Il blocco navale in Albania del 1997, spiegato

Il blocco navale del 1997 è una mossa con la quale il governo italiano, con a capo all’epoca il presidente del consiglio Romano Prodi, ha provato ad arginare il fenomeno migratorio riguardante l’Albania. Da questo Paese infatti partivano migliaia di persone a seguito dei disordini e della situazione scoppiata in quell’anno all’interno del territorio nazionale. Quell’esperienza oggi è stata più volte richiamata alla luce della crisi migratoria del 2020, anno in cui si è riscontrata una nuova emersione del fenomeno. In particolare, da più parti viene chiesto se è possibile o meno replicare quanto deciso nel 1997.

Il Paese balcanico durante gli anni della Guerra fredda faceva parte del blocco filo sovietico del Patto di Varsavia, con il locale partito comunista retto dal leader Enver Hoxha che ha dominato la scena politica fino allo scioglimento dell’Urss e al periodo immediatamente successivo alla caduta del muro di Berlino. L’Albania nei primi anni Novanta ha dovuto quindi fare i conti con i problemi relativi al cambio repentino del sistema economico e con una società sempre più impoverita. Non a caso già tra il 1991 e il 1992 l’Italia ha dovuto registrare i primi importanti sbarchi di cittadini albanesi lungo le coste pugliesi. Ma la situazione è drasticamente peggiorata nel 1997, quando nel mese di gennaio il fallimento di molte imprese di stampo piramidale, finanziate negli anni precedenti dai governi post comunisti, ha portato circa un terzo della popolazione a ritrovarsi senza lavoro e senza risparmi.

È nata in tal modo una rivolta sfociata in disordini in grado di far quasi del tutto collassare lo Stato albanese. Soltanto poche città erano rimaste in mano al governo, buona parte del territorio nazionale era caduta in mano a bande di ribelli e a gruppi armati. In questo contesto, migliaia di albanesi hanno deciso di fuggire verso l’Italia. Nei primi tre mesi dell’anno, l’afflusso di migranti lungo le coste pugliesi ha subito raggiunto cifre preoccupanti.

Al timone dell’esecutivo in Italia in quel momento vi era Romano Prodi, il quale guidava una coalizione di centrosinistra. Di fronte alla crescita dei numeri di migranti sbarcati, il governo ha deciso di usare la linea dura: una cabina di regia formata dallo stesso Prodi, dal ministro dell’Interno Giorgio Napolitano, dal ministro degli Esteri Lamberto Dini e dal ministro della Difesa Beniamino Andreatta, ha dato vita a quello che è poi passato alla storia come un vero e proprio blocco navale del canale d’Otranto. Il 19 marzo 1997 il governo ha varato il decreto per regolare i respingimenti, il 25 marzo invece Roma ha stretto un accordo con il governo di Tirana per autorizzare la marina italiana a pattugliare le acque territoriali albanesi.

Ufficialmente, per smorzare le critiche a livello internazionale e di una parte della stessa maggioranza, non si è mai parlato di blocco navale bensì di “pattugliamento” volto a convincere i barconi con i migranti a bordo a cambiare rotta. La missione ha preso il nome di “Operazione Bandiere Bianche”. Nei fatti però si trattava di un blocco a tutti gli effetti: una prima fascia di navi controllava le acque albanesi, una seconda era formata da navi d’altura, una terza invece agiva per attuare i respingimenti ed evitare gli ingressi in territorio italiano.

Pochi giorni dopo l’ufficializzazione degli accordi tra il governo italiano e quello albanese e l’entrata in vigore di quanto pattuito con il via libera alla piena esecutività di ogni clausola, si è verificato un incidente in mare noto come la tragedia del venerdì Santo”. Era infatti il venerdì che precedeva la Pasqua quando un’imbarcazione, la  Katër i Radës, è stata rubata al porto di Saranda, in Albania, da un gruppo di criminali. Questi ultimi, che gestivano il traffico dei migranti, sono partiti da Valona nel pomeriggio del 28 marzo con a bordo 142 persone a fronte dei 9 per i quali l’imbarcazione era stata omologata.

Circa un’ora dopo, al largo dell’isola di Sàseno, il barchino è stato individuato dalla fregata Zeffiro, impegnata nell’operazione di blocco navale nei confronti delle imbarcazioni provenienti dall’Albania. La nave quindi ha intimato alla Katër i Radës di tornare indietro non ricevendo però alcuna risposta in tal senso: il barchino è andato avanti con a bordo quelli che erano stati inizialmente identificati dalle autorità militari italiane in 30 civili. Pochi minuti dopo, ad intervenire sull’operazione è stata la nave Sibilla, più piccola e agile rispetto alla prima ed in grado quindi di poter effettuare le manovre di allontanamento con più agilità. Durante quelle operazioni si è verificato lo speronamento della piccola imbarcazione il cui affondamento ha causato la morte di 81 persone. I 32 superstiti sono stati recuperati e condotti poi nel porto di Brindisi.

La situazione in Albania si è poi stabilizzata nei mesi successivi: tra aprile e agosto nel Paese balcanico è stata attuata un’operazione internazionale a guida italiana denominata “Missione Alba”, mentre in autunno si è giunti a un accordo in grado di portare l’Albania a nuove elezioni e alla parziale normalizzazione dei rapporti interni.

Oggi il fenomeno migratorio ha il suo epicentro non più in Albania ma in nord Africa. In questo 2020 il numero degli arrivi da parte dei migranti che provengono dall’altra parte del Mediterraneo ha assunto proporzioni molto preoccupanti. Ed allora ecco che, sulla base di quell’accordo del ’97, in molti, politici e non, hanno chiesto se fosse possibile attuare un blocco navale. A questa domanda hanno risposto su La Verità, l’ex capo di Stato Maggiore del Comando Nato per il Sud Europa, Fabio Mini, assieme all’ex capo di Stato maggiore delle forze Nato in Afghanistan, Vincenzo Santo e all’ex capo di Stato Maggiore della Marina  Ferdinando Sanfelice di Montefeltro. I tre generali hanno spiegato che quel blocco navale in quel periodo è stato attuabile non solo perché erano altri tempi ma perché vi era l’approvazione del governo albanese affinché si fermasse la fuga di massa da parte dei migranti: “Oggi – hanno detto – il blocco navale non si può attuare”.

A dare maggiori precisazioni in merito è stato Fabio Mini il quale ha spiegato che “se una nave italiana assaltasse una nave straniera (anche delle Ong), fuori delle nostre acque territoriali verremmo accusati di atti di pirateria e quindi finiremmo sotto processo. Lo stesso vale per un elicottero che atterrasse su una nave straniera”.

L’alternativa che uno Stato avrebbe per proteggere le proprie coste sarebbe quella dell’interdizione. Ovvero puntare su un’attività di persuasione nei confronti dei mezzi per invitarli a non oltrepassare un certo limite. Un’azione comunque non semplice perché subentrerebbero due problemi. Il primo fa riferimento a quali metodi usare per persuadere i trafficanti, il secondo è  relativo all’impossibilità di attuare a lungo termine un’operazione di questa portata sia per i rischi ma anche perché non è detto che possa sempre funzionare. Per rendere ottimale un’operazione del genere, servirebbero accordi con gli altri Stati interessati: in questa maniera, si potrebbe attuare un vero e proprio muro di navi che, in coordinamento con le autorità dei Paesi dirimpettai, sarebbero in grado di dissuadere i barconi in navigazione verso l’Italia a cambiare rotta.

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