Che cos’era il Patto di Varsavia, il rivale della Nato

Il 14 maggio 1955 ritrovandosi nella capitale polacca i leader di sette Paesi socialisti dell’Europa orientale formarono, sei anni dopo la nascita della Natoun’alleanza militare siglando quello che ufficialmente era il Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza ma che per tutti, nei trentasei anni successivi, sarebbe stato il Patto di Varsavia.

 

Nel corso della Guerra Fredda, dal 1955 al 1991 l’Unione Sovietica avrebbe compattato attorno al Patto di Varsavia la sua sfera d’influenza. E così come la nascita della Repubblica Democratica Tedesca fu, nel 1949, una reazione alla costituzione della Repubblica Federale Tedesca nella Germania occidentale occupata dagli Alleati nel 1945, anche la nascita del Patto di Varsavia avvenne in opposizione a una mossa del campo euroatlantico. Quando, infatti, a inizio 1955 la Germania Ovest si unì al Patto Atlantico l’Urss decise di rinunciare definitivamente al suo progetto di una Germania unita e neutrale, ritenuto non più percorribile.

Sia ben chiaro: le truppe sovietiche da un decennio, in quel tempo, presidiavano con forza i Paesi del blocco socialista occupati sul finire del secondo conflitto mondiale e ne limitavano i margini d’autonomia politica sulla scia dei desiderata prospettati da Mosca. Ma per tenere aperto uno spiraglio a una risoluzione delle controversie con l’Occidente mai l’Urss aveva voluto cavalcare la retorica di una cristallizzazione dello stato di cose venutosi a creare dopo la caduta del nazismo.

Nel 1952, un anno prima della morte, Josif Stalin aveva offerto con la celebre “Nota di Marzo” un margine di dialogo per la riunificazione tedesca. Secondo lo storico statunitense John Lewis Gaddis, i Paesi occidentali erano inclini ad esplorare l’offerta dell’Urss ma non avrebbero assecondato Mosca sulla neutralità. E quando il cancelliere tedesco Konrad Adenauer ottenne il via libera all’ingresso nella Nato proposto dalla sua Unione Cristiano-Democratica (Cdu) la leadership post-staliniana ruppe gli indugi.

Per farlo, potè a suo modo contare sul genuino supporto delle élite di Cecoslovacchia, Ungheria e Polonia che, indipendentemente dalla loro natura filosovietica, avevano ben impresso nella mente il ricordo degli effetti del militarismo tedesco. Il 14 maggio 1955 l’Unione Sovietica, l’Albania, la Bulgaria, l’Ungheria, la Germania Est, la Polonia, la Romania e la Cecoslovacchia firmarono a Varsavia il trattato, rivendicando la sua coerenza con lo Statuto delle Nazioni Unite e, soprattutto, con gli obiettivi della pace in Europa.

L’ingresso di Bonn nella Nato e la possibilità della nascità della Comunità Europea della Difesa complementare alla Nato fu indicata esplicitamente dai firmatari come causa scatenante per la nascita del Patto, come scritto esplicitamente nel preambolo:

“Tenendo conto della situazione creatasi in Europa in seguito alla ratifica degli accordi di Parigi, che prevedono la costituzione di un nuovo organismo militare sotto la forma di Unione dell’Europa Occidentale, che comportano la partecipazione della Germania occidentale rimilitarizzata e la sua integrazione nell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, ciò che aumenta i rischi di una nuova guerra e crea una minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati pacifici”.

Formalmente la Germania Est entrò nel Patto come firmatario ma da Paese sino ad allora disarmato. L’anno successivo i sovietici le concessero il riarmo e la costituzione della Nationale Volksarmee. L’Albania, invece, uscì nel 1961 dal Patto (formalmente nel 1968) dopo i dissidi tra la sua leadership filo-cinese e Mosca.

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Il Patto di Varsavia aveva formalmente durata ventennale. Fu rinnovato una volta sola, nel 1976, anno in cui iniziò una svolta che lo portò a ampliare la sua struttura dalla supervisione delle attività militari dell’Est Europa al coordinamento tra i servizi di intelligence dei Paesi membri. Il 1 luglio 1991, dieci mesi dopo la riunificazione tedesca e cinque mesi prima dello scioglimento dell’Urss, cessò di esistere per scelta dei membri contraenti.

Come si strutturava il Patto? Formalmente le sue mansioni erano conformi alla Carta dell’Onu e prevedevano un patto di difesa e sicurezza collettiva da attivare in caso di attacco alle nazioni che ne facevano parte, un coordinamento securitario da attivare per esercitazioni congiunte e operazioni in cooperazione, una continua consultazione politica. Il comando operativo rimase a Mosca nonostante un tentativo tra il 1972 e il 1973 di costruire un sistema di gestione delle operazioni a Leopoli, in Ucraina, molto vicino ai confini estremi occidentali dell’alleanza, abortito per il timore di un’escalation con l’Occidente.

