Chi sono e cosa vogliono i volontari che combattono in Ucraina

A pochi giorni dall’inizio delle “operazioni militari speciali” annunciate da Vladimir Putin – che si sono concretizzate in un tentativo di occupazione militare su ampia scala della confinante Ucraina – il leader della nazione invasa Volodymyr Zelensky ha lanciato un appello a chiunque volesse arruolarsi per difendere la libertà di uno Stato sovrano posto sotto attacco da una delle maggiori potenze militari del mondo. A fianco delle forze armate regolai, e della guardia nazionale o per la difesa territoriale composte da volontari e patrioti, è stata offerta la possibilità a volontari provenienti da ogni nazione del mondo di aderire ad una nuova legione straniera ucraina. Una milizia che ci ha subito fatto tornare alla memorie le Brigate internazionali costituite durante dal Guerra Civile spagnola del 1936, che sono rimaste nell’epica grazie alle testimonianze di Ernest Hemingway e George Orwell.

A quel tempo si chiamavano semplicemente volontari, soldati di ventura o mercenari. In questi tempi moderni e confusi, sempre pregni di inglesismi, abbiamo imparato a chiamarli come foreign fighters o “contractors“. Sebbene gli uomini e le donne che hanno scelto e stanno scegliendo di partire per combattere in Ucraina siano molto differenti – per addestramento e motivazione – dagli operatori di gruppo paramilitare Wagner: mercenari a tutti gli effetti, che abbiamo visto impegnati nel conflitto siriano e nel teatro libico.

Secondo i diffusi dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, si tratterebbe di oltre 20mila volontari provenienti da 52 Paesi. Alcuni si sono offerti di combattere, altri solo di fornire il loro apporto nei distaccamenti sanitari inquadrati nella costellazione di unità che si mobilitano nei settori che interessano il fronte. Sono 61 in tutti i governi che hanno concesso ai propri cittadini di partire per quella che anche diversi pacifisti di professione sono finiti per considerare come una “guerra giusta” – se combattuta dalla parte di Kiev. L’Italia, tuttavia, non compare tra questi. Il nostro Paese concede le sue armi all’Ucraina e promette ulteriori investimenti nel settore della Difesa che rappresentino un ulteriore deterrente per chiunque volesse minacciare con la forza il “blocco occidentale”. Ma per quanto riguarda lo sforzo bellico vero e proprio, inibisce ogni volontario dall’idea di partire per combattere. Pena una reclusione nelle patrie galere di media o lunga durata. Rimaniamo dunque del partito “armiamoci e partite”.

Pur contando su una forza complessiva di oltre 250mila unità – tra effettivi delle forze armate regolari ucraine (Uaf) e delle formazioni paramilitari autonome di affiancamento – il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato a pochi giorni dall’inizio dell’invasione, l’istituzione della Legione Internazionale di volontari per allargare l’orizzonte del conflitto e renderlo in qualche modo un confronto transnazionale. Agevolando l’arruolamento di chiunque volesse combattere “per l’Ucraina” dal momento che nessuna nazione si è trovata nella difficile condizione di allearsi con Kiev per respingere l’aggressione della prima potenza nucleare (per numero di testate impagabili, ndr) al mondo.

