochi della guerra civile in Ucraina.

Nei primi mesi del 2014 l’intera Ucraina era in fermento e nelle regioni orientali si andavano formando milizie, spesso armate, desiderose di assumere il controllo degli enti territoriali e di secedere al più presto dalle nuove autorità di Kiev, considerate eccessivamente vicine a Bruxelles ed a Washington. L’obiettivo era quello di riportare quante più regioni possibili nell’orbita di Mosca, sul modello di quanto era accaduto in Crimea. L’insurrezione, tentata in diverse aree centro-orientali della nazione, ebbe particolarmente successo negli oblast di Donetsk e Luhansk, dove era concentrato l’apparato industriale e minerario ucraino e dove l’uso della lingua russa e la vicinanza politica a Mosca erano maggiormente sentite. Qui le milizie riuscirono ad assumere il controllo di porzioni sempre maggiori di territorio ed arrivarono a proclamare, nel maggio del 2014, l’indipendenza della Repubblica Popolare di Donetsk e di quella di Luhansk. Altrove, invece, l’esercito ucraino riuscì a respingere i separatisti. Zakharchenko fu in prima linea nei combattimenti sin dall’inizio e venne ferito in uno scontro con le forze armate di Kiev il 22 luglio, nei pressi della città di Kozhevnia. Quando Alex Borodai, cittadino russo e primo ministro della Repubblica Popolare di Donetsk, si dimise dall’incarico a succedergli fu proprio il leader di Oplot. In questo modo la ribellione assunse una leadership locale e non russa, mentre nel settembre del 2014 il nuovo leader fu a capo della delegazione di Donetsk a Minsk, dove venne firmato il Protocollo di Minsk che avrebbero dovuto, nel medio termine, cercare di porre fine al conflitto.

Nelle elezioni locali del 2014, non riconosciute dalla comunità internazionale e da Kiev, Zakharchenko venne eletto Capo di Stato con il 75 per cento dei voti degli elettori della Repubblica Popolare di Donetsk. Nel corso della campagna elettorale, in cui era l’unico candidato con possibilità di essere eletto, il leader sostenne che le pensioni nell’entità secessionista avrebbero dovuto essere più alte che in Polonia. Dopo la vittoria poté così contare sulle cariche politiche più importanti e su un ruolo di spicco in ambito militare ed in un certo senso dovette anche cercare di mediare tra le diverse pulsioni delle milizie separatiste appena nate, ancora in fase di consolidamento e continuamente minacciate dalle possibili avanzate dell’esercito di Kiev. Nel corso delle fasi più critiche per la Repubblica Popolare, nel 2015, queste milizie furono aiutate da migliaia di volontari ed armamenti che fluivano dal confine russo verso le aree controllate dai ribelli. Zakharchenko ha espresso, durante il suo mandato al potere, posizioni politiche e sociali conservatrici, a difesa della famiglia tradizionale, a favore di limiti alla cosiddetta propaganda dell’omosessualità ed in sostegno alla reintroduzione della pena di morte. Considerato molto vicino al Cremlino, Zakharchenko espresse più volte la propria ammirazione e rispetto per il Presidente russo Vladimir Putin, ma sostenne anche di non aver mai preso ordini da lui. Secondo molti osservatori il sostegno di Mosca è stato fondamentale per la sopravvivenza politica della Repubblica di Donetsk e di Luhansk nei primi anni del conflitto e per consentire alle due entità secessioniste di stabilizzarsi. Nel corso del conflitto Zakharchenko annunciò l’obiettivo politico di voler creare una nuova entità statale che avrebbe preso il nome di MaloRossia (piccola Russia) e che avrebbe dovuto comprendere tutta l’Ucraina con capitale Donetsk. Nell’agosto del 2017 dovette però abbandonare questo piano in seguito al rifiuto dello stesso da parte del Cremlino ed a causa dell’impossibilità di realizzarlo.

Aleksander Zakharchenko fu ucciso il 31 agosto del 2018 da una bomba nascosta nei pressi del Separ cafè di Donetsk, dove era presente anche il Ministro delle Finanze Alexander Timofeev, rimasto ferito nello scoppio. L’assassinio venne immediatamente condannato dal Cremlino e Vladimir Putin, dopo aver espresso le proprie condoglianze alla famiglia, lo definì un modo di destabilizzare i tentativi per giungere alla pace nelle regioni di Donetsk e Luhansk. Il ministero degli Esteri russò accuso in un primo momento il governo ucraino di aver organizzato l’attentato, ma Putin non fece cenno di questo nel suo discorso.  Le autorità di Kiev imputarono la morte di Zakharchenko a rivalità interne tra le diverse milizie separatiste o ad un’operazione delle forze speciali russe per eliminare un leader che cercava di mantenere un suo spazio di autonomia. In effetti diversi leader o figure di spicco dei separatisti, come Arseny Pavlov, hanno perso la vita, negli anni, a causa di attentati esplosivi che potrebbero essere legati a lotte intestine tra le diverse fazioni separatiste. L’omicidio si è comunque rivelato un colpo molto duro alle gerarchie politiche della Repubblica Popolare di Donetsk.

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