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Che cos’è la mutualizzazione del debito

Nelle ultime settimane la crisi del coronavirus ha riportato in auge la necessità di politiche economiche più incisive da parte degli Stati in risposta a una recessione che si annuncia epocale. Anche il Financial Times ha ufficialmente supportato il ricorso alla stampa massiccia di moneta come rimedio più efficace alla crisi. E, sia chiaro, non si parla della stampa metaforica del quantitative easing, che dilatava i bilanci delle banche centrali per irrorare di liquidità il sistema finanziario, ma di una ripresa massiccia delle pratiche di creazione di debito pubblico finanziato dalle banche centrali.

L’Europa, in questo contesto, è a metà del guado. Non dispone di una banca centrale capace di fare da prestatore di ultima istanza né i singoli Paesi hanno capacità di creare ex novo debito coperto dalle attività dei loro istituti. Per questo ha ripreso piede l’idea di creare strumenti di debito comuni all’Unione Europea come possibile compromesso tra queste due mancanze. Ovvero una forma di mutualizzazione del debito in grado di scavalcare questa asimmetria tutta europea di fronte a una crisi che impatta senza fare distinzioni di sorta nel Vecchio Continente.

 

 

Gli “eurobond” (o “coronabond” secondo la definizione nata nel contesto dell’attuale crisi) sono la forma più nota di strumento di mutualizzazione oggi giorno in discussione nel contesto del sistema euro. Essi non rappresentano una novità assoluta: già nel pieno della crisi sistemica dei debiti sovrani, negli anni 2010-2011, il presidente dell’Eurogruppo e capo del governo del Lussemburgo, Jean-Claude Juncker, e il ministro dell’Economia del governo italiano di Silvio Berlusconi, Giulio Tremonti, proposero i cosiddetti “Eurobond” come assicurazione contro il comune dissesto in atto nell’Eurozona.

L’indebolimento della condizione economica europea, il dissesto dei debiti sovrani di Paesi come Grecia, Irlanda, Spagna e Portogallo, la sofferenza italiana, l’accelerazione della speculazione contro i bond statali dei Paesi dell’Europa mediterranea, gli effetti tragici dell’austerità e il goffo contributo del governatore della Bce Jean-Claud Trichet avevano disegnato un quadro nefasto: i differenziali di rendimento tra i debiti pubblici e l’imposizione delle manovre di aggiustamento strutturale rendevano credibile il collasso dell’Eurozona e, in assenza di forme di intervento strutturate da parte dell’Eurotower, Tremonti e Juncker portarono avanti una proposta per istituire una forma mutualizzata di debito pubblico europeo a rendimento comune volto a finanziare un fondo anti-crisi.

Nel 2013 l’Europarlamento promosse una mozione non vincolante su proposta della liberale francese Sylvie Goulard per aprire ad analoghe forme di mutualizzazione del debito, perorando inoltre l’istituzione di un fondo europeo di rimborso del debito.

Perchè di tali proposte non si è mai fatto nulla? In primo luogo per l’opposizione dei Paesi del Nord Europa, guidati dalla Germania e dall’Olanda, che ritenevano ogni forma di condivisione del debito un azzardo morale di cui si sarebbero avvantaggiati i Paesi del Sud Europa, capaci di guadagnare dal minor differenziale di rendimento (spread) con i titoli benchmark (come il Bund tedesco) rispetto alle loro emissioni nazionali.

In secondo luogo per il lungo effetto placebo garantito dal quantitative easing della Bce di Mario Draghi. L’ex governatore di Bankitalia, una volta asceso all’Eurotower, ha guidato il piano di acquisto titoli per evitare il collasso dell’euro e, senza inventare nulla rispetto a esperienze praticate in altre parti di mondo, ha trovato nell’ampliamento della base monetaria la strategia più efficace per ridurre i differenziali di rendimento interni all’Eurozona.

In terzo luogo, perchè ancora non era emersa come vera minaccia sistemica la bomba del debito privato che, anche e soprattutto grazie alla crescita vertiginosa della liquidità garantita dal “Qe globale“, si è prodotta nelle borse di tutto il mondo.

Di fronte all’incedere della crisi da coronavirus, la messa in campo di strumenti di mutualizzazione del debito viene proposta in Europa come risposta a una crisi comune, non asimmetrica, ma generale. Mentre, nel resto del mondo, i Paesi irreggimentano le banche centrali come prestatori di ultima istanza e operano la monetizzazione del deficit (con il caso estremo della Fed nei confronti del maxi programma roosveltiano di Donald Trump) l’Unione Europea si trova scoperta da questo punto di vista. Essendo difficile la svolta della Bce al ruolo di prestatore di ultima istanza che la renderebbe una vera e propria banca centrale come le altre, in tempi brevi governi come quelli di Italia, Francia e Spagna hanno rispolverato l’idea degli Eurobond come mezzo di finanziamento comune e non stigmatizzante come le clausole di ricorso al fondo salva-Stati.

Oggi come allora, parliamo di una risposta che trova i maggiori scogli nell’Europa del Nord. La Germania, che dimentica il grande “Giubileo” del suo debito avvenuto nel 1953, e l’Olanda, che dall’Europa ha guadagnato grazie al dumping fiscale, usano la forza della loro influenza per bloccare una svolta in questo senso. Soluzione subottimale, certo, ma legata alla debolezza dell’architettura europea. Nata con intenti comunitari ma sempre pronta ad avere al suo interno centri di rifuto di reali forma di solidarietà. Molto spesso coincidenti coi Paesi che dell’Europa si dichiarano più degli altri paladini.

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