La guerra tra Israele ed il movimento libanese Hezbollah è un conflitto che si è combattuto nell’estate del 2006, scoppiato il 12 luglio e fermato soltanto il 14 agosto successivo a seguito del via libera del cessate il fuoco. La guerra del 2006 ha visto contrapposte le forze israeliane a quelle del movimento Hezbollah: quest’ultimo rappresenta un gruppo sia politico che paramilitare formato soprattutto da sciiti e per tal motivo molto vicino all’Iran. Gli Hezbollah sono molto radicati nelle zone a maggioranza sciite del Libano, le quali si trovano soprattutto nella zona meridionale del Paese dei cedri. La tensione nel sud del Libano è sempre stata molto elevata, proprio a causa della vicinanza delle frontiere con Israele.
Tra il governo israeliano ed il movimento Hezbollah il rischio di una vera e propria guerra è sempre stato molto elevato. Al pari di Hamas, l’organizzazione palestinese ramificata soprattutto nella striscia di Gaza, Hezbollah rappresenta forse il pericolo più importante avvertito da Israele. Dal canto suo, in Libano il movimento vanta un importante radicamento sul territorio ed un supporto politico non indifferente da parte degli sciiti libanesi. Anche per questo motivo Hezbollah nel corso degli anni si è potuta rafforzare, specialmente per quanto concerne l’aspetto paramilitare: il movimento si è dotato di un corpo di fanteria tra i più importanti del medio oriente, forse anche più forte di alcuni eserciti della regione.
Nel luglio del 2006 al timone del governo in Israele vi era Ehud Olmert: quest’ultimo era l’erede di Ariel Sharon, l’ex leader del Likud che l’anno precedente aveva fondato Kadima, un nuovo partito di centro sorto dopo la scissione con la storica formazione di centro – destra. Sharon però, nel dicembre del 2005, è entrato in coma a causa di una grave malattia e non ha più potuto esercitare i suoi ruoli di premier e capo di partito, andati per l’appunto ad Olmert. L’eredità politica principale di Sharon in quel momento era l’abbandono della striscia di Gaza, con tutte le colonie israeliane evacuate nell’estate del 2005. Un episodio che sembrava favorire la ripresa del processo di pace, ma che ha incontrato poi parecchie resistenze interne e non ha portato agli effetti sperati. A far degenerare poi la situazione definitivamente, quanto poi accaduto lungo il confine tra Israele e Libano.
La guerra è scoppiata al mattino del 12 luglio 2006: un commando degli Hezbollah ha effettuato infatti un’imboscata in territorio israeliano poco dopo il lancio di alcuni razzi, partiti dal sud del Libano, e diretti contro alcune postazioni dell’esercito dello Stato ebraico. L’incursione, avvenuta nei pressi del villaggio di Zar’it-Shtula, ha determinato l’uccisione di tre soldati israeliani, il ferimento di due e la cattura di altri due membri dell’esercito. L’obiettivo degli Hezbollah era proprio quello di prendere alcuni prigionieri per poterli poi scambiare con propri membri detenuti in Israele. A dichiararlo, nelle ore successive all’attacco, il leader degli Hezbollah, Hassan Nasrallah. Quest’ultimo ha denominato l’incursione “Operazione Promessa Fedeli”, in quanto il blitz era stato promesso un anno prima in caso di fallimento di precedenti trattative diplomatiche volte a riportare in Libano alcuni prigionieri del movimento.
A quest’operazione la replica israeliana non si è fatta attendere: il premier Olmert ha parlato di vero e proprio “atto di guerra”, accusando il governo libanese di essere responsabile dell’accaduto. Da Beirut, il premier Siniora ha respinto le accuse attribuendo la paternità dell’attacco soltanto ad Hezbollah e condannando l’operazione effettuata dal movimento sciita. Il fatto però che la stessa Hezbollah avesse due ministri nel governo libanese, non ha deposto a favore di un’immediata azione diplomatica sviluppata anche da attori terzi. Nel pomeriggio di quel 12 luglio, l’aviazione israeliana è entrata in azione bombardando alcuni obiettivi del movimento sciita nel sud del Libano. Colpi di artiglieria sono stati sparati sempre verso il sud del Paese dei cedri, mentre poche ore più tardi i bombardamenti coinvolgevano anche l’aeroporto di Beirut. Dal canto suo, Hezbollah rispondeva con lanci di razzi verso le città del nord di Israele.
