Guerra ibrida è una locuzione entrata a far parte del parlato quotidiano da anni e della quale va compreso pienamente il significato per una ragione estremamente semplice: è qui per restare. Perché la guerra ibrida è il presente e il futuro del modo di fare, concepire e pensare la guerra.
Carri armati, trincee, soldati e baionette sono il passato. Terrorismo, manipolazione psico-cognitiva, disinformazione, finanza speculativa e hacker sono il presente e il futuro. Abbattere un regime scomodo non è mai stato facile come oggi, età dell’interdipendenza permanente, e le guerre ibride non sono che il riflesso di questo mutamento dei tempi. Il futuro delle nazioni a portata di clic.
La guerra ibrida può cominciare in ogni istante, colpendo qualunque luogo e aggredendo qualsiasi settore. E la sua forza è precisamente questa: l’imprevedibilità. Imprevedibilità che la rende tremendamente invasiva, nonché difficile da neutralizzare, possibilitando a chi se ne serve di conseguire il massimo risultato con il minimo sforzo.
La storia recente è ricca di esempi utili a capire come funziona una guerra ibrida, da quali elementi è composta, ma disaminare i casi studio più rilevanti non è sufficiente: è imprescindibile che si scandagli la mente dei suoi teoreti. E il punto di partenza ideale, a quest’ultimo proposito, non può essere rappresentato che dallo studio del pensiero del generale russo Valerij Gerasimov.
Valery Vasilyevich Gerasimov è un generale pluridecorato originario di Kazan, la “terza capitale di Russia”, ed è il capo di stato maggiore delle forze armate della Federazione dal 2012. Gerasimov, classe 1955, ha dedicato la vita all’esercito: entrato da giovane nella Scuola militare Suvorov, presso la quale si è diplomato nel 1973, veste la divisa da quando era poco più che un adolescente.
Oggi è noto per essere un teoreta, per via di quella dottrina (inesistente) che porta il suo nome, ma Gerasimov è anzitutto un uomo d’azione, un uomo che la guerra, oltre a interpretarla, l’ha vissuta in prima linea. Il generale, invero, è stato il comandante della 58esima armata del Distretto militare del Caucaso settentrionale durante la seconda guerra cecena.
Il ruolo-chiave giocato in Cecenia, primo e ostico banco di prova della neonata presidenza Putin, avrebbe permesso a Gerasimov di scalare rapidamente i gradoni della piramide del potere. E perché il Cremlino ne abbia alimentato e facilitato l’ascesa è chiaro: oltre che capace, ad avere l’acume dello stratega, è stato un sostenitore del “revisionismo”, cioè dell’idea di riscrivere il sistema unipolare, sin dal giorno uno, sin dal celebre discorso di Vladimir Putin alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2007.
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Nel 2012, causa differenze di vedute e lotte intestine, l’allora titolare della Difesa, Anatoly Serdyukov, rassegna le dimissioni. E con Serdyukov, capofila di un’opposizione intrasistemica, cade l’intera dirigenza militare. I vincitori della battaglia saranno due fedelissimi di Putin: Sergej Shoigu e Gerasimov.
Nel 2014, all’indomani di Euromaidan, Gerasimov diviene un volto noto in Occidente. Accusato di aver elaborato la strategia che ha permesso al Cremlino di annettere la Crimea nottetempo e senza colpo ferire, nonché di aver acceso il separatismo nel Donbass, viene fatto oggetto di sanzioni da parte di Unione europea, Canada, Australia ed altri membri della Comunità occidentale.
Mosca, 23 febbraio 2013. Il Corriere militare industriale pubblica le riflessioni del generale Gerasimov sull’evoluzione dei conflitti nel 21esimo secolo, che in breve tempo raggiungono l’Occidente e vengono tradotte in lingua inglese. È l’inizio del mito della “dottrina Gerasimov”.
Le riflessioni del generale hanno un titolo, Il valore della scienza nella previsione, e vogliono offrire al pubblico specializzato un’interpretazione dei maggiori fenomeni belligeni che hanno riscritto la geografia del potere nella storia recente: le rivoluzioni colorate nello spazio post sovietico e le primavere arabe. Ma sono delle riflessioni, per l’appunto, e non una dottrina stricto sensu. Ritenerla una dottrina è più che riduttivo: è erroneo. E colui che per primo l’ha spacciata per tale nel mondo, il cremlinologo Mark Galeotti, da tempo ha fatto mea culpa.
