La battaglia di Kherson ha luogo nell’ambito della guerra russo-ucraina del 2022. Si sviluppa all’interno e attorno la città di Kherson, capoluogo dell’omonimo oblast e situata in una zona strategica tra la foce del fiume Dnepr e il Mar Nero. La battaglia è nota per aver dato ai russi la prima città capoluogo nella loro avanzata in territorio ucraino. Per gli ucraini, la battaglia risulta importante per le sorti militari e politiche delle regioni meridionali e della città di Odessa.
L’oblast’ di Kherson è situato in uno dei punti più nevralgici dell’Ucraina. Qui passa l’estuario del Dnepr, il quale si getta poi sul Mar Nero. Non solo, ma poco più a sud vi è il confine con la Crimea. Una linea di frontiera diventata molto calda da quando, a partire dal 2014, la Russia ha annesso la penisola. Inoltre a ovest di Kherson sono situate tutte le principali infrastrutture per collegare la Crimea e le regioni sud orientali dell’Ucraina con Odessa.
L’intera area risulta quindi strategica sia per i russi che per gli ucraini. Per i primi appare essenziale prenderla, per i secondi invece è vitale difenderla. Mosca, nell’avviare le operazioni militari nella regione, punta anche sulla nomina di città russofona di Kherson. Molti dei suoi trecentomila abitanti infatti parlano regolarmente il russo e, assieme alle regioni di Odessa e Mykolaiv, l’area di Kherson è tradizionalmente collocata nella parte russofona dell’Ucraina, unendosi idealmente con il Donbass e l’est del Paese.
Una circostanza però che non determina, nel corso delle fasi più delicate della battaglia, un’unanime accondiscendenza per il passaggio della regione al definitivo controllo russo. Anzi, proprio la risposta della popolazione alle prime operazioni di Mosca nell’area risulta in futuro una delle variabili maggiormente sottovalutate dal Cremlino tanto a Kherson quanto in altre aree dell’Ucraina.
Nella notte del 24 febbraio 2022, il presidente russo Vladimir Putin in un discorso televisivo annuncia il via libera all’operazione militare in Ucraina. La regione di Kherson è una delle prime a essere bersagliate. Già prima dell’alba vengono segnalate numerose incursioni aeree e diversi bombardamenti missilistici.
Ma nelle prime ore del conflitto si registrano anche primi interventi russi con le truppe di terra. I soldati, in particolare, entrano dalla Crimea e si dirigono subito verso il Dnepr. Alla fine della prima mattinata di guerra, i soldati di Mosca riescono a occupare la strategica località di Nova Kachovka. Si tratta di uno snodo strategico: situata sulle rive del Dnepr, avanzando a est è possibile raggiungere facilmente Melitopol e quindi la regione di Mariupol, mentre andando verso ovest si entra nell’hinterland di Kherson.
Così come ammesso dallo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky, la sera del 24 febbraio i russi sono alle porte di Kherson e le truppe di Kiev stanno cercando di respingere l’assalto. Epicentro di questa prima fase della battaglia è il ponte Antonovskiy, struttura che permette di attraversare il Dnepr ed entrare nell’area urbana di Kherson. Nella notte tra il 24 e il 25 febbraio, il ponte è rivendicato dai russi e Mosca sembra avere gioco facile per entrare definitivamente nella città contesa.
Tuttavia è proprio in quest’area che si hanno le prime sorprese. La resistenza dei soldati ucraini è molto forte e il mattino seguente le truppe di Kiev riprendono in mano la struttura. Forse è questa la fase più cruenta della battaglia ed è questo il primo vero episodio di scontro frontale tra le parti nell’arco dell’intero conflitto. Sul campo restano decine di vittime sia tra gli ucraini che tra i russi, nonché una distesa di mezzi e carri armati distrutti. Il ponte passa di mano varie volte tra il 25 e il 26 febbraio. Il sindaco di Kherson, Ihor Kolykhaiev, annuncia nella sera del 26 che i russi sono costretti a un ripiegamento per via delle difficoltà incontrate nella periferia sud della città.
