Il termine di “Brigate Internazionali” è universalmente associato alle truppe che si arruolarono volontarie da tutti i Paesi del mondo per soccorrere la Spagna repubblicana assediata dall’insurrezione franchista tra il 1936 e il 1939, aiutandola nella Guerra civile spagnola. Il suo rilancio da parte del presidente ucraino Volodymir Zelensky a seguito dell’aggressione russa si inserisce in una retorica narrativa che, dal punto di vista di Kiev, individua in Vladimir Putin il nuovo Hitler, nell’Ucraina l’antemurale al confronto decisivo tra democrazia e dittatura. E dunque nella nuova Spagna, la cui caduta definitiva nelle mani del regime franchista precedette di pochi mesi lo scoppio del Secondo conflitto mondiale.
Dalla Danimarca al Regno Unito, passando per la Lituania, diversi Paesi hanno già dichiarato che non si opporranno all’afflusso in Ucraina di loro concittadini desiderosi di inquadrarsi nelle fila delle armate di Kiev. La chiamata alle armi da parte dell’Ucraina dei volontari internazionali ci porta a riflettere su quanto, negli ultimi due secoli, più volte delle cause politico-strategiche abbiano ricevuto una risposta corale da parte di volontari e combattenti provenienti, soprattutto dai Paesi occidentali. Il caso della Spagna è il più famoso, ma non è unico. Cosa spinge un uomo a legarsi sentimentalmente a una causa lontana? Cosa lo porta a identificarsi in esso, fondersi in un tutt’uno con la sua volontà di resistenza, aderire alla sua chiamata alle armi? Questa è una coppia di domande che ha avuto risposte diverse negli ultimi due secoli. Da quando, cioè, le prime “Brigate Internazionali” ante litteram ebbero un cantore d’eccezione: lord Byron.
Mentre nel cuore dell’Europa mediterranea la Grecia, a partire dal 1821, si ribellava contro la plurisecolare dominazione ottomana, George Byron nel Regno Unito vide in essa il simbolo dell’epica romantica di cui era imbevuta la sua opera letteraria. Nella retorica degli indipendentisti greci, cavalcata dallo Zar Alessandro di Russia, la libertà ellenica intendeva riscattare i lumi dell’antichità contro i secoli bui della dominazione turca, le radici della civiltà contro il sintomo declinista dell’età oscura, l’Europa come comunità ideale contro il Grande Altro, incarnato dallo stereotipo perenne del Turco. Nel 1823 Byron, persuaso dall’amico John Cam Hobhouse, aderì all’associazione londinese filoellenica a sostegno della guerra d’indipendenza greca contro l’Impero ottomano.
In Europa occidentale, il caso greco diventò inoltre il simbolo della lotta dei liberali e finì per incarnarne tutte le loro cause: la libertà contro il dispotismo, ma anche il diritto dei popoli all’autodeterminazione e la lotta contro l’oppressione di una monarchia conservatrice e arcaica, cause che erano state represse dopo la fine dell’Età di Napoleone, rivissero in Grecia anche grazie all’opera di propaganda di Byron che in Grecia trovò la morte, colpito da febbri malariche, nel 1824 a Missolongi ma che col suo epistolario contribuì a infiammare l’Europa a favore della causa greca. Conclusasi infine al termine del decennio con l’indipendenza, anche grazie al continuo afflusso di volontari dall’Europa e perfino dal Nord America.
