Quando si scrive e si parla di guerra, spesso e volentieri, la mente va ai carri armati, alle trincee, ai missili che colpiscono gli edifici e alle navi che bombardano le coste. Ma la guerra, oggi più che mai, è astuzia, ingegno e psicologia.
Il tempo delle guerre clausewitziane è finito per sempre e la colpa è del progresso tecnologico, della globalizzazione e delle mirabolanti scoperte sul funzionamento del cervello umano delle neuroscienze. Un hacker può spegnere una città. Un solo speculatore finanziario può causare il tracollo di un’intera economia. Un ingegnere sociale può convincere un popolo a sollevarsi contro un governo.
Le guerre della contemporaneità sono tecnologiche, posteroiche e senza limiti, ma sono anche, più che in passato, asimmetriche ed irregolari. E questo è accaduto e accade laddove, solitamente, la carenza di scudi contro le armi della postmodernità obbliga gli strateghi ad aguzzare l’ingegno, a fare ricorso a tecniche e tattiche premoderne. E per capire cosa significa combattere il postmoderno con il premoderno è obbligatorio ripercorrere il vissuto di Yank Levy, tra i pionieri della guerriglia.
Bert “Yank” Levy nacque in quel di Hamilton (Canada) il 5 ottobre 1897. Cresciuto tra New York e Cleveland, Levy avrebbe sperimentato il bullismo sin dalla giovinezza – in parte perché piccolo e gracile, quindi “preda ideale” dei prepotenti di turno, e in parte perché ebreo – e, per sopravvivere a quella che definì “l’università della vita”, avrebbe sviluppato un carattere esuberante, ribelle e vivace.
Lasciò la scuola a sedici anni, perché obbligato ad aiutare la (numerosa) famiglia – sette fratelli – dopo un grave incidente subito dal padre. Allo scoppio della Grande guerra, sempre per ragioni di profitto, sarebbe dapprima entrato nella Marina mercantile britannica in qualità di fuochista e dipoi nella Legione ebraica del 39esimo battaglione.
Più in nave che in trincea, Levy avrebbe arrotondato il salario trascorrendo la Prima guerra mondiale a combattere contro i commilitoni negli incontri di pugilato regolarmente organizzati dalle e tra le unità. Gli anni passati a combattere i bulli per le strade delle periferie newyorkesi lo avevano trasformato in un pugile provetto: a conflitto terminato, invero, sarebbe tornato a casa col titolo di campione dei pesi gallo del proprio reggimento.
Al termine di un breve periodo passato a combattere nei circuiti del pugilato agonistico, Levy avrebbe successivamente appeso i guantoni al chiodo per darsi al crimine, prima come trafficante di armi e dopo come rapinatore. Avrebbe esercitato la prima professione tra Messico e Nicaragua nell’immediato dopoguerra, profittando della rivoluzione in corso nel primo e dell’albeggiante insurrezione sandinista nel secondo. E avrebbe esercitato la seconda a partire dalla seconda metà degli anni Venti, entrando a far parte di una batteria di rapinatori.
Arrestato nel 1927 in seguito ad un assalto a mano armata ad un supermercato, e trovato – insieme ai complici – in possesso di un piccolo arsenale, Levy scontò sei anni nelle carceri statunitensi e fu successivamente deportato in Canada, la sua terra natale. Memore dei tempi trascorsi in guerra, e testimone involontario delle guerriglie mesoamericane, una volta uscito di prigione avrebbe deciso di cambiare vita, per sempre, passando da ladro a poliziotto, o meglio a guerrigliero.
Levy non sarebbe rimasto molto tempo in Canada. Allo scoppio della Guerra civile spagnola, dopo aver preso contatti con gli ex commilitoni con cui aveva servito nella Grande guerra, sarebbe riuscito a recarsi in Iberia per combattere come ufficiale nelle Brigate internazionali.
Catturato durante la battaglia di Jarama, fu arrestato dalla Guardia Civil e rilasciato dopo sei mesi di carcerazione grazie ad un accordo per lo scambio di prigionieri raggiunto tra il governo canadese e il regime franchista. Una volta in patria, però, avrebbe continuato a seguire il conflitto da remoto, occupandosi del reclutamento di oltre mille volontari poi partiti per assistere il fronte repubblicano.
Nel 1940, con il graduale divenire della guerra europea in una guerra mondiale, Levy avrebbe cercato di arruolarsi nelle forze armate canadesi. Il processo di reclutamento non andò a buon fine per ragioni mediche, anche se Levy, nella sua biografia, avrebbe accusato il governo di non averlo voluto per motivi politici – i trascorsi spagnoli – e di integrità morale – i precedenti penali.
Impossibilitato a servire nelle file dell’esercito canadese, Levy avrebbe nuovamente impiegato il proprio capitale sociale per recarsi in Europa operando sotto la bandiera britannica. Nel Vecchio Continente, però, non avrebbe combattuto: avrebbe insegnato a combattere.
Coloro che avevano conosciuto Levy lo avevano raccomandato ai superiori per le qualità di stratega: era capace di trasformare qualsiasi oggetto in arma e di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Qualità che, se raffinate e professionalizzate, avrebbero potuto renderlo una risorsa dal valore inestimabile.
Affiancato da esperti del settore, Levy fu messo a capo di un corso d’addestramento presso la scuola di formazione di Osterley Park. Agli studenti di Levy veniva insegnato a combattere furtivamente, a massimizzare il profitto del mordi e fuggi, a fare utilizzazione intelligente dei sabotaggi, a superare un corpo a corpo in inferiorità numerica con “tattiche di strada” e a condurre delle efficaci guerre di logoramento.
Portatori di ottimi risultati sul campo, gli studenti di Levy sarebbero stati soprannominati i “tagliagole di Osterley” dal propagandista nazista William Joyce. Il socialismo di Levy, però, estremamente malvisto dal ministero della Guerra, avrebbe condotto alla chiusura della scuola nel 1941 e alla sua riapertura sotto nuove vesti.
La fama di Levy sarebbe aumentata a dismisura nel dopo-Osterley. Un anno dopo, infatti, avrebbe dato alle stampe un manuale sulla guerra irregolare – intitolato Guerrilla Warfare – che, in breve tempo, sarebbe diventato il caso editoriale nel Regno Unito e il suo passaporto per gli Stati Uniti.
Chiamato a servire la Casa Bianca dal generale Sherman Miles, Levy fu incaricato di insegnare tattiche e tecniche della guerriglia ad alcuni corpi della Guardia Nazionale – che gli Stati Uniti anelavano a trasformare in un’efficace forza di resistenza in caso di occupazione militare – e di soprintendere all’addestramento di una parte delle forze che nel 1942 avrebbero condotto l’operazione Cottage in Giappone.
Ribattezzato dallo US Infantry Journal “il più grande istruttore del combattimento difensivo” dell’epoca, Levy avrebbe trascorso gli anni successivi, quelli del secondo dopoguerra e dell’albeggiante Grande guerra, a parlare agli studenti delle migliori università di Stati Uniti ed Europa occidentale e ad erogare consulenze al Pentagono su come gestire il confronto con l’Unione Sovietica. Muore il 2 settembre 1965, all’età di sessantasette anni, per un attacco cardiaco.
Enorme il legato trasmesso a contemporanei e posteri in materia di controinsurgenza, asimmetria e logoramento. Le sue teorie, infatti, hanno plasmato in maniera profonda il modo di pensare (e fare) la guerra (irregolare) degli Stati Uniti, trovando vasta applicazione, in particolare, nelle Americhe Latine travolte dall’espansione della guerriglia marxista-leninista.