Trent’anni fa, nel luglio 1992, si concludeva nella periferia occidentale dell’ex Unione Sovietica uno dei primi conflitti aperti dal collasso della superpotenza comunista, tuttora uno di quelli maggiormente dimenticati: la guerra in Transnistria, che per quattro mesi ha insanguinato il territorio della Moldavia, ha segnato una spaccatura interna allo spazio post-sovietico che non si è ancora ricomposta.
Sul finire degli Anni Ottanta, la Moldavia era stata interessata dalle spinte nazionaliste che avevano riguardato anche le altre repubbliche sovietiche periferiche rispetto alla Russia e dalla riscoperta dell’identità nazionale legata, tra le altre cose, alla sfera rumenofona e all’Europa balcanica.
Nonostante la presenza di numerose enclave interne, come la Gagauzia turanica e ortodossa fedele alla Chiesa di Mosca, buona parte del Paese seguì la capitale Chisnau quando, nel 1990, Mircea Snegur, presidente della Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia e primo leader della Moldavia indipendente (1991-1997) denunciò il Patto Molotov-Ribbentrop del 1939 con cui la Germania Nazista e l’Unione Sovietica si erano spartite le terre dell’Europa orientale garantendo a Mosca la possibilità di inglobare la Bessarabia rumena, sommata alla Transnistria a formare la Rss Moldava. Ciò avvenne nel 1940 e, salvo la breve occupazione tedesca del 1941-1944, per mezzo secolo la Moldavia rimase sotto sovranità di Mosca.
All’indipendenza Chisinau si trovava di fronte a tre opzioni. La prima: un’indipendenza con forti margini di autonomia per la Gagauzia e, soprattutto, Ia Transnistria dove la percentuale di cittadini moldavi (39,9%) era minore di quella che sommava popolazione russofona e ucraina(53,8 %) stando al censimento del 1989. La seconda: la ricerca dell’unione nazionale (Unirea) con la Romania; la terza: una frammentazione del Paese nelle sue entità costitutive su base etnico-linguistica.
La Gagauzia, rientrate presto le fiammate indipendentiste, scelse di comune accordo con Chisinau la prima strada; la Transnistria, invece, anticipò la dichiarazione di indipendenza moldava proclamando la nascita della Repubblica socialista sovietica moldava di Pridnestrovie nel novembre 1990. Assieme ad Abkhazia, Ossezia del Sud e Nagorno-Karabakh la Transnistria, con capitale Tiraspol, nasceva dunque come secessionista interna alle Rss in via di separazione dall’Unione Sovietica. Una mossa che la Moldavia indipendente avrebbe comunque censurato con forza.
Alla Moldavia il governo della Transnistria e la rivendicazione di sovranità serviva per giustificare la sua reale indipendenza dopo il tramonto di ogni possibilità di Unirea con la Romania. Russia e Ucraina, principali repubbliche nate dalle ceneri dell’Urss, desideravano invece una Transnistria autonoma per mantenere un piede a terra in una regione ritenuta di piena pertinenza geopolitica dei due Stati.
La Transnistria si strutturò fin dall’inizio come Stato autonomo nell’area stretta e lunga compresa tra il fiume Nistru, confine nord-orientale della Bessarabia, e il confine ucraino. A vegliarla, la Quattordicesima Armata della Guardia, unità sovietica rimasta schierata nella zona, composta in larga parte da combattenti transnistriani ( il 51% degli ufficiali ed il 79% dei richiamati) o ucraini della vicina regione del Budjak, che con la caduta dell’Urss fu inquadrata nell’esercito di Mosca. Nella zona della Transnistria, dopo il graduale ritiro delle truppe dalla zona, rimasero a presidio la 59ª Divisione Motorizzata della Guardia e alcune unità minori, fra cui il 1162º Reggimento Contraereo Missilistico, che garantirono sul campo l’indipendenza di fatto della Transnistria.
Le truppe ex sovietiche erano forti di risorse militari per complessivi 14mila uomini, di più di quelle delle milizie transnistriane che ammontavano a 9-10mila uomini riforniti di munizoni e armi dal grande deposito di Kobasna, tra i maggiori dell’Europa Orientale. La Moldavia, per preservare la sua indipendenza, iniziò a reclutare una forza armata compresa tra i 25 e i 35mila uomini, in larga parte però peggio armati ed equipaggiati. Tra il 1990 e il 1991 si verificarono scontri di confine nelle zone corrispondenti ai ponti del Nistru di Dubasari e nella regione di Cocieri, in cui si trovavano alcuni villaggi a maggioranza moldava nel pieno del territorio russofono. Nel marzo 1992, con l’ingresso della Moldavia nelle Nazioni Unite come Stato a cui la sovranità integrale sulla Transnistria era garantita nominalmente, la situazione precipitò.