Alcuni decenni dopo fu Giuseppe Garibaldi a diventare il simbolo della lotta contro ogni oppressione. L’Eroe dei Due Mondi si conquistò questa fama con le sue campagne in Sud America, dapprima a fianco del Rio Grande do Sud in lotta contro l’Impero Brasiliano (1839), in seguito combattendo con i “Colorados” uruguaiani alleati con gli Unitari argentini contro i “Blancos” dell’ex presidente uruguaiano Oribe, alleati con i federalisti argentini di Rosas; in entrambi i casi le gesta di Garibaldi gli procurarono la notorietà che l’avrebbe accompagnato fino allo sbarco in Sicilia del 1860. Dopo l’unità d’Italia, Garibaldi comandò in due occasioni vere e proprie armate multinazionali: il Corpo Volontari Italiani di 43mila uomini, composto anche da centinaia di stranieri (francesi, spagnoli, tedeschi, polacchi) che operò nel corso della terza guerra di indipendenza del 1866 sul fronte del Trentino contro l’impero austriaco e, episodio meno noto, l’Armata dei Vosgi della Terza Repubblica Francese attiva nelle fasi finali della guerra contro la Prussia di Bismarck nel 1870.
Non a caso proprio a Garibaldi furono dedicate le unità italiane impegnate nella Guerra civile spagnola. Una vera e propria guerra intestina tra italiani, con decine di migliaia di volontari a sostegno della Repubblica che si opponevano ai corpi mandati da Benito Mussolini a sostegno di Franco.
Prima delle brigate internazionali si erano costituite delle spontanee colonne, come la Colonna Italiana di ispirazione prevalentemente libertaria e giellista (Giustizia e Libertà) creata dagli esuli antifascisti Emilio Lussu, Carlo Rosselli, Mario Angeloni. In seguito anche Randolfo Pacciardi (repubblicano) e Luigi Longo (comunista) ricevettero in Spagna il battesimo del fuoco che li avrebbe fatto inaugurare una carriera nelle fila dell’antifascismo destinata a durare fino alla Resistenza.
Lo storico tedesco Arno Lustiger, nel libro Shalom Libertad!, stima inoltre che un’altra grande quota di combattenti fosse quella dei volontari ebrei, il cui numero pare in un certo momento raggiungesse le 7.758 unità, vale a dire poco meno di un quinto dell’intero corpo volontario.
Anche artisti e scrittori come George Orwell e Andre Malraux parteciparono ai combattimenti sanguinosi, un’esperienza traumatica che segnò una tappa cruciale della guerra civile europea ma consolidò, al tempo stesso, l’opposizione internazionale contro il fascismo. Un pensatore di estrema destra come Julius Evola avrebbe scritto che “la mia patria è dove si combatte per il mio ideale. Per una particolare eterogenesi dei fini, sarebbero stati proprio i volontari antifascisti a dare una vera interpretazione di questo detto.
Dal Mozambico all’Angola, le guerre di decolonizzazione contro l’Impero portoghese nel secondo dopoguerra chiamarono volontari da entrambe le parti: sia sul fronte di chi vedeva nell’Africa australe la nuova trincea per la libertà dei popoli, e Cuba iniziò con l’invio di volontari per poi intervenire con l’esercito regolare nei successivi conflitti civili seguiti alla decolonizzazione, sia di chi si batteva nella trincea anticomunista.
Più recentemente, è stata nota a livello globale la causa dei Curdi siriani, che ha attratto un’onda di sentimenti contraddittoria: simboli del confederalismo democratico e idoli della sinistra radicale occidentale, i Curdi resistenti contro l’Isis e attaccati dalla Turchia sono stati però portatori di uno dei più convinti sentimenti nazionalisti. A testimonianaza della fluidità delle cause per cui spesso i volontari andarono a combattere. Il Donbass ha mostrato invece un lato più inquietante di questo fenomeno, con estremisti di destra e di sinistra di tutta Europa andati ad arruolarsi o nelle formazioni separatiste o nelle milizie di sostegno all’esercito ucraino. Zelensky ora chiama a una guerra di resistenza col sostegno di volontari europei. Sarà la sua coalizione una nuova forma delle “Brigate Internazionali”? Ancora presto per dirlo. Ma unendo la sua causa di libertà a quella dell’Europa intera, il presidente prova a inserirsi in un solco ben chiaro, che da Byron e Garibaldi arriva fino a noi. E la storia continua a marciare anche in un’Europa che credeva di poterne fare a meno.