Cos’è l’Esercito siriano libero?

L’Esercito siriano libero nasce ufficialmente il 4 giugno 2011, ma l’annuncio in video di questa milizia avviene soltanto il 29 luglio successivo. Si tratta di una formazione militare e para militare che, allo scoppio delle proteste in Siria nel 2011, riunisce alcuni combattenti dell’opposizione al governo di Bashar al Assad. Ufficialmente la missione è quella di proteggere i civili dagli attacchi governativi. Tuttavia, ben presto le attività dell’Esercito siriano libero si trasformano in guerriglia, fino allo scontro frontale con le forze lealiste.

All’inizio delle sue attività, l’Esercito siriano libero è una struttura formata da disertori dell’esercito della Repubblica araba siriana. Ben presto però, al suo interno, emergono figure legate ai Fratelli Musulmani e soprattutto all’integralismo islamico. Oggi, il ruolo dell’Esercito siriano libero all’interno del conflitto siriano appare estremamente limitato.

Nel marzo del 2011, la Siria assiste alle prime manifestazioni organizzate sulla scia di quelle della cosiddetta “primavera araba”, che in quelle settimane infiammano soprattutto Tunisia, Egitto, Libia e Yemen.

Inizialmente le manifestazioni non riscuotono, soprattutto a Damasco ed Aleppo, un grande consenso popolare. Ma la situazione ben presto cambia. Emergono, infatti, gruppi in grado di attuare sabotaggi ed azioni tali da far vacillare la stabilità della Siria.

Quando il 15 marzo 2011, data ufficiale dell’inizio della guerra civile siriana, alcuni manifestanti vengono uccisi a Daraa, l’esercito di Damasco non è deliberatamente attaccato da nessuna forza in particolare. Il primo caso sarà il 4 giugno del 2011, quando viene registrata la prima vera incursione armata da parte di un gruppo di manifestanti contro specifici obiettivi militari: il tutto avviene nella cittadina di  Jisr al-Shughur, nella provincia di Idlib, con l’esercito costretto per una settimana a veri combattimenti per riprendere il controllo.

Ecco perché la nascita dell’Esercito siriano libero viene identificata con quella data. L’annuncio ufficiale della formazione militare contrapposta all’esercito regolare è del 29 luglio. In quell’occasione,  Riyad al-As’ad, ex ufficiale dell’esercito siriano che ha disertato poche settimane prima, proclama la nascita dell’Esercito siriano libero. L’obiettivo è quello di proteggere i civili dalla repressione delle manifestazioni, ma pare ben presto a tutti chiaro che il vero fine è quello di rovesciare Bashar Al Assad.

L’Esercito siriano libero adotta una nuova bandiera, che corrisponde a quella nero – verde – bianca dell’epoca del protettorato francese in Siria. Il 29 luglio viene inoltre annunciata ad Istanbul la nascita del “Consiglio Nazionale Siriano”, il quale adotta la bandiera sopra indicata e chiede alla comunità internazionale il riconoscimento quale unico rappresentante dello Stato siriano.

La bandiera dell'Esercito siriano libero (Wikipedia)
La bandiera dell’Esercito siriano libero (Wikipedia)

L’Esercito Siriano Libero diventa così il braccio armato del Consiglio Nazionale Siriano ed inizia a fronteggiarsi con le forze fedeli ad Assad. Ad appoggiare questo nuovo esercito sono, chi politicamente e chi con armi e munizioni, i Paesi occidentali oltre che la stessa Turchia che ne ospita il comando nella cittadina di Hatay.

Le bandiere dell’Esercito siriano libero appaiono per la prima volta ad Hama. Questa città, la quarta per dimensioni in Siria, ha al suo interno alcune delle filiali più attive dei Fratelli Musulmani e, dal 1982, ha sempre vissuto con il rancore per i bombardamenti di Hafez Al Assad, padre del presidente Bashar.