A guidare la resistenza dell’esercito ucraino è la 59esima brigata motorizzata, contrapposta dall’altro lato alla 58esima armata combinata russa. Mosca qui schiera anche la settima divisione d’assalto aereo delle guardie di montagna. Lo scontro continua a essere duro, ma la svolta si ha il 27 febbraio, quando i russi dichiarano di aver oltrepassato il Dnepr.
Quello stesso giorno, da Mosca il ministero della Difesa fa sapere di aver circondato Kherson e di aver preso l’aeroporto internazionale. Il 28 febbraio anche le autorità ucraine confermano l’accerchiamento della città. Nei giorni successivi, le truppe russe avanzano lungo la tangenziale e occupano i principali punti di accesso verso il centro cittadino.
L’impressione è che la resistenza ucraina è concentrata soprattutto lungo il Dnepr e nella periferia. Una volta oltrepassate le difese di Kiev in questi punti, i russi riescono a dilagare fino a mettere una seria ipoteca sulla presa di Kherson.
E infatti il 2 marzo le prime avanguardie delle truppe russe vengono avvistate in piazza Svobody, nel cuore della città. All’interno del centro urbano si sparano pochi colpi. A differenza di Bucha, Irpin, Mariupol e altre città ucraine di lì a breve coinvolte nelle battaglie urbane, Kherson non subisce gravi danni e le sue infrastrutture appaiono integre.
Sui social diversi cittadini rintanati a casa mostrano il passaggio di truppe russe nelle vie principali. La sera del 2 marzo è lo stesso sindaco Kolykhaiev ad ammettere la caduta di Kherson che, in questa maniera, diventa il primo capoluogo di regione dell’Ucraina a essere in mano russa.
Come detto, nonostante una presenza importante di russofoni nel territorio di Kherson, la gente non accoglie con molto favore l’arrivo dei soldati russi. Difficile dire in che modo è divisa l’opinione pubblica in città. Non ci sono riscontri ufficiali, né dati plausibili. L’unica cosa certa è che, a livello generale, non ci sono scene di parate e accoglienze calorose in favore dei soldati russi.
Molte delle informazioni che dal 2 marzo trapelano da Kherson sono foraggiate dalla propaganda di entrambe le parti. I russi presentano infatti come un proprio successo il ritorno a una certa normalità della situazione, mostrando parchi pieni di cittadini e scuole e uffici nuovamente riaperti. Dall’altro lato però, gli ucraini sottolineano la costante presenza, soprattutto nelle prime settimane di occupazione, di manifestanti in piazza. Per Mosca si tratta di una sparuta minoranza, per Kiev invece del segno della resistenza popolare anti russa.
Brave Ukrainians in Kherson keep protesting against Russian invaders. Peacefully and fearlessly. They literally forced two huge Russian trucks to retreat simply by their peaceful pressure. These people are Ukraine. Their spirit of freedom is truly unbreakable. #CourageousKherson pic.twitter.com/a4O90xs6Q5
— Dmytro Kuleba (@DmytroKuleba) March 20, 2022
Le proteste sono documentate soprattutto sui social. A marzo quasi ogni giorno vanno in scena manifestazioni di persone che espongono la bandiera ucraina, contrapposta invece a quella russa issata sugli edifici pubblici e a quella della vittoria nella seconda guerra mondiale esposta in occasione della festa del 9 maggio. In almeno un’occasione i manifestanti hanno intonato l’inno ucraino difronte a schieramenti di truppe russe che, per risposta, hanno invece fatto risuonare in filodiffusione l’inno russo.
