Il 24 febbraio 2022, alle ore 3:51 (orario italiano), inizia l’attacco russo all’Ucraina. L’ordine arriva dal presidente russo Vladimir Putin, il quale annnuncia il disco verde ai primi raid in terra ucraina durante un lungo discorso televisivo. Mosca non parla di guerra vera e propria, bensì di “operazione militare speciale” volta a smilitarizzare l’Ucraina. Da parte sua Kiev denuncia l’intervento russo come invasione e aggressione e chiama a raccolta la popolazione per difendersi.
Contestualmente ai raid, il 24 febbraio inizia anche l’operazione di terra volta ad occupare i principali siti militari e le principali città dell’Ucraina. Diversi i fronti aperti. Si combatte in quasi tutte le regioni dell’Ucraina, eccezion fatta quelle che coincidono con la parte occidentale del Paese.
Il primo fronte a essere sotto l’occhio del ciclone è quello del Donbass, ossia delle regioni russofone dell’est del Paese. Qui la guerra c’è già dal 2014, da quando cioè negli oblast di Donetsk e Lugansk sono emerse forze separatiste in grado di dare vita a due distinte repubbliche. A seguito di aspri combattimenti, l’esercito ucraino viene espulso da queste zone e il territorio inizia a essere governato dalla Repubblica di Donetsk e dalla Repubblica di Lugansk. I confini sono determinati dagli accordi di Minsk, in cui viene fissata una linea di contatto tra territori separatisti e regioni in mano a Kiev. Si concorda anche un percorso politico volto al reinserimento del Donbass sotto la sovranità ucraina, ma nel contesto di un’ampia autonomia da accordare alle province russofone.
Gli accordi però vengono disattesi. A partire dal gennaio 2022 la tensione si fa molto forte per via anche della nuova escalation politica tra Mosca e Kiev e delle notizie trapelate dall’intelligence Usa secondo cui la Russia si prepara a invadere. Lungo la linea di contatto si avvertono quotidianamente esplosioni e colpi di artiglieria. La svolta avviene il 21 febbraio, quando il presidente russo Vladimir Putin annuncia il riconoscimento delle due repubbliche separatiste, preludio a un possibile intervento di peacekiping russo nel Donbass. Il 23 febbraio Mosca risponde positivamente alla richiesta di aiuto rivolta da Donetsk e Lugansk in risposta a possibili piani ucraini di invasione delle regioni separatiste.
La notte successiva scoppia la guerra in tutto il territorio ucraino. A quel punto il Donbass filorusso si presenta svuotato di gran parte della popolazione civile, fatta affluire nei giorni precedenti in Russia per via della proclamazione dello stato d’emergenza effettuata dai due governi separatisti tra il 17 e il 18 febbraio.
Nei primi giorni di guerra il fronte orientale tuttavia sembra stabile. Soltanto dopo una settimana si registrano seri scontri tra separatisti, aiutati dai russi, e ucraini. I combattenti della Repubblica di Donetsk avanzano verso sud, in direzione Mariupol, mentre da Lugansk i separatisti si dirigono verso ovest e verso nord, guadagnando diversi territori all’interno della regione del Donbass. L’esercito ucraino qui offre una decisa resistenza nella prima settimana di conflitto. La pressione proveniente dagli altri fronti aperti dai russi e dalle incursioni aeree di Mosca, permette ai separatisti di avanzare e guadagnare terreno.
La svolta nella parte orientale del Paese arriva dopo il 30 marzo, giorno cioè in cui i vertici della Difesa russa annunciano un ridispiegamento delle proprie forze impegnate nell’operazione militare in Ucraina. In particolare, ai reparti presenti a Kiev, a Chernihiv e a Sumy viene dato ordine di rientrare nelle basi in Russia e Bielorussia in attesa di nuovi incarichi. Per il governo ucraino si tratta di vero e proprio ritiro da Kiev e di fallimento della prima parte dell’operazione.
Ad ogni modo, già a metà aprile buona parte delle truppe richiamate dai dintorni della capitale ucraina vengono dirottate nel Donbass. Qui inizia la battaglia per la presa delle più importanti città della regione oltre la linea di contatto fissata con gli accordi del 2014. Il primo obiettivo di Mosca e dei soldati dell’autoproclamata Repubblica di Lugansk, è la città di Severodonetsk. Quest’ultima per gli ucraini rappresenta il capoluogo provvisorio dell’oblast di Lugansk ed è quindi un obiettivo importante da difendere.