“L’Ucraina difende la libertà di un popolo e del suo governo democraticamente eletto da un esercito invasore”, ha dichiarato in look militaresco Zelensky dal suo bunker, per infiammare gli animi e chiamare alle armi un manipoli di foreign fighters che da Stati Uniti, Regno Unito, India, Australia, Giappone, Finlandia, Brasile, Canada, Israele, Corea del Sud e diversi paesi baltici, si trovati al confine polacco per attraversare un ipotetico Rubicone e impugnare gli Ak-47 contro i giovani coscritte della nuova Armata Rossa. Secondo numerose voci ascoltate dalla stampa internazionale, la maggior parte dei volontari della Legione ha finanziato finanziato da sola i propri viaggi – e questo li differenzia dai mercenari. E come spesso è accaduto nel passato con i soldati di ventura, le ragioni che hanno motivato la scelta sono numerose e diverse tra loro: chi è partito partito in virtù di ideologie politiche; chi per prendere parte ad una autentica “crociata” per la salvaguardia della democrazia; chi perché teme l’espansionismo russo essendo nato in un ex-stato satellite sovietico; chi soltanto perché sa combattere e non aveva molto da perdere; chi – ed è una ragione molto presente – non sopportava l’idea di vedere le immagini di bambini sfollati, e pensando appartenessero ad epoche relegate al passato, voleva offrire la sua vita per alleviare la sofferenza di un Paese così vicino alla sua realtà quotidiana.

“Non ho mai capito come la gente si sia commossa così tanto dalla guerra civile spagnola, ma ora posso intuirlo”, ha dichiarato un volontario americano incrociato da una giornalista della New York Review in un ristorante di Leopoli. Appare chiaro dunque, come per alcuni l’evocazione delle nobili imprese del Lincoln Battalion statunitense, del battaglione Garibaldi italiano e dei battaglioni franco-belgi che componevano le Brigate Internazionali che nella guerra civile spagnola si mobilitarono per fronteggiare le falangi franchiste supportate da realtà come la Legione Condor tedesca – che bombardò Guernica -, abbiano trovato un senso nel presente.

“È una scelta che chiunque può fare, vale per gli ucraini che vivono in Danimarca e vogliono tornare a difendere il loro Paese, ma anche per altri che pensano di poter contribuire direttamente al conflitto”, ha dichiarato il primo ministro danese Mette Frederiksen.

La tenacia del popolo ucraino, unitosi in una disperata resistenza, ha mobilitato una schiera eterogenea di uomini e donne, che spazia dai veterani ai giovani idealisti e fanatici che hanno scelto di rispondere all’appello di Zelensky, e si sono ritrovati a discutere nelle chat room su quale fosse il modo migliore di impiegare un missile anti-aereo Stinger contro un elicottero blindato russo, anche se non avevano mai preso in mano un’arma automatica in vita loro. Con la mimetica indosso e l’equipaggiamento tecnico da escursione che si potrebbe reperire su Amazon o in un negozio per caccia e pesca, i volontari si sono dati appuntamento su internet per bere insieme una birra a Varsavia o Cracovia, prima di superare il confine e fare la loro parte. 

Del resto già la prima guerra del Donbass registrò nel 2014 il maggiore afflusso di combattenti stranieri nella sfera post-sovietica. Oltre 17mila foreign fighters provenienti da 55 Paesi presero posto nelle trincee per combattere tra i nazionalisti ucraini e i separatisti filo-russi.

Grazie ad un articolo pubblicato sul Time  – che trova spazio sul sito allestito dal governo di Kiev per fare domanda di arruolamento – possiamo apprendere come molti dei volontari provengano da Paesi un tempo soggetti all’occupazione sovietica. Ad esempio la Lituania.

Ciò che li motiva maggiormente, oltre alla lotta per la libertà e lo spirito di sacrificio in onore della democrazia, è il timore che se cadesse l’Ucraina, potrebbe essere lori i prossimi a finire nelle mire di Mosca. Anche se questa ipotesi – già remota di perse essendo la Lituania un membro della Nato – si rende più distante ogni giorno che passa, e vede le truppe inviate dal Cremlino attestarsi per necessità, non per decisione strategica, su una linea d’avanzamento più modesta di quanto si era inizialmente prospettato.