Kherson, Soviet Victory Banner pic.twitter.com/7LzFd85lVl
— OSINTtechnical (@Osinttechnical) April 19, 2022
Con il passare delle settimane il numero delle manifestazioni risulta diminuito. Tuttavia all’interno di Kherson, così come segnalato dai servizi di intelligence britannici e degli Stati Uniti, sarebbero attivi gruppi di sabotatori ucraini. Si tratta di cellule fedeli a Kiev, attivate per colpire membri della nuova amministrazione filo Mosca o soldati russi stanziati nel territorio occupato. Si ha notizia, da marzo in poi, di alcuni episodi verosimilmente attuati da sabotatori ucraini. Il più grave dei quali riguarda l’uccisione, a seguito di un’esplosione avvenuta il 7 settembre, del colonnello russo Atem Bardin.
Tra scene di normalità e manifestazioni pro Kiev, i comandi militari russi si muovono per dare a Kherson un’amministrazione politicamente legata al Cremlino. Il 18 aprile da Mosca arriva la designazione di Igor Kastyukevich quale nuovo sindaco della città, anche se il diretto interessato nega l’incarico ricevuto. Il 22 aprile invece si insedia quale nuovo governatore Volodymir Saldo, pochi giorni dopo viene annunciata invece la designazione di Oleksandr Kobets come nuovo sindaco facente funzioni.
L’obiettivo principale delle nuove amministrazioni pro Mosca è l’organizzazione di un referendum in grado di sancire l’annessione di Kherson alla federazione russa. Per preparare l’intera regione a questa chiamata elettorale, vengono prese nel frattempo alcune decisioni volte ad agganciare sempre più il destino di Kherson alla Russia. Da maggio ad esempio circola il Rublo, ossia la moneta della federazione, che sostituisce la Grivnia ucraina.
Tra maggio e giugno le utenze telefoniche e la linea internet vengono agganciate alle infrastrutture russe, così come iniziano a essere rilasciati i passaporti russi. Diversi cittadini ottengono la cittadinanza della federazione, altro modo per provare a rendere indelebile il passaggio di Kherson a Mosca.
In un primo momento si parla di aprile o di maggio come data per tenere un referendum di annessione alla Russia. Il modello, seppur differente per modalità e per situazioni, non sarebbe così diverso da quello applicato in Crimea. Ossia far arrivare direttamente dai cittadini la legittimazione per l’annessione a Mosca.
Il referendum viene organizzato tra il 23 e il 27 settembre. Kiev non riconosce il voto e lo considera solo uno strumento pilotato dalla Russia per legittimare l’occupazione. Anche gran parte della comunità internazionale non dà rilevanza politica al referendum. Ad ogni modo, il Cremlino il 29 settembre rende nota la vittoria del Sì all’annessione e, il giorno successivo, è Vladimir Putin ad annunciare il passaggio di Kherson alla federazione russa assieme alle altre province dell’Ucraina occupate.
La battaglia di Kherson però non termina con la conquista russa della città. Dopo il ritiro delle proprie forze, Kiev si dice convinta di poter recuperare il territorio. Si organizza così una più solida linea difensiva a ovest del centro urbano, lungo la strada per Mykolaiv. Quest’ultima diventa a sua volta un’altra città strategica, considerata infatti la vera e propria porta verso Odessa. L’esercito ucraino quindi ha un duplice obiettivo nella regione: impedire l’avanzata dei russi verso Mykolaiv e iniziare ad allestire il piano per una controffensiva verso Kherson.
In un primo momento le forze di Mosca sembrano poter procedere verso Mykolaiv, ma l’avanzata viene effettivamente bloccata dagli ucraini. Un colpo molto duro per le ambizioni russe nell’area è inferto il 23 marzo, quando le forze di Kiev lanciano missili contro l’aeroporto militare di Kherson, distruggendo una grande quantità di mezzi russi. Mosca quindi è costretta a fermare o comunque ridimensionare le proprie velleità.