Dopo diversi giorni di tensione, con bombardamenti da parte israeliana e lanci di razzi dal Libano operati dagli uomini di Hezbollah, il governo dello Stato ebraico ha deciso di lanciare un’operazione di terra per provare a distruggere le basi di lancio usate dai rivali. Il 23 luglio un primo contingente israeliano è penetrato in territorio libanese nell’area di Maroun al-Ras. Ad avanzare sono stati diversi reparti dell’esercito, i quali ben presto si sono dovuti scontrare con la resistenza messa in campo da Hezbollah.
Obiettivo principale da parte delle forze israeliane era la città di Bint Jbeil e questo sia per una motivazione militare che simbolica: questa località infatti dal 1982 al 2000 è stata sotto occupazione israeliana nell’ambito dell’operazione avviata in Libano negli anni ’80 dal governo di Tel Aviv. L’allora premier Barak nel 2000 ha deciso di lasciare Bint Jbeil, che da allora è diventato un centro molto importante per Hezbollah. Dunque, riprendere il controllo di questa cittadina avrebbe significato infliggere un duro colpo per la milizia libanese. Tuttavia l’avanzata israeliana è stata arrestata, la battaglia si è rivelata molto dura ed entrambe le parti hanno subito diverse perdite tra morti e feriti. Operazioni di terra ad opera di truppe israeliane sono state registrate anche a Baalbeck, mentre i bombardamenti tra fine luglio ed inizio agosto hanno riguardato anche la città di Tiro, oltre che l’intero sud del Libano ed i quartieri di Beirut a maggior radicamento sciita.
Il mezzo usato da Hezbollah per rispondere ai bombardamenti israeliani e per provare a destabilizzare la situazione nello Stato ebraico sotto il profilo della sicurezza ha riguardato il continuo lancio di razzi. Durante buona parte della guerra infatti, dal sud del Libano sono piovuti centinaia di razzi diretti verso diverse località israeliane. Non solo obiettivi militari o piccoli villaggi di confine, bensì anche città più grandi come tra tutte Haifa: considerata come la terza “metropoli” israeliana dopo Gerusalemme e Tel Aviv, il suo territorio era tra i più esposti al costante lancio di razzi operato dal Libano tra luglio ed agosto.
Durante tutte le settimane del conflitto, la quotidianità nel nord di Israele era scandita dal suono delle sirene che sia di giorno che di notte annunciavano l’arrivo di missili dall’altra parte del confine. In diverse occasioni la contraerea non ha potuto neutralizzare la minaccia: ad Haifa, come nelle altre località colpite, in molti casi le esplosioni hanno causato la morte od il ferimento anche di civili.
La conta dei danni è stata ancor più drammatica nel sud del Libano: è qui che si è concentrato il grosso della reazione israeliana, le città di questa parte del Paese dei cedri sono state duramente colpite sia dai bombardamenti che, lì dove si è combattuto, dalle operazioni di terra. Tiro, Sidone, ma anche Baalbek più a nord, i paesi di confine ed i quartieri meridionali di Beirut hanno accusato la distruzione di intere zone e la morte di centinaia di civili. Si calcola che nel solo sud del Libano siano decedute quasi 1.000 persone, escludendo militari e miliziani Hezbollah. A questo, occorre aggiungere che l’economia di queste aree è stata completamente bloccata: dal turismo al commercio, il sud del Libano ha dovuto fare i conti con un contesto sociale ed economico uscito ridimensionato dal conflitto.
Sul fronte diplomatico molte iniziative non sono andate a buon fine. Gli Stati Uniti hanno da subito appoggiato l’operazione israeliana, il governo libanese dal canto suo ha cercato sponde in seno al consiglio di sicurezza dell’Onu per provare un accordo di cessate il fuoco tra Israele ed Hezbollah. Le due parti sono sempre apparse molto distanti da ogni possibile intesa: il movimento sciita ha chiesto sia a luglio che ad agosto un cessate il fuoco incondizionato, lo Stato ebraico invece ha posto la condizione del rilascio dei due soldati israeliani rapiti il 12 luglio.