Una cosa, comunque, è innegabile: le osservazioni di Gerasimov hanno plasmato in maniera profonda il modo di vedere il mondo del Cremlino, pertanto meritano di essere rivisitate, perscrutate e capite. Perché leggere Gerasimov equivale a comprendere Putin.
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Il generale aveva cominciato le proprie considerazioni partendo da una constatazione: anche “uno stato perfettamente fiorente può essere trasformato, nell’arco di mesi e persino di giorni, in un’arena di conflitto feroce, diventando vittima di interventi stranieri e affogando nel manto del caos, nella catastrofe umanitaria, nella guerra civile”. Le “primavere arabe”, proseguiva Gerasimov, “sono l’evento tipo della guerra nel 21esimo secolo e in termini di feriti e distruzione […] sono comparabili ad una guerra vera”.
Il successo delle primavere arabe, e delle rivoluzioni colorate prima di loro, aveva convinto Gerasimov che “le regole della guerra sono cambiate” e che “il ruolo degli strumenti non militari nel conseguimento di obiettivi strategici e politici […] in molti casi ha superato in efficacia la forza delle armi”. L’epoca delle guerre combattute in maniera convenzionale, continuava ancora il generale, è finita anche a causa della “diffusione di azioni asimmetriche che permettono di azzerare i vantaggi del nemico”.
Gerasimov, alla luce del cambiamento del modo di fare la guerra dell’Occidente, inteso come Stati Uniti, si chiedeva, dunque: “Come combattere in queste condizioni?”. Non un trattato teorico di natura offensiva, in estrema sintesi, quanto un punto di partenza per l’elaborazione di un manuale di “autodifesa attiva”.
Ripercorrendo la storia militare dell’Unione Sovietica, a cominciare dall’impiego della guerra irregolare durante la Grande guerra patriottica, Gerasimov spiegava che, per difendere lo spazio vitale della Federazione dalle guerre del nuovo secolo, il Cremlino avrebbe dovuto combattere il nemico con le sue stesse armi: asimmetria, “creazione di un sistema di difesa armata degli interessi statali al di fuori dei confini del proprio territorio”, (dis)informazione, impiego della forza limitato ma incisivo, psicologia.
La dottrina che non esiste ha alterato profondamente il modo di fare la guerra e di vedere il mondo della Federazione russa. Esattamente un anno dopo, febbraio 2014, il Cremlino avrebbe proceduto all’annessione della penisola crimeana al termine di una breve ma intensa stagione preparatoria. E due mesi più tardi, ad aprile, avrebbe avuto inizio la cosiddetta guerra del Donbass.
Gerasimov ha avuto il merito di aprire gli occhi ai decisori politici della patria, coscientizzandoli sui rischi provenienti dalle guerre ibride e incoraggiando la nascita di un dibattito sull’argomento all’interno delle forze armate. La risposta di Gerasimov ai problemi del presente e alle sfide del futuro è stata trovata nello studio dei modi operandi del nemico e, non meno importante, in un curioso ritorno al passato. Perché il generale, difatti, non ha inventato nulla di nuovo: ha rammemorato i colleghi del bagaglio esperienziale sovietico in materia di asimmetria e irregolarità nei teatri di guerra aperta, nonché in materia di disinformazione e costruzione di quinte colonne in luoghi da destabilizzare senza l’uso delle armi – le famigerate misure attive (активные мероприятия) –, invitandoli a valorizzarlo e ad aggiornarlo.
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Scrivere e parlare in termini chiari della dottrina che non esiste, perché dottrina non è, è indispensabile al fine della comprensione della contemporaneità. Perché così come esiste un prima e un dopo Putin, ugualmente esiste un prima e un dopo Gerasimov. E perché se è vero che questo generale incompreso non ha inventato niente di nuovo, lo è altrettanto che ha dato un impulso fondamentale al recupero e all’aggiornamento della forma mentis e del modus operandi dell’Unione Sovietica, permettendo al Cremlino di elevare la protezione dello spazio vitale russo e di lanciare controffensive sottili ma destabilizzanti all’interno dei campi nemici.
Perché scrivere della dottrina che non esiste sia essenziale, in definitiva, è dato dal fatto che dall’alimentazione della divisione nelle società multietniche occidentali all’alimentazione del malcontento per le restrizioni antipandemiche in lungo e in largo l’Unione europea attraverso i soldati psico-cibernetici dell’Internet Research Agency, passando per l’intervento dell’OTSC in Kazakistan e il crescente impiego del Gruppo Wagner, la strategia globale del Cremlino, oggi, parla la lingua di Gerasimov.