Due erano le istituzioni chiave, ricalcate sulla segreteria e il comando militare della Nato: sul primo fronte, il Comitato di Controllo Politico doveva indire consultazioni periodiche tra le parti; sul secondo, il Comando Congiunto delle Forze Armate fungere da “stato maggiore” supremo in caso di operazioni trasversali.

Contrariamente alla Nato, che ha sempre visto il comando militare affidato a uno statunitense e quello politico garantito a un europeo, il Patto di Varsavia vide le due cariche apicali, quello di Comandante Supremo e quello di Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate Congiunte, saldamente in mano sovietica per tutti i trentasei anni della sua esistenza. Il primo comandate supremo fu Ivan Konev, veterano della campagna contro la Germania nazista.

 

Formalmente puramente difensivo, il Patto servì in realtà all’Urss per affermare una precisa linea d’azione: evitare la deviazione dal socialismo verso forme politiche simil-occidentali di formazioni politiche interne ai regimi costituiti da Mosca nei Paesi satelliti.

Nel 1956, quando Imre Nagy guidò la rivoluzione ungherese, furono formalmente le forze sovietiche in solitaria a reprimere le istanze dei “ragazzi di Buda”. Ma con l’ottobre di sangue ungherese si sancì il presupposto secondo cui il Patto poteva identificare nel deviazionismo dei suoi Paesi membri una forma di minaccia collettiva.

Era questa la dottrina della “sovranità limitata” che rappresentò l’estremizzazione del concetto di bipolarismo e indicava, di fatto, che l’Urss aveva potere di decisore di ultima istanza sulla rotta politica dei Paesi affiliati al Patto. Nel 1968, in Cecoslovacchia, si ebbe l’unica operazione militare multinazionale del Patto di Varsavia in applicazione sostanziale di tale principio, in reazione alle istanze libertarie della Primavera di Praga.

Di fatto, essendo il Patto di Varsavia un’alleanza fondata sulla concentrazione di forze terrestri, i piani per eventuali guerre verso l’Ovest furono più un’emanazione di quelli sovietici che una reale elaborazione originale come quelli della Nato, che prevedevano una serie di linee di difesa per tenere il fronte in attesa di eventuali rinforzi americani. E come scritto da Global Securitytutti i progetti di eventuali avanzate terrestri delle forze filo-sovietiche non avrebbero potuto prescindere dalle offensive nucleari di Mosca: “i leader militari sovietici si aspettavano ragionevolmente che gli Stati Uniti ei loro alleati avrebbero iniziato a utilizzare attivamente armi nucleari all’inizio del conflitto. Pertanto, nei piani di guerra studiati a Mosca si “prevedeva di combinare il libero uso delle armi nucleari con la formidabile potenza militare del Patto di Varsavia. Oltre alla distruzione delle principali città e paesi, i piani militari dell’Unione Sovietica prevedevano l’uso di armi nucleari tattiche contro gli obiettivi militari della Nato Pertanto, secondo uno scenario contenuto in un documento congiunto sovietico-ungherese, il Patto di Varsavia doveva scaricare 7,5 megatoni di armi nucleari su obiettivi occidentali nei primi giorni della guerra”.

In sostanza, il Patto di Varsavia fu uno strumento della politica sovietica per cristallizzare la centralità di Mosca nel contesto esteuropeo e per mostrare proiezione all’estero più che un’alleanza con obiettivi strategici di lungo termine. Per questo, quando a fine Anni Ottanta Mikhail Gorbaciov coniò la “dottrina Sinatra”, indicando che ogni nazione dell’Est poteva comportarsi alla sua maniera (My Way, celebre canzone di Sinatra, ispirò il leader della perestrojka) il Patto di Varsavia divenne sovrabbondante e non giocò alcun ruolo, dopo la caduta del Muro di Berlino, nel mantenere attivo il sistema socialista.

Nel 1990, con il Patto di Varsavia ancora in vigore, i governi di tre  Paesi appena usciti dal socialismo reale, Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria parteciparono alla guerra del Golfo al fianco della coalizione Usa con l’Operazione Desert Shield e Desert Storm, che formalmente vide dunque, di fatto, Paesi Nato e del moribondo Patto combattere fianco a fianco. E fu l’unica formale occasione di azione autonoma dei Paesi di un’alleanza che, nei fatti, non esisteva più. Il primo giorno di luglio del 1991 il Patto si sciolse senza clamore, con un tonfo silenzioso. E presto avrebbe seguito alla sua fine il collasso formale della superpotenza comunista, scioltasi nella giornata di Natale del 1991.

 

 

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