Il primo giorno di marzo del 1992 vi fu l’episodio che funse da detonatore: armato di pistola, un adolescente uccise il comandante dei militari transnistri a Dubăsari, Igor Shipcenko, ritenuto dai separatisti una vittima della polizia moldava. Il braccio di ferro fatto di dimostrazioni di forza, scontri a fuoco isolati e confronti tra pattuglie, che aveva provocato vittime a più riprese nell’anno e mezzo precedente, sfociò in un conflitto aperto quando le unità schierate in Transnistria attaccarono il fronte centrale del Nistru tra Dubasari, ove aveva e ha tuttora sede una strategica centrale elettrica, e Molovata Noua, ove si trova l’imbarcadero moldavo che rifornisce l’enclave oltre il Nistru controllata da Chisinau.
Marzo fu contraddistinto da una serie di scontri violenti che fecero degenerare in campo aperto la guerra. Il fronte si concentrò in una zona limitata del confine interno alla Moldavia, a cavallo del Nistru. Le truppe fedeli a Tiraspol cercarono di ripulire il settore a Est del Nistru dalla presenza militare moldava, mentre i moldavi si trincerarono ricevendo, nel frattempo, il sostegno militare della Romania che inviò armi e addestratori.
La cittadina di Cocieri fu un epicentro di scontri e combattimenti pesanti. I transnistriani diedero l’assalto alle postazioni moldave subendo il duro contraccolpo della reazione nemica, mentre le unità della 14° Armata della Guardia guidate da Alexander Lebed, Maggior Generale dell’esercito russo, ufficialmente mantenevano la neutralità salvo sottobanco rifornire i separatisti filorussi. Igor Smirnov, presidente dell’autoproclamata repubblcia secessionista, invocò inoltre l’arrivo di volontari e aiuti dai Paesi ritenuti affini: fu consistente il sostegno dei Cosacchi del Don giunti da Rostov, l’appoggio logistico ucraino e l’organizzazione di gruppi di volontari da parte degli eserciti di Mosca e Kiev, intenti in una complessa cooperazione postsovietica che ai tempi della guerra odierna sembra enormemente distante.
Non riuscendo a sfondare, i transnistriani concentrarono la loro offensiva oltre i propri confini nella città di Tighina, antica piazzaforte turca legata alla Bessarabia storica e sita a Ovest del Nistru. Tra il 19 e il 21 giugno Tighina fu assediata con forza in una sorta di “piccolo fronte” che vide coinvolte tutte le parti in causa. I moldavi combattevano sostenuti dai romeni che ne rimpolpavano i ranghi, i transnistriani usarono con forza tutto il sostegno possibile garantito sul fronte delle artiglierie e dei mezzi corazzati dall’Armata sovietica. I moldavi reagirono con attacchi aerei di alleggerimento con tre Mig-29 contro Tiraspol, le raffinerie e le fabbriche transnistriane, ma dopo tre giorni di durissimi combattimenti la città cadde, e Tiraspol la ribattezzò col nome russo di Bender. Per spezzare ogni tentativo di riconquista, il 3 luglio la 14° Armata operò un duro attacco di artiglieria contro le forze moldave concentrate presso la città, di fatto cristallizzandone il controllo transnistriano.
La guerra si concluse, di fatto, con questo gesto eclatante, a cui fece seguito l’imposizione di un cessate il fuoco mediato dalla Russia e l’istituzione di una commissione congiunta di controllo.
La guerra causò circa 400 vittime per parte e soprattutto un esito giudicabile in forma mista.
Da un lato, la Repubblica di Transilvania aveva garantito la sua indipendenza di fatto ed era pure arrivata a occupare Bender senza però legittimarsi politicamente su scala internazionale visto che ogni sua velleità indipendentista era stata ignorata dalla comunità internazionale.
Dall’altro la Moldavia aveva dovuto subire la secessione interna ma, d’altro canto, non si era spezzata e, con la guerra, aveva costruito a sua volta una narrazione nazionale alternativa a quella che portava inevitabilmente verso l’unione con la Romania.
Si era creato, in ogni caso, un precedente: quello dei separatismi congelati negli spazi post-sovietici. Di cui il caso transnistriano è quello che si è trascinato con la maggiore attenzione globale fino ai giorni nostri, dando a sua volta una traccia per un altro e ben più pericoloso esempio avviatosi nel 2014: l’autodeterminazione del Donbass, causa della guerra civile ucraina prima e dell’invasione russa poi. Tappa finale di un processo di decostruzione dello spazio post-sovietico iniziato proprio con la guerra dimenticata del 1992.