Le forze russe e filorusse, coadiuvate anche da gruppi ceceni, avanzano verso la periferia della città durante i mesi di aprile e maggio. Il grippo delle truppe in quel momento è impegnato a Mariupol, nel sud del Paese, città espugnata ufficialmente soltanto il 21 maggio. Da allora in poi, i russi intensificano le operazioni su Severodonetsk e ingaggiano battaglie urbane con gli ucraini nella prima decade di giugno. Molti civili vengono evacuati, altri rimangono imprigionati all’interno dello stabilimento chimico Azot.
La città viene bersagliata e la battaglia è molto cruenta. Il 25 giugno Kiev annuncia il ritiro da Sevorodonetsk. Pochi giorni dopo la stessa sorte tocca a Lysychansk, città “gemella” situata poco più a ovest. Con la presa di entrambe le località, russi e filorussi conquistano di fatto l’intero oblast di Lugansk.
Durante l’estate del 2022 il fronte appare stabilizzato. Russi e filorussi spingono per arrivare in prossimità di altre due città strategiche, quelle cioè di Slovjansk e Kramatorsk, le più importanti dell’oblast di Donetsk e del Donbass in mano a Kiev. Tuttavia i progressi delle truppe del Cremlino appaiono al momento limitati.
Nel primo giorno di guerra i russi, oltre che a pressare dalle repubbliche separatiste del Donbass, entrano in Ucraina da nord e dalla Crimea. Da qui in particolar modo le truppe russe iniziano ad avanzare verso le rive del Dnepr. Sul fronte meridionale il primo obiettivo sembra quello di conquistare le posizioni difensive ucraine poste poco oltre la frontiera con la Crimea. Poche ore dopo lo scoppio del conflitto, i soldati di Mosca sono alle porte di Nova Kachova, prima località ucraina seriamente assediata dai russi.
Si tratta di uno snodo fondamentale per irrompere pesantemente lungo l’intero fronte meridionale. Conquistata la cittadina, le truppe russe si dirigono verso est in direzione di Melitopol e verso ovest invece verso Kherson. Qui i due eserciti si fronteggiano per diversi giorni in una dura battaglia sulle rive del Dnper.
#Melitopol, Ukraine 🇺🇦.
Civilians keep protesting against #Russian occupation.#StandWithUkraine#StopRussianAgression pic.twitter.com/9Z64QmaNUW— Emine Dzheppar (@EmineDzheppar) March 10, 2022
Procedendo verso le zone orientali del fronte invece, i soldati di Mosca conquistano subito terreno. Il 26 febbraio le truppe entrano a Melitopol, importante centro portuale sul Mar d’Azov. Proprio le coste che si affacciano sullo specchio d’acqua chiuso tra la Crimea e le regioni meridionali dell’Ucraina si concentrano i maggiori sforzi da parte russa nei primi giorni di guerra.
L’avanzata prosegue infatti successivamente verso il porto di Berdiansk. La conquista di quest’ultima località apre ai russi le porte della periferia di Mariupol. Ossia forse il vero obiettivo delle truppe entrate dalla Crimea. La città, di oltre 500mila abitanti, nel 2014 risulta contesa tra ucraini e separatisti, stanziati poco più a est. Gli accordi di Minsk fanno correre la linea di contatto a pochi chilometri dalla sua periferia orientale. Molti russofoni da allora abbandonano la città e al suo interno viene situata la sede del Battaglione Azov.
Prendere Mariupol vuol dire quindi per i separatisti appropriarsi di un territorio da loro sempre rivendicato, per i russi invece significa conquistare il porto ucraino più importante sul Mar d’Azov, oltre a strappare la città al Battaglione Azov. Inoltre la presa di Mariupol garantirebbe un collegamento diretto tra le repubbliche separatiste e i territori ucraini conquistati dai russi a partire dal 24 febbraio. In tal modo si verrebbe a creare un unico corridoio che dalla Crimea risale fino a Lugansk.
Per via di questa sua importanza strategica, a Mariupol i combattimenti sono furiosi. Dai primi giorni di marzo il centro urbano è cinto d’assedio. Da ovest avanzano i russi, da nord e da est i separatisti di Donetsk. La città è completamente circondata e sottoposta a pesanti bombardamenti. I civili rimangono ben presto senza elettricità e con scorte di generi di prima necessità. Mariupol viene descritta, dai pochi giornalisti rimasti in città, come un vero e proprio inferno. Il 5 marzo viene annunciata una prima tregua da parte dei russi per favorire la creazione di un corridoio umanitario e quindi fare uscire i civili. Ma i tentativi vanno a vuoto, con russi e ucraini che si scambiano accuse a vicenda per il fallimento della tregua. Il 7 marzo alcune avanguardie separatiste raggiungono i quartieri nord di Mariupol. Quando la battaglia arriva in città, con i civili non del tutto evacuati, la situazione sotto il profilo umanitario diventa ancora più grave.