I rappresentanti dell’Esercito siriano libero dichiarano di voler difendere i manifestanti di Hama, appoggiandoli nella loro sfida alle autorità centrali. Contrariamente a quanto pronosticato, però, l’esercito governativo riesce a mantenere sotto controllo la situazione e, dopo un mese di scontri, Hama torna alla normalità.

Questo fatto, però, non spegne le velleità dell’Esercito siriano libero, che dal novembre del 2011 inizia ad avere la meglio sulle forze regolari ad Homs. Qui i soldati fedeli al presidente Assad subiscono le prime vere sconfitte e non riescono a riportare la calma in città. È così che inizia la vera e propria guerra civile. Homs non a caso viene subito denominata “capitale della rivoluzione” e negli edifici governativi appare la bandiera dell’Esercito siriano libero.

Le avanzate nella città di Homs e nella provincia circostante, anticipano di qualche mese quelle nella provincia di Idlib ed in quella meridionale di Daraa. In poche parole, l’Fsa (questo lo pseudonimo in inglese dell’Esercito siriano libero) diventa un vero e proprio antagonista dell’esercito regolare. La Siria piomba così nell’incubo del conflitto aperto.

Nei primi mesi del 2012 l’Esercito siriano libero avanza ancora nel nord del Paese e nella provincia di Homs. Nel frattempo la Siria è scossa anche da diversi attentati di stampo islamista che colpiscono le principali città. La bomba che il  18 luglio 2012 a Damasco di fatto azzera i vertici della difesa, uccidendo anche il ministro della Difesa e ferendo il fratello di Assad, fa da preludio all’operazione “Vulcano” con la quale l’Esercito siriano libero cerca di prendere la capitale. Il giorno successivo, un’analoga offensiva scatta su  Aleppo. Le due principali città siriane sono assediate dall’Esercito Siriano Libero, Homs è quasi interamente nelle mani degli insorti e il governo di Assad sembra capitolare.

Le azioni su Damasco ed Aleppo subiranno ben presto le controffensive dell’esercito regolare, che riesce a conservare soprattutto i punti cardini della capitale. È però innegabile il fatto che nel 2012 l’Esercito siriano libero riesce a dilagare in molte aree del Paese, arrivando quasi a far crollare il potere di Assad. La storia che vede l’Esercito siriano libero composto soltanto da dissidenti e volontari capaci, nel giro di poche settimane, di sfidare le truppe governative con le armi sequestrate durante le prime battaglie sembra subito vacillare. Appare invece evidente come l’Fsa riceva due tipologie diverse di aiuto: da un lato quello straniero, dall’altro invece quello delle milizie islamiste.

Da solo, e con soltanto i disertori, l’Esercito siriano libero può fare ben poco. Dal confine turco arrivano, a partire dai primi mesi del 2012, ingenti quantitativi di armi e munizioni oltre che di soldi. Ma non solo: il 2012 è anche l’anno della cosiddetta “autostrada della jihad”. Il leader turco Recep Tayyip Erdogan, infatti, lascia attraversare il suo Paese da migliaia di jihadisti provenienti da tutto il mondo che, in poco tempo, si arruoleranno all’interno dell’opposizione siriana. Non è un caso che, al di là di Homs, i primi territori ad essere conquistati dall’Esercito siriano libero siano proprio quelli lungo il confine turco all’interno della provincia di Idlib.

Dopo quanto accaduto durante tutto il corso dell’anno, il 7 dicembre 2012 nella città turca di Antalya si tiene una riunione con tutti i capi delle sigle confluite nell’Esercito siriano libero.

Alcune fonti parlano di 260 tra neo ufficiali e neo comandanti presenti, altre invece di 500: tutti sono d’accordo nel formare un comitato di trenta persone, e comandato da un Capo di Stato Maggiore: Salim Idris.

