Wirecard Papers

Era considerata una delle società finanziarie più promettenti dell’Unione europea la Wirecard Ag, l’emittente di carte prepagate con la sede nella città di Asscheim, in Baviera, che nell’arco di meno di 20 anni era riuscita a gestire un portafoglio di gran lunga superiore a quello di molte banche europee. Considerata uno dei primi e riusciti “unicorni” della Germania, la società guidata dal 2010 dall’amministratore delegato Markus Braun aveva creato un impero operativo non soltanto nel vecchio continente ma anche in Asia (Cina compresa, dal 2019). Tuttavia, la situazione si è bruscamente invertita in questo 2020 e non a causa della pandemia di coronavirus come si potrebbe pensare. Bensì, a causa di un ammanco di 1,9 miliardi di euro dichiarati in conti fiduciari inesistenti nelle Filippine. Da quel momento in avanti, per Wirecard AG, la Dax di Francoforte, l’istituto di vigilanza finanziaria tedesco (la Bafin) e per lo stesso governo di Berlino è iniziato un inferno destinato a cambiare per sempre il volto della finanza della Germania. E con loro, forse, anche lo stesso modo in cui viene gestita l’operatività degli attori finanziari a livello comunitario.

 

“Il Consiglio di amministrazione della Wirecard AG, in base ai dati in possesso, ha valutato che che gli 1,9 miliardi di euro precedentemente dichiarati come saldi in conti fiduciari molto probabilmente non esisteranno”. Era il 22 giugno 2020 quando, con questa frase, il nuovo consiglio di amministrazione della società e il nuovo amministratore delegato nominato in sostituzione di Braun si sono arresi all’evidenza di uno scandalo troppo grande per essere coperto. D’altro canto, non c’erano le possibilità economiche e neppure il tempo per poter coprire un ammanco da oltre due miliardi di dollari, dopo la smentita da parte delle stesse banche filippine dell’esistenza dei conti fiduciari dichiarati presso i loro istituti. Ma com’è stato possibile che in dei bilanci per anni revisionati dalla stessa società di revisione – la Ernest&Young – di punto in bianco siano stati considerati così falsi da non poter essere approvati? E soprattutto, come hanno fatto per anni la stessa E&Y, la società di revisione incaricata dal Dax – la Kpmg – e soprattutto l’istituto di vigilanza tedesco della Bafin a non accorgersi che le cose non stessero andando nel verso giusto?

Erano passati infatti appena quattro giorni dal 18 giugno, quando il bilancio approvato dal consiglio di amministrazione guidato ancora da Braun e comprendendo un altro importante attore della vicenda, Jan Marsalek, era stato respinto dalla E&Y. Quattro giorni che, però, sono bastati ai due personaggi per dimettersi dai rispettivi incarichi e, nel caso di Marsalek, per far perdere le proprie tracce (disperso, secondo le fonti, tra le Filippine, la Cina, la Corea del Sud e la Bielorussia). E soprattutto, quattro giorni che hanno tenuto il mondo politico e finanziario tedesco col fiato sospeso, conscio che a seguito dello scandalo nulla sarebbe mai più stato come prima.

Era la notte tra il 22 e il 23 giugno quando l’ex amministratore delegato della società Markus Braun si era costituito alla procura di Monaco di Baviera, a seguito del mandato d’arresto per lo scandalo del colosso finanziario Wirecard AG. Interrogato per tutta la notte, è stato liberato nella giornata successiva, a seguito del pagamento di una cauzione di 5 milioni di euro.

Tuttavia, dal suo interrogatorio non sono emerse quelle certezze che la procura stava cercando ed era chiaro che l’uomo che si stavano trovando di fronte non poteva essere la mente dietro alla peggiore frode finanziaria che la Germania abbia mai affrontato. Il vero autore – identificato in quel momento nella persona di Jan Marsalek – era ancora in libertà ed aveva fatto perdere le sue tracce. E a differenza di Braun , non è stato sufficiente emettere un mandato d’arresto per farlo uscire allo scoperto.

Nonostante ciò, il suo interrogatorio e l’analisi degli ultimi andamenti del titolo azionario (che nell’arco di pochi giorni aveva perso oltre il 90% del proprio valore) erano bastati per capire come l’operatività di Wirecard, in realtà, fosse semplicemente una copertura per il vero business di Braun e Marsalek: la speculazione finanziaria. Una pratica fraudolenta, soprattutto perché attuata sulla loro stessa società e con l’unico obiettivo di pomparne gli utili per aumentare il suo valore di borsa, anche a costo di dichiarare attività di bilancio inesistenti, come nel caso dei conti fiduciari delle Filippine. E soprattutto, protrattasi per anni, in grado di innescare una bomba ad orologeria pronta ad esplodere da un momento all’altro: esattamente come accaduto lo scorso 18 giugno, a seguito della bocciatura del bilancio da parte di E&Y.

A sconvolgere l’intero panorama politico e finanziario sono state le grandissime omissioni dei controlli sulla Wirecard AG, imputabili esclusivamente all’istituzione che dovrebbe teoricamente garantire la qualità delle aziende attive sul territorio tedesco: la Bafin.
Nonostante le accuse siano state inizialmente respinte da parte dello stesso capo dell’istituto di vigilanza, è chiaro ed evidente come uno sguardo più attento ai bilanci societari avrebbe potuto evitare alla situazione di gonfiarsi sino al punto in cui è arrivata a cavallo tra il 2019 e il 2020.