I combattimenti vanno avanti per tutti i mesi di marzo e aprile e vedono impegnati russi, filorussi e ceceni da un lato. Dall’altro ovviamente sono i soldati ucraini e i membri dell’Azov a provare a difendere la roccaforte. Lo scenario è quello di una vera e propria battaglia urbana casa per casa e vicolo per vicolo. Il 21 aprile il Cremlino annuncia la fine delle ostilità a Mariupol, con eccezione dell’area dello stabilimento industriale Azovstal. Qui si trincerano gli ultimi combattenti del Battaglione Azov e dell’esercito. Sorvegliata a vista, l’area viene circondata ma si hanno solo sporadiche battaglie. Mosca non vuole sacrificare tanti uomini per una zona non considerata strategica, con ormai Mariupol quasi interamente nelle proprie mani.
All’interno di Azovstal la situazione è drammatica. Molti soldati muoiono per ferite non medicate, molti civili rimasti intrappolati non hanno accesso a generi di prima necessità. A metà maggio proprio i civili vengono evacuati, bisogna attendere il 21 maggio per la totale evacuazione anche dei soldati. Questi ultimi, a seguito di trattative tra le parti, accettano di lasciare le armi ed essere trasferiti negli ospedali e nelle prigioni della Repubblica Popolare di Donetsk. In tal modo la battaglia di Mariupol può dirsi conclusa. La città appare distrutta in quasi tutti i suoi quartieri, con danni in oltre il 70% degli edifici. Al momento imprecisato il numero di vittime civili.
Sempre sul fronte meridionale è importante evidenziare la risalita dei russi anche lungo le rive orientali del Dnepr. Nella notte tra il 4 e il 5 marzo le truppe di Mosca raggiungono la centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa. Ne nasce una battaglia in cui gli ucraini accusano i russi di lanciare ordigni a pochi passi dai reattori. L’impianto è ora in mano ai soldati di Mosca, secondo cui non ci sono problemi di sicurezza nell’area. Da qui il centro di Zaporizhzhia dista 25 km.
Quando si fa riferimento al fronte di Kharkiv, in realtà si indicano più città e più direttrici di attacco russo nel nord est dell’Ucraina. Oltre alla stessa Kharkiv, seconda città ucraina per grandezza e “capitale” dell’est del Paese, occorre includere anche il fronte di Sumy, città strategica a ovest di Kharkiv, e la cittadina di Izium. Tre linee di avanzata nel nord est fondamentali per comprendere la strategia russa in Ucraina.
Kharkiv risulta un obiettivo sia strategico che simbolico. Ospita un’importante minoranza russofona, si trova a 40 km dal confine russo e inoltre è un riferimento economico, politico e culturale per l’intero est dell’Ucraina, cuore nevralgico delle operazioni militari di Mosca. Per questo sin dal primo giorno di guerra Kharkiv risulta pesantemente bombardata.
#UkraineRussianWar: Pesanti bombardamenti russi, stanotte, nel villaggio di Lyubotino, della regione di #Kharkiv. 🇷🇺🇺🇦💣 pic.twitter.com/PwtvvsKcUG
— Ucrainarussianews (@Ucrainarussia) March 10, 2022
L’esercito russo arriva nella periferia della città lo stesso 24 febbraio. Da allora però, fallita una prima incursione in centro il 27 febbraio, l’avanzata non procede in modo spedito. Il fronte rimane assestato a circa 15 km dal centro lungo i settori settentrionali e orientali della metropoli. A partire dai primi giorni di marzo il centro è bersagliato pesantemente dall’artiglieria e dall’aviazione russa. È la prima volta, dall’inizio della guerra, che una città viene presa di mira direttamente nei suoi quartieri centrali. Il 9 marzo fonti della Difesa Usa avvertono gli ucraini di un possibile avvicinamento delle truppe russe verso Kharkiv. L’aspetto del centro intanto appare spettrale: molte strade sono coperte di macerie, le sedi del consiglio regionale e della polizia locale risultano distrutte, diversi civili sono stati uccisi ed è difficile fare scorte di cibo e generi di prima necessità. I corridoi umanitari non sempre funzionano: pochi abitanti per adesso sono riusciti ad abbandonare Kharkiv.