In questo modo si cerca di creare un vero e proprio coordinamento dell’Esercito siriano libero, in grado di poter rilanciare le principali battaglie in corso in un momento in cui la guerra sembra indebolire Assad. Ad Antalya sono presenti, tra gli altri, anche componenti ed esperti militari di Usa, Gran Bretagna, Francia, Arabia Saudita, Qatar e Giordania. Per molte potenze occidentali, infatti, la caduta di Assad è solo questione di mesi.

Ad Antalya non sono però presenti due gruppi islamisti che già da mesi stanno aiutando l’Esercito siriano libero: il Fronte Al Nusra ed Ahrar Al Sham.

La loro esclusione dalla riunione tenuta in Turchia, al pari dell’esclusione dal comitato di trenta persone insediatosi in quell’incontro, cerca di dare un’immagine laica e moderata dell’opposizione siriana. Un tentativo di nascondere, almeno sulla carta, quanto avviene invece nella realtà: i gruppi jihadisti, già dall’inizio del 2012, iniziano ad essere importanti per le avanzate dell’Esercito Siriano Libero.

Come detto, lungo tutto il corso del 2012 si permette l’ingresso in Siria di numerosi combattenti islamisti, che cominciano ad avere un ruolo sempre più importante non solo all’interno dell’Esercito siriano libero, ma anche di tutta l’opposizione. Ad Aleppo, ad esempio, nel luglio 2012 l’ospedale Al Kindi viene circondato e poi distrutto da terroristi ceceni che poi giustiziano i militari governativi.

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Un segnale come tanti altri della presenza di sempre più combattenti stranieri tra i cosiddetti “ribelli”. Ma anche a Damasco la presenza jihadista interna all’Fsa si rivela di fatto decisiva per la riuscita dell’operazione Vulcano e delle altre iniziative anti governative nella capitale. A Douma ad esempio, città più grande della regione della Ghouta orientale attigua a Damasco, prende quasi subito piede la sigla “Esercito dell’islam”, un gruppo terroristico finanziato dai sauditi. All’inizio del 2013 la componente islamista interna all’opposizione diventa sempre più preponderante. Nei territori sottratti all’esercito di Damasco, iniziano violenze e persecuzioni contro minoranze etniche e religiose e, in particolare, contro i cristiani e gli alauiti.

Nel frattempo in Siria, dal confine con l’Iraq, fa  la sua comparsa anche l’Isil: il gruppo che nei primi anni post Saddam Hussein è noto con il nome di Al Qaeda in Iraq, dà manforte ad Al Nusra nei combattimenti contro l’esercito siriano e permette la conquista di Raqqa, importante capoluogo dell’est del Paese (Che cos’è l’Isis).

Nella primavera del 2013, il leader dell’Isis  Abu Bakr Al Baghdadi annuncia la fusione della sua organizzazione con Al Nusra. Il progetto non va però a genio proprio ai leader della filiale siriana di Al Qaeda, con le due fazioni jihadiste che iniziano a guardarsi con reciproco sospetto. Pur tuttavia, proprio in quel periodo, Al Nusra ed Isis contribuiscono a rendere ancora più importante l’influenza dell’estremismo islamico nell’opposizione siriana.

In molte zone di Idlib, così come nell’est del Paese,  la bandiera dell’Esercito siriano libero viene sostituita dai vessilli dell’Isis o di Al Nusra. Anche lì dove l’opposizione è ufficialmente ancora rappresentata dall’Esercito siriano libero, l’incidenza di altre sigle islamiste minori appare più forte. In poche parole, tra il 2013 ed il 2014 la componente laica dell’opposizione ad Assad è quasi del tutto fuori dai giochi, con l’Fsa sostituito dai gruppi di ispirazione islamista.

Nel 2015 lo scenario in Siria appare radicalmente cambiato. L’Isis avanza in quasi tutta la parte orientale del Paese e nel deserto. Il 28 marzo 2015 i miliziani di Al Nusra prendono Idlib e il leader della costola siriana di Al Qaeda su Al Jazeera annuncia la volontà di creare uno Stato islamista in tutta la Siria.

