La guerra tra Iraq e Iran ha rappresentato uno degli eventi più drammatici e importanti per gli equilibri del medio oriente. Iniziata il 22 settembre del 1980 a seguito di alcune dispute territoriali, è proseguita lungo quasi tutto il corso del decennio. Soltanto nell’agosto del 1988 si è giunti a un cessate il fuoco, mentre un accordo di pace vero e proprio è stato stipulato nel dicembre del 1990. Lo scambio dei prigionieri di guerra è avvenuto invece nel 2003, dopo la caduta di Saddam Hussein in Iraq.
Entrambi i Paesi mediorientali sono stati accomunati dal fatto di aver subito, nell’anno precedente lo scoppio delle ostilità, importanti mutamenti interni. In Iraq nel 1979 è salito al potere Saddam Hussein. Uomo forte del Partito Baath al governo dal 1968, il nuovo rais iracheno ha preso il posto del cugino Al Bakr. La repubblica irachena era laica, il Baath si ispirava infatti ai valori del panarabismo socialista ed era erede di quella tradizione politica nata in Egitto con il presidente Nasser alcuni anni prima.
In Iran, sempre nel 1979, il cambiamento è stato più radicale. Una rivoluzione popolare ha infatti estromesso lo Scià Rheza Palevi, alla guida di una monarchia in quel momento piazzata internazionalmente al fianco dello schieramento filo americano, portando invece al potere l‘Ayatollah Khomeini. Quest’ultimo è ideatore della Repubblica Islamica, un sistema retto dal clero sciita con un sistema amministrativo e politico “binario” in cui convivono istituzioni laiche e religiose. La repubblica irachena e la teocrazia iraniana da quel momento in poi sono entrate sempre più in contrasto e questo sia per motivazioni di natura politica che ideologica.
I rapporti tra Baghdad e Teheran non erano all’insegna della distensione già da prima del 1979. E questo soprattutto per via di profonde divergenze legate ai confini territoriali. L’Iraq mirava alla ricca regione del Khuzestan, in maggioranza araba e affacciata sul Golfo Persico. Inoltre, le pretese irachene riguardavano il controllo dello Shat Al Arab, il fiume che nasce dalla confluenza di Tigri ed Eufrate e da sempre conteso tra i due Paesi. Dal canto suo, l’Iran ha sempre guardato con interesse alle regioni meridionali dell’Iraq, abitate da arabi di fede soprattutto sciita e dunque affini al credo religioso più diffuso nel Paese. Soltanto nel 1975 si era giunti a un’intesa tra le due parti con la definizione dei confini e con l’accettazione dello status quo in cambio della normalizzazione dei rapporti.
I cambiamenti occorsi sia in Iraq che in Iran nel 1979 hanno nuovamente fatto scendere ai minimi storici le relazioni tra i due Paesi. Sono state registrate diverse provocazioni lungo la frontiera, segno che qualcosa di importante stava per accadere. I venti di guerra tra Baghdad e Teheran spiravano già molto forti quando nella notte del 22 settembre 1980 carri armati iracheni hanno oltrepassato la frontiera invadendo il Khuzestan. Saddam Hussein ha puntato tutto sull’effetto sorpresa, l’azione del suo esercito infatti non è stata preceduta da una dichiarazione di guerra. Il rais iracheno ha scommesso soprattutto sullo sfaldamento dei vertici militari iraniani, visto che la rivoluzione khomeinista aveva portato all’epurazione dei quadri dell’esercito.
Per l’Iraq invadere l’Iran serviva per accreditarsi quale nuova potenza araba in grado di arginare e isolare la rivoluzione khomeinista, la quale spaventava e non poco le varie cancellerie della regione. Per l’Iran dal canto suo la guerra ha rappresentato da subito il primo banco di prova per la Repubblica Islamica.
Con l’esercito avversario colto di sorpresa e con una pianificazione dell’attacco preparata in modo dettagliato, grazie anche agli investimenti nel settore della difesa degli anni precedenti, l’Iraq inizialmente ha potuto accumulare notevoli vantaggi territoriali. Sono state conquistate le città di Abadan, Khorramshahr, Dezful, Ahvaz, Susangerd, con i militari iracheni in grado di assediare altri importanti centri del sud dell’Iran e delle regioni a maggioranza curda del Paese confinante.
All’interno dell’Iraq la mobilitazione è stata molto forte, con i media concentrati nel richiamare la popolazione all’unità e al sostegno a quella che era definita come una delle battaglie più importanti sia per la Patria che per il mondo arabo. A entrare in gioco è stata anche l’aviazione, con i bombardamenti che hanno coinvolto la stessa Teheran. Ma a novembre la situazione inizia a riequilibrarsi: in Iran l’attacco iracheno ha sortito l’effetto di ricompattare il Paese, circostanza questa che ha permesso agli ayatollah di riorganizzare in parte l’esercito e poter contare su migliaia di volontari. Tra il 1980 e il 1981 Teheran è stata in grado di passare al contrattacco, con il fronte che ha iniziato gradualmente a ritornare verso i confini iracheni pre bellici.