Contemporaneamente, ad ovest sta risultando decisiva la battaglia attorno Sumy. Prendere la città vorrebbe dire sfondare le linee difensive poste quasi a metà strada tra Kiev e Kharkiv. Sumy è una delle località più bersagliate dall’inizio della guerra. Anche qui lo scenario è quello di una città che inizia a mostrare profondi segnali di distruzione. I russi circondano il centro urbano ma non avanzano. Sotto il profilo militare, la situazione non è così dissimile da Kharkiv.
C’è una peculiarità del fronte nord orientale rispetto a quello meridionale. Qui i russi hanno il pieno controllo non solo delle arterie ma anche di alcune importanti città e dell’intero territorio dove sono state ultimate le avanzate. A nord invece la situazione è più fluida. Le truppe di Mosca controllano le arterie principali attraversate dai loro mezzi, ma incontrano difficoltà nel gestire il territorio circostante. Soprattutto nelle retrovie affrontano ogni giorno imboscate e retate da parte ucraina. Kiev, grazie anche all’ausilio dei droni acquistati dalla Turchia, riesce a individuare intere colonne russe nelle retrovie e a distruggerle. Questo rende la spinta dell’avanzata di Mosca meno slanciata rispetto a quella osservata nel sud del Paese. Il controllo del territorio compreso tra il confine e le città di Kharkiv e Sumy non è pienamente nelle mani di Mosca. E questo nonostante una massiccia presenza di uomini e mezzi penetrati già dal 24 febbraio dalle frontiere settentrionali dell’Ucraina.
A est di Kharkiv, a partire dalla seconda decade di marzo, assume invece particolare importanza strategica la cittadina di Izium. Il suo territorio è conteso tra russi e ucraini. I primi attaccano in modo molto pesante, i secondi tentano di resistere a tutti i costi. Una caduta di Izium infatti determinerebbe il collasso delle difese di Kiev nella zona orientale del Paese. Dal punto di vista russo, prendere la cittadina vorrebbe dire pensare di dilagare in tutto il Donbass e ricongiungersi da nord e nord est con i territori delle repubbliche separatiste.
Izium alla fine cade a inizio a inizio aprile. Questo dà modo ai soldati russi di dilagare nelle settimane successive fino alle sponde del fiume Siversky Donetsk, crocevia importante per le truppe del Cremlino per avanzare oltre e puntare su Slovjansk e Kramatorsk.
Da Sumy invece i russi vanno via il 30 marzo, in concomitanza con il ritiro dalle aree attorno Kiev. A Kharkiv invece gli ucraini riescono a realizzare, nelle settimane a cavallo tra maggio e giugno, l’unica controffensiva importante. In particolare, i soldati ucraini avanzano contro le postazioni russe installate alla periferia della città e tornano in possesso dell’intera area attorno Kharkiv. Oggi l’intero centro urbano è in mano all’Ucraina, anche se il suo territorio non è rimasto immune da attacchi missilistici condotti da oltre confine.
Dopo due settimane di guerra appare delineata la fisionomia dell’attacco russo all’Ucraina. Mosca vuole premere nella parte orientale del Paese avanzando da sud e circondando le principali città del nord, il tutto in coordinamento con le avanzate separatiste nel Donbass. Ma un altro importante fronte riguarda, tornando nel sud dell’Ucraina, le coste del Mar Nero.
Una svolta si ha in tal senso il 2 marzo, quando i russi conquistano Kherson. Città da 300.00 abitanti affacciata lungo la sponda ovest del Dnepr, di fatto è il primo grosso centro conquistato in Ucraina. Kherson risulta strategica in quanto vera e propria porta di accesso alle regioni ucraine affacciate sul Mar Nero. Da qui Odessa dista appena 200 km. In mezzo c’è la città di Mykolaiv, raggiunta dai russi nella prima settimana di marzo. Tuttavia la difesa ucraina riesce in questo settore ad evitare la capitolazione e nelle settimane successive le truppe di Mosca sono costrette a compiere alcuni passi indietro.
Nell’estate del 2022 la situazione attorno Mykolaiv appare in stallo: la linea del conflitto è più lontana rispetto al centro, i russi non riescono ad avanzare ma nemmeno gli ucraini hanno le forze per contrattaccare e puntare sulla riconquista di Kherson. Qui intanto le nuove forze politiche nominate da Mosca parlano di un possibile referendum per annettere la regione alla federazione, mentre linee telefoniche e linee internet appaiono connesse con le infrastrutture russe.
A Odessa intanto durante le prime settimane di guerra viene fortificata la spiaggia. Il bombardamento e la distruzione del porto, unito all’avvistamento di navi russe non lontano dalla rada, fanno sospettare un’azione di sbarco con mezzi anfibi da parte dell’esercito di Mosca. Al momento qui la situazione è tranquilla, ma Odessa viene indicata come uno degli obiettivi strategici della guerra. La sua conquista permetterebbe ai russi il controllo pressoché totale della costa ucraina.