In questo contesto, il 30 settembre 2015 parte l’operazione russa chiesta dal governo di Assad per dare manforte alle truppe governative. A 15 giorni da questo evento, il 15 ottobre 2015 viene annunciata la nascita di una nuova formazione militare: le Syrian Democratin Forces (Sdf). L’annuncio avviene ad Al Hasakah, una delle più importanti città curde in Siria. In effetti, la nuova coalizione viene formata da buona parte delle milizie curde Ypg e viene identificata come forza curda. Al suo interno, però, confluiscono anche alcuni reparti legati all’Esercito Siriano Libero.

Le Sdf avanzeranno in tutto il nord est della Siria, spingendosi anche in aree non a maggioranza curda. La coalizione ha il diretto appoggio degli Usa che inviano sul campo i reparti speciali. Sarà questa formazione militare a prendere nell’agosto 2016 l’importante cittadina di  Manbji, mentre l’anno successivo sarà protagonista della caduta di Raqqa, capitale dell’autoproclamato califfato islamico.

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La sigla dell’Esercito siriano libero sparisce quasi del tutto nella geografia del conflitto in Siria: le poche unità rimaste vengono per l’appunto segnalate all’interno dell’Sdf, assieme ad altre milizie ed a rappresentanti di tribù arabe oltre, ovviamente, ai curdi.

La bandiera dell’Fsa torna a sventolare e ad essere esposta in un’operazione militare soltanto nell’agosto 2016. Il 24 di quel mese, infatti, la Turchia lancia la cosiddetta operazione “Scudo nell’Eufrate“, con la quale Ankara punta ad occupare alcuni territori in mano all’Isis a nord di Aleppo per evitare la continuità territoriale tra i curdi dell’Sdf.

La Turchia in questa operazione si è avvale di alcune milizie identificate come “ribelli filo turchi”, ai quali la stessa Ankara dà l’appellativo di Esercito siriano libero, stabilendo quasi una certa continuità con l’Fsa sorto nel 2011.

La prima località ad essere occupata in questa azione è quella di Jarabulus, al confine tra Siria e Turchia. L’operazione Scudo nell’Eufrate termina nel marzo 2017 e culmina con l’occupazione di Al Bab, a nord di Aleppo. In tutti i comuni interessati dall’azione turca, negli edifici pubblici viene affissa la bandiera dell’Esercito siriano libero. Pur tuttavia, la sicurezza ed anche buona parte della gestione amministrativa sono affidati all’esercito turco ed alle autorità di Ankara.

Il 18 gennaio del 2018 inizia un’altra operazione militare della Turchia in Siria. Questa volta ad essere preso di mira dalle forze di Ankara è il cantone curdo di Afrin, sempre a nord di Aleppo.

L’operazione viene chiamata “Ramoscello d’ulivo”: secondo il presidente turco Erdogan, l’azione militare è necessaria per stanare quelli che lui definisci “terroristi curdi”, pronti a destabilizzare la Turchia. Sulla base del principio di difesa dei confini nazionali e con il tacito consenso di Mosca e Damasco, le forze speciali turche penetrano all’interno del cantone.

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Ancora una volta ad accompagnare questa operazione sono le milizie del cosiddetto Esercito siriano libero. Quando, poche settimane dopo dall’inizio dell’operazione, turchi e milizie Fsa entrano ad Afrin, in città vengono issate le bandiere della Turchia e dell’Esercito siriano libero. Erdogan, in una dichiarazione effettuata quello stesso giorno, afferma che i turchi lasceranno Afrin ai “legittimi proprietari”, individuati nei membri dell’Fsa.

Da più parti sono piovute, nel corso di questi ultimi mesi, accuse di non rispetto dei diritti umani e di ritorsioni contro la popolazione curda: da Afrin e dal cantone circostante fuggono numerose famiglie, mentre statue e simboli curdi vengono abbattuti e tolti dai miliziani.