Accanto a questi timori di espansionismo russo troverebbero posto in trincea, secondo i think tank  che monitorano i gruppi estremisti “numerosi gruppi nazionalisti bianchi e neonazisti di estrema destra in Europa e Nord America hanno già espresso un’ondata di sostegno all’Ucraina, anche cercando di unirsi alle unità paramilitari nella battaglia contro la Russia.. con la motivazione primaria di acquisire addestramento al combattimento ed essere anche ideologicamente guidato”, ha riferito al New York Times Sara Katz, direttrice di Site-Intelligence citata da La Stampa. Mentre la studiosa Sara Meger, che ha condotto analisi sui foreign fighters che hanno preso parte nella guerra del Donbass ha concluso che: “per gli uomini di destra, difendere l’Ucraina da un’invasione russa era un passo necessario per difendere i valori occidentali”. Un’idea che sembrerebbe trovare quartiere in molti dei cosiddetti spazi virtuali dell’estrema destra europea – parliamo di  Finlandia, Ucraina e Francia -; ma che entrerebbe in contraddizione con l’idea diffusa che molte realtà dell’estrema destra siano state finanziata per anni dai servizi segreti di Putin che voleva impegnarle come arma di destabilizzazione nel cuore della Nato. Si può essere a favore di Mosca o contro Mosca: ma si può essere entrambe le cose o cambiare idea in un lasso di tempo cosi breve?

 

Non mancano nella lista dei legionari per Kiev i volontari italiani che hanno deciso di “armarsi” e partire. Questo nonostante il monito della Farnesina, che in una nota recentemente divulgata, ha ricordato come la partecipazione di “cittadini italiani al conflitto in Ucraina” possa essere considerata una condotta “penalmente rilevante ai sensi della normativa vigente”. Ciò rifacendosi agli articoli 244 e 288 del codice penale che chiamano in causa gli “atti ostili verso uno Stato estero che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra” e gli “arruolamenti o armamenti non autorizzati a servizio di uno Stato estero”; con la previsione di pene detentive che vanno dai 4 a 15 anni di reclusione fino all’ergastolo. Il monito della Farnesina si fonderebbe – a differenza della succitata Danimarca o del Regno Unito – su “l’assoluto sconsiglio a recarsi nel Paese” per qual si voglia motivo. Tanto più se si intende intraprendere la temeraria strada del foreing fighters. Eppure diversi italiani sono già partiti volontari.

Complici i siti messi online da Kiev come Fight for Ucraina , dove gli aspiranti volontari combattenti possono trovare i contatti utili e apprendere apprendere l’iter per l’arruolamento anche nel nostro Paese. “Se vuoi partecipare attivamente alla lotta per la libertà e la democrazia europea, se hai esperienza di combattimento o vuoi guadagnarla al fianco di coraggiosi ucraini, ora è il momento di agire!”, scrivono sul sito i promotori di Kiev sotto un planisfero che mette in risalto la sconfinata grandezza della Federazione Russa a confronto delle dimensioni dell’Ucraina invasa.

Oltre ad un passaporto valido, vengono richiesti documenti che attestino un’esperienza come membro delle forze armate o di sicurezza del proprio paese d’origine o di un paese terzo, o la prova che dimostri di aver preso parte a dei combattimenti in precedenza. Un richiesto anche un kit di combattimento che comprende “abbigliamento ed equipaggiamento tattico, elmetto e giubbotto antiproiettile”, ma possiamo anche supporre che queste dotazioni vengano concesse in loco a volontari abbastanza skillati, insieme alle armi che lo stesso Occidente sta fornendo per sovvenzionare Kiev nella sua strenua difesa. Sono già noti due casi: quello della pilota “mancata” in seguito alla controversa denuncia per un presunto caso di nonnismo (ampiamente documentato dalla trasmissione televisiva Le Iene);  e quello di un infermiere la cui identità è rimasta anonima, il quale ha però già dichiarato di aver imbracciato le armi, assumendosi eventuali rischi penali al suo ritorno. Questo in virtù delle vite che può salvare in prima linea.

Tra loro – come tra tutti quelli provenienti da altri stati – ci sono fanatici della “falce e martello” e adoratori della “svastica”, come racconta Fausto Biloslavo nel suo reportage dall’Ucraina.