Soprattutto, poiché nel corso degli anni erano state molteplici le segnalazioni di operazioni fraudolente e di supporto all’evasione fiscale messe in atto dalla società e soprattutto effettuate da più voci indipendenti tra di loro. Tra queste, un noto fondo d’investimenti americano che aveva avanzato perplessità riguardo agli utili della compagnia e in modo analogo anche una denuncia da parte degli economisti del Financial Times. Tutte segnalazioni che, però, sono cadute nel dimenticatoio: in parte per gli interessi – possibili – delle parti in causa e in parte per l’estrema fiducia che anche l’istituto di vigilanza tedesco riponeva in Braun, conosciuto da tutti con il nome di “Mr. Wirecard“.

Tuttavia, a seguito di queste gravi mancanze non è stato soltanto il governo federale a chiedere spiegazioni alla Bafin: la stessa Unione europea è scesa in prima linea per avere maggiori dettagli riguardo all’accaduto. Dopo aver seguito l’evoluzione dei fatti, infatti, Esma (European Securities and Markets Authority) per la prima volta nella sua storia è arrivata a mettere sotto inquisizione un organo di vigilanza nazionale, assestando un duro colpo d’immagine a Francoforte.

Come messo in luce dal proseguimento delle indagini, è diventato evidente come, in realtà, l’emissione e la gestione delle carte prepagate fosse in realtà soltanto una parte (e nemmeno la più redditizia) del business portato avanti dalla società finanziaria con sede ad Asscheim. Secondo quanto già evidenziato negli anni passati dalla stampa, infatti, gli interessi della società spaziavano dal mercato del porno, al supporto all’evasione fiscale per le agenzie clandestine del gioco d’azzardo alla “semplice” messa a punto di strumentazioni volte a favorire l’elusione fiscale. Una macchina da soldi, in sostanza, che per buona parte fondava però il proprio piano d’azione su operazioni al limite – se non al di fuori – della legalità.

Ma se questa prima parte rientrava all’interno dell’operatività dell’azienda, un altro aspetto è quello che ha invece reso guadagni da capogiro a Marsalek e Braun: la contrattazione delle azioni della Wirecard AG. Secondo infatti quanto messo in luce dal DerSpiegel, la coppia avrebbe per anni perpetrato la compravendita nel breve delle azioni dell’azienda tramite società di comodo per guadagnare dall’incremento del valore delle azioni. Spesso tramite lo stesso indebitamento degli attori (come nel caso del mutuo di Deutsche Bank, che non diventerà una sofferenza soltanto grazie alla sua cartolarizzazione già negli scorsi mesi, prima dello scoppio della bolla) e spesso tramite la vendita allo scoperto del titolo azionario. Ultimo dei quali, secondo gli inquirenti, proprio poco prima della dichiarazione circa l’ammanco di oltre 2 miliardi di dollari dai bilancio societari: una vendita allo scoperto parsa come una sorta di spettacolo pirotecnico finale, prima che il circo chiudesse i battenti.

Sempre secondo quanto riportato dal DerSpiegel, c’è un alta possibilità che la politica e la vigilanza finanziaria della Germania sapesse esattamente quello che stava succedendo all’interno dei palazzi di Asscheim. In modo particolare, a causa del filo rosso che legava Markus Braun all’ex-ministro dell’Economia e della Tecnologia della Germania Karl-Theodor zu Guttenberg e il segretario odierno del ministero della finanza Joerg Kukies. In modo particolare, la presenta di documentazione resa segreta sub incontri avvenuti tra Braun e Kukies all’interno del ministero avrebbero scandalizzato il parlamento tedesco, che ha richiesto chiarimenti e indagini sull’accaduto; generando un terremoto potenzialmente in grado di arrivare sino alla cancelliera Angela Merkel.

La cancelliera, infatti, nel 2019 si sarebbe recata in Cina assieme a importanti imprenditori tedeschi e con lo stesso Guttenbergs col fine di promuovere la collaborazione tra i due Paesi. Quest’ultimo, su mandato della Wirecard AG, avrebbe concluso delle trattative volte a fare entrare la finanziaria tedesca in operatività anche dentro al mercato della valuta digitale cinese: quasi esclusivamente di competenza di Pechino fino a quel momento.E in questa situazione, la sensazione che la stessa cancelliera Merkel fosse all’oscuro delle operatività del gruppo è alquanto improbabile, soprattutto se si considera l’importanza strategica di Wirecard all’interno del piano di espansione commerciale di Berlino in Cina. Scenario che, a ragion veduta, avrebbe potuto garantire lo sguardo rivolto da un’altra parte su delicate questioni che avrebbero potuto incriminare la società.

Come già sottolineato, il proseguire delle indagini ha sempre messo più in evidenza la figura di Jan Marsalek, azionista ed ex-Cfo di Wirecard AG, all’interno delle logiche criminali della società. In modo particolare, come riportato per la prima volta dalla testata giornalistica britannica Financial Times, egli avrebbe perpetrato per anni tentativi – spesso andati a buon fine – di manipolazione del mercato per convincere potenziali acquirenti ad investire sulla sua società. E per fare questo, egli avrebbe sempre cercato di mostrare la sua figura come quella di un uomo potente con agganci presso le più alte élite mondiali; in possesso – come riscontrato – della documentazione sul velenosissimo novichok e di file importanti appartenenti al ministero degli interni austriaco.

In questo modo, egli per anni avrebbe ostentato una solidità della propria società basata anche sull’appoggio del ceto politico asiatico ed europeo, fornendo così garanzie – mendaci – aggiuntive riguardo alla stabilità del titolo azionario. Tuttavia, anche in questo caso si è trattato principalmente di frodi finanziarie nei confronti di fondi d’investimento e di privati, messi in atto da una mente che appare sempre di più il vero cartaio dietro alle mosse della società di Asscheim.

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