All’inizio di agosto però la guerra era giunta in una fase di stallo: Israele non riusciva ad avanzare in profondità in Libano e molte guarnigioni filo sciite sono rimaste operative, Hezbollah dal canto suo ha sì dimostrato una certa capacità di resistenza ma le condizioni disastrose in cui stava iniziando a vivere il sud del Libano rischiavano di minare il proprio radicamento territoriale. Per questo dunque si sono create, all’interno del consiglio di sicurezza dell’Onu, le condizioni per un accordo di cessate il fuoco. L’11 agosto il consiglio ha approvato la risoluzione 1701, con la quale è stata chiesta la fine delle ostilità.
Il giorno dopo il voto unanime espresso dal consiglio di sicurezza, il governo libanese ed il movimento Hezbollah hanno accettato l’accordo di cessate il fuoco. Il 13 agosto invece, è arrivato il via libera all’intesa anche da parte del governo israeliano. Per questo il cessate il fuoco è stato dichiarato da ambo le parti a partire dalle ore 8:00 del 14 agosto 2006. Da quel momento in poi le armi hanno iniziato a tacere e non si sono verificati più scontri di grossa entità.
Entrambe le parti in conflitto hanno cantato vittoria: Hezbollah ha celebrato l’inizio del cessate il fuoco come una vera e propria vittoria, proclamando come risultato storico quello di aver fermato le velleità militari di Israele. Dall’altro lato, il governo israeliano ha dichiarato che la risoluzione Onu 1701 ha decretato un vantaggio per i propri interessi nazionali: da un lato ha posto le basi per il rilascio dei soldati israeliani, dall’altro ha fatto in modo di congelare un conflitto che avrebbe comunque, a detta del premier Olmert, ridimensionato la forza di Hezbollah.
In realtà, i 32 giorni di conflitto hanno provocato danni e perdite su entrambi i fronti: Hezbollah ha sì cantato vittoria, ma al tempo stesso ha dovuto fare i conti con un conteggio elevato di vittime, forse più di 500, tra le proprie fila e si è ritrovato con le regioni libanesi in cui appare più radicato completamente distrutte e con oltre mille civili morti a seguito del conflitto. Israele invece, ha speso molto per una guerra che, come poi ammesso da Olmert, è stata condotta non senza errori e problemi. Tra gli israeliani si sono contate 43 vittime tra i civili e 119 tra i militari.
Dopo il cessate il fuoco, preoccupazione principale della comunità internazionale era quella di evitare nuove tensioni e nuovi conflitti nell’area. Per questo sono state intavolate trattative diplomatiche per permettere uno scambio di prigionieri, volto a dare un primo segnale di distensione. Da subito si è poi lavorato per creare le condizioni affinché potesse essere impiantata nel sud del Libano una forza di interposizione. Per la verità nell’area insisteva già una missione che aveva questo obiettivo era nata nel 1978: si trattava della missione Unfil, posta sotto l’egida delle Nazioni Unite. La risoluzione 1701 ha disposto, tra le altre cose, la possibilità di potenziare Unfil con l’obiettivo di favorire il ritorno dell’esercito libanese del sud del Paese, a discapito delle postazioni degli Hezbollah.
La nuova fase della missione Unfil è stata avviata nel settembre del 2006: a prendervi parte sono 37 contingenti di altrettanti Paesi. L’Italia ha fornito ad Unfil l’apporto più significativo in termini numerici e politici. Il nostro Paese è arrivato con un proprio contingente in Libano sbarcando a Tiro nel settembre 2006.
La tensione dell’estate 2006 non è mai stata più raggiunta: il fronte del Libano meridionale si è progressivamente raffreddato, anche se non mancano elementi di tensione a partire dai rapporti tra Hezbollah ed Israele. Questi ultimi risentono molto a loro volta del rapporto tra il governo israeliano e l’Iran, principale sponsor del movimento. Hezbollah viene considerato come un elemento determinante per la strategia della “mezzaluna sciita” portata avanti negli ultimi anni da Teheran e dal generale Qasem Soleimani, ucciso a Baghdad da un raid Usa il 3 gennaio 2020. Per questo la tensione, lì dove nel 2006 si è scatenata una breve ma intensa guerra, rimarrà ancora molto alta per diverso tempo.
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