Il fronte rimane in una fase di stallo per diverse settimane. Ad aprile gli ucraini rivendicano una prima avanzata verso Kherson. In particolare, il 23 aprile l’esercito di Kiev annuncia la riconquista di otto località nell’oblast’ di Kherson. Il fronte viene spostato verso la città occupata, facendolo definitivamente allontanare da Mykolaiv.
La linea di contatto tra i due eserciti rimane immobile per tutta l’estate. Sul finire del mese di agosto, l’esercito ucraino fa sapere di aver messo a punto le strategie per iniziare una controffensiva. Gli attacchi partono effettivamente i primi giorni di settembre, ma appaiono concentrati su alcuni specifici obiettivi locali. In realtà, la vera controffensiva ucraina ha luogo negli stessi giorni lungo il fronte di Kharkiv, dove Kiev riesce ad avanzare recuperando diverse aree andate perse tra marzo e aprile. A Kherson invece la situazione al momento è quasi immutata. Si registrano diversi scontri tra le parti, ma le variazioni territoriale sono poco significative.
La svolta definitiva avviene il 4 ottobre. Penetrando dal settore nord occidentale dell’oblast’ di Kherson, le forze ucraine riescono a sfondare le difese russe. Mosca nella parte attaccata da Kiev è in evidente inferiorità numerica e le truppe presenti sul campo possono solo pensare a un’ordinata ritirata. Nel giro di poche ore, gli ucraini guadagnano terreno e si spingono per diversi chilometri in profondità costeggiando la riva occidentale del Dnestr. C’è un dettaglio politico non secondario da considerare nel valutare la nuova avanzata degli uomini agli ordini di Zelensky: appena quattro giorni prima infatti, al Cremlino si era svolta la cerimonia di annessione dell’intero oblast’ di Kherson alla Russia, assieme a quelli di Zaporizhzhia, Donetsk e Lugansk.
Dunque, per la prima volta le truppe di Kiev si spingono in profondità in un territorio considerato unilateralmente da Mosca come parte integrante della federazione. A livello internazionale, l’annessione non viene riconosciuta e dunque le operazioni ucraine vengono legittimate come parte dei tentativi per recuperare la sovranità nelle zone occupate.
La prima spinta ucraina da nord si esaurisce dopo qualche giorno, ma produce significative avanzate all’interno del distretto di Beryslav. Nel frattempo la pressione ucraina aumenta anche da ovest, con le truppe che spingono dalla direzione di Mykolaiv. Mosca intuisce che la difesa della città di Kherson non può durare a lungo. Con l’avanzata delle forze di Kiev non si hanno infatti grossi scontri, segno di come dal Cremlino venga messa in conto la possibilità di ordinare un ritiro definitivo dalla zona evitando battaglie in grado di debilitare ulteriormente l’esercito russo.
Il 10 novembre, il ministro della Difesa Sergej Shoigu annuncia da Mosca l’ordine di ritiro da Kherson. Il giorno dopo, truppe russe vengono avvistate in ponti provvisori realizzati dall’esercito sul Dnepr. In questo modo, le forze di Mosca presenti in città oltrepassano il fiume e lasciano il territorio. Il giorno dopo, gli ucraini entrano in città e Kherson viene considerata ufficialmente nelle mani di Kiev.
In città però la guerra non è finita. Dalla sponda in cui si sono ritirati, i russi lanciano diversi attacchi con colpi di artiglieria causando ulteriori danni agli edifici e pericoli per l’incolumità delle persone. Inoltre, anche Kherson è soggetta ai disagi derivanti dalla distruzione di diverse infrastrutture energetiche causate dai bombardamenti attuati in quelle settimane in tutta l’Ucraina. Le strade sono al buio, la distribuzione di luce e acqua è razionata, i cittadini temono di dover affrontare il grande gelo invernale senza riscaldamenti.
Ad ogni modo, sotto il profilo prettamente militare, Kherson è saldamente in mano alle forze ucraine e i russi al di là del fiume non sembrano avere la possibilità di attuare un contrattacco.