Baghdad dal 1972 era legata da un trattato di cooperazione e amicizia con l’Unione Sovietica, che a livello militare si è quindi dimostrata all’inizio degli anni ’80 come il principale partner del Paese arabo. Mosca ha appoggiato l’Iraq da subito contro l’Iran anche per motivi ideologici, preferendo una repubblica laica a una teocrazia di stampo sciita. Ma i soldi e le armi per Saddam non sono arrivati solo dall’Urss. Preoccupati dal possibile contagio nel mondo arabo della rivoluzione khomeinista, anche i Paesi del Golfo hanno iniziato ad appoggiare l’Iraq e a vedere nelle mosse di Baghdad un’azione di contenimento di Teheran. Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti hanno dato ampio appoggio all’Iraq sia in termini finanziari che di armi. Il Sudan dal canto suo ha inviato militari a sostegno delle truppe irachene al fronte. Baghdad all’inizio della guerra ha anche tratto giovamento dai contratti di forniture di armi sottoscritti pochi anni prima con Paesi al di fuori del Patto di Varsavia, tra cui l’Italia, la Francia e la Gran Bretagna.
Una svolta si è avuta poi nel 1984, quando Saddam Hussein ha riallacciato i rapporti con gli Stati Uniti. Tra Baghdad e Washington non c’erano più relazioni diplomatiche stabili dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967, l’amministrazione Reagan ha negoziato con l’Iraq un programma di riavvicinamento che ha portato quindi gli Usa ad appoggiare l’esercito del Paese arabo a cui sono state vendute armi ed è stato offerto il supporto dell’intelligence.
Dall’altro lato però Teheran non è stata mai del tutto isolata, anche perché nel frattempo nel 1982 anch’essa aveva avuto contatti con gli Stati Uniti nell’ambito della definitiva risoluzione della cosiddetta “crisi degli ostaggi”. La liberazione dei cittadini americani detenuti nella capitale iraniana dal 1979 ha fatto sì che gli Usa, anche se soprattutto per via indiretta, ristabilissero una qualche forma di rapporti con la Repubblica Islamica. Quest’ultima poi ha potuto beneficiare di aiuti diretti e indiretti forniti da Israele, con il governo dello Stato ebraico che temeva un rafforzamento eccessivo dell’Iraq nella regione. Episodio simbolo di questa situazione è quello relativo all’operazione Babilonia, con la quale l’aviazione israeliana il 7 giugno del 1981 è riuscita a entrare nello spazio aereo iracheno e a bombardare con successo l’impianto di Osirak. Qui, secondo i servizi segreti israeliani, Saddam stava mettendo a punto il piano per dotarsi di armi nucleari. Negli anni successivi, Israele avrebbe poi fornito all’Iran armi e munizioni per un valore di svariati miliardi di Dollari.
Gli israeliani avrebbe avuto poi un ruolo importante nelle relazioni segrete tra Usa e Iran, la cui scoperta ha portato all’emersione nel 1986 del cosiddetto “Irangate”. Si tratta dello scandalo che ha visto coinvolti membri dell’amministrazione Reagan i quali hanno venduto armi a Teheran e, con quel ricavato, hanno poi finanziato i contras in Nicaragua impegnati nella guerriglia anti sandinista.
Un equilibrio, quello delle forniture arrivate alle due principali parti in guerra, che si è tradotto in equilibrio anche sul campo. Il conflitto infatti specialmente dal 1982 è entrato in una fase di stallo, con gli scontri concentrati soprattutto lungo linee del fronte rimaste quasi immobili per diversi anni. La guerra ha quindi ridotto ai minimi termini sia l’Iraq che l’Iran: i due Paesi hanno visto i propri rispettivi eserciti logorarsi per via del prolungamento dei combattimenti, mentre le economie rimanevano ferme e le popolazioni iniziavano a patire condizioni di vita poco accettabili. Sotto il profilo politico, l’equilibrio sul campo di battaglia sembrava rassicurare molti attori internazionali ruotanti attorno alla guerra: l’Iran, con la sua rivoluzione khomeinista, rimaneva contenuto mentre l’Iraq, dal canto suo, doveva rinunciare al ruolo di potenza regionale.
La condizione in cui versavano i due Paesi dopo otto anni di guerra era tale che, durante l’estate del 1988, sono stati intensificati i contatti diplomatici per arrivare a una possibile tregua. La proposta fatta dalle Nazioni Unite per giungere alla fine delle ostilità, è stata accettata da Iraq e Iran nell’agosto di quell’anno. Il 9 agosto il consiglio di sicurezza dell’Onu ha votato la risoluzione n. 598, con la quale è stato ufficialmente stabilito il cessate il fuoco ed è stato dato il via a una missione guidata dall’Uniiimog, il gruppo di contatto creato per sovrintendere il rispetto dell’accordo. Un milione di morti, ingenti danni sia nell’uno che nell’altro Paese, economie devastate e in ginocchio: tanto è costato un conflitto che però non ha portato a nulla sotto il profilo dei confini, rimasti pressoché identici a quelli pre bellici.
Nel 1990, alla vigilia della guerra con gli Usa per il Kuwait, l’Iraq ha sottoscritto un accordo definitivo con l’Iran che ha definitivamente chiuso la questione. Nel 2003, dopo la seconda guerra del Golfo, si è proceduto con lo scambio dei prigionieri.