L'aviazione delle forze aerospaziali russe colpisce obiettivi delle forze armate ucraine sulla costa vicino al villaggio di Zatoka, nella regione di Odessa.#Russia #Ukraine #RussiaUkraineWar pic.twitter.com/P5i1Nz9nFV
— Paolo Mauri (@PaoloMauri78) March 3, 2022
A proposito del fronte del Mar Nero, è importante sottolineare l’episodio dell’affondamento dell’incrociatore Moskva avvenuto il 18 aprile 2022. Si tratta della nave ammiraglia della flotta russa ancorata a largo di Odessa. Il mezzo sarebbe stato colpito da missili ucraini, con il sospetto di un aiuto di intelligence arrivato dagli Usa o dal Regno Unito. L’affondamento determina un grave danno di immagine per i russi, uno smacco importante per la marina e la perdita di una nave capace di coprire un eventuale sbarco anfibio su Odessa.
Importante anche riportare un’altra situazione, quella che ha come scenario l’Isola dei Serpenti. Quest’ultima altro non è che uno scoglio difronte le coste della provincia di Odessa, conquistato nelle prime ore di guerra il 24 febbraio dai russi. Il dialogo tra il comandante della Moskva e uno dei soldati ucraini appartenente alla guarnigione dell’isola diventa subito famoso. Il militare di Kiev infatti nega platealmente la possibilità di cedere le armi. I tredici soldati presenti vengono fatti prigionieri, anche se in un primo momento sono dati per morti o dispersi.
L’Isola dei Serpenti, fondamentale per avere il controllo delle acque antistanti l’oblast di Odessa, diventa più volte contesa tra russi e ucraini.
Anche la capitale entra subito nel mirino russo una volta iniziata la guerra. Kiev apprende dell’inizio delle ostilità non solo tramite le tv, ma anche udendo in lontananza le prime esplosioni dei raid organizzati nella notte del 24 febbraio e ascoltando le sirene di allarme aereo che avvisano la popolazione di mettersi nei rifugi.
Poche ore dopo l’inizio dell’offensiva russa, truppe di Mosca entrano dalla Bielorussia e avanzano verso la capitale ucraina. Nel pomeriggio del 24 febbraio il ministero della Difesa russo annuncia la conquista dell’area della centrale nucleare di Chernobyl, quella del disastro del 21 aprile 1986. Oltre a essere un luogo simbolico, la zona è strategica in quanto posta a non più di 140 km da Kiev. Si intuisce dunque come i russi vogliano il prima possibile arrivare alle porte della più grande città ucraina.
Lo stesso 24 febbraio truppe paracadutate russe occupano l’aeroporto di Gostomel, a 20 km a nord da Kiev. Una mossa che segna il primo vero assalto alla capitale. Da quel momento in poi la città vive con lo spettro di truppe di Mosca posizionate poco più a nord del centro storico. I bombardamenti nel frattempo si fanno più importanti e si crea il panico tra i cittadini. In migliaia vivono nei bunker o nei tunnel della metropolitana. Tuttavia la temuta offensiva finale non arriva.
I russi avanzano lentamente sempre da ovest e circondano parti della periferia di Kiev. Durante la prima decade di marzo le truppe di Mosca arrivano anche da est. Scendendo dalla regione di Chernihiv, le avanguardie russe riescono a raggiungere Bovary e altre cittadine della periferia orientale. Contemporaneamente, ad ovest, i russi prendono definitivamente Gostomel, Bucha e Irpin. Kiev è quindi quasi del tutto circondata. Il presidente ucraino Zelensky si trova però al suo interno. Il 7 marzo invia su Telegram un video direttamente dal suo ufficio di viale Bankova. Per lui rimanere a Kiev è parte di una guerra mediatica anch’essa importante quanto quella che si sta combattendo sul campo.
Il 30 marzo, dopo i colloqui tenuti a Istanbul tra una delegazione russa e una ucraina, da Mosca viene dato l’annuncio di un “ridispiegamento delle proprie forze” attorno a Kiev. Si tratta però, dopo almeno due settimane di stallo, di un vero e proprio ritiro dall’area della capitale. Quel giorno iniziano le manovre volte a far tornare verso la Bielorussia le truppe russe. Nel giro di pochi giorni l’esercito ucraino riprende in mano tutte le cittadine sia ad ovest che ad est di Kiev finite in mano russa.
Durante la prima settimana di aprile la battaglia per la capitale appare terminata, con Mosca che preferisce dirottare le proprie forze verso il Donbass.