Che cos’è Kkr, il “gigante nascosto” della finanza Usa

Salito alla ribalta nel dibattito pubblico italiano dopo l’apertura del dossier Tim e l’ufficializzazione dell’offerta per la telco italiana avvenuta il 21 novembre scorso, Kkr è un fondo strategico e di elevata importanza per la finanza Usa. Lontano sia dallo sfarzo delle grandi banche d’affari sia dalla dinamica imprevedibilità dei fondi speculativi, Kkr con la sua armata discreta di professionisti ha negli anni costruito un vero e proprio impero nel quadro di diversi settori.

Nel 1976 Jerome Kohlberg Jr., assieme ai cugini Henry Kravis e George R. Roberts, guidò una scissione del colosso finanziario Bear Stearns, tra le prime società finanziarie a operare nel campo del private equity.

Erano quelli gli anni in cui, dopo la rottura del patto di Bretton Woods ad opera di Richard Nixon operata cinque anni prima, la finanza riprendeva piede con forza grazie alla crescente disponibilità del sistema ad indebitarsi vista la rottura di qualsiasi legame con sottostanti materiali come l’oro. La fame di crescita delle imprese fu alimentata con i fondi delle grandi banche d’affari, che aprirono all’inversione del consenso creato dopo la Grande Depressione sulla separazione da quelle commerciali, e si unì alla nascita di istituzioni finanziarie come il fondo formato da Kohlberg, Kravis e Roberts, che dalle tre iniziali dei suoi ideatori prese il nome di Kkr, che conserva tuttora.

Kohlberg, il più anziano della cordata, guidò in pochi mesi la raccolta di 30 milioni di dollari tra vari investitori per avviare le operazioni del gruppo. Questo si specializzò fin dall’inizio nella pratica del leveraged buyout. Tale prassi consiste nella procedura di acquisto di una partecipazione (totalitaria o di controllo) di una società, di un’azienda, di un ramo d’azienda o di un gruppo di attività bersaglio (tecnicamente il target) che si struttura per mezzo del ricorso al debito. L’indebitamento da parte dell’operatore ha il fine di finanziare la maggior parte del valore di acquisto del target, con l’aspettativa di ottenere attraverso i futuri guadagni o la valorizzazione dell’asset acquisito il ripagamento del debito.

A differenza dell’attività puramente speculativa, che può puntare anche sull’affossamento di una data compagnia bersaglio per ottenere guadagni dalle connesse speculazioni finanziarie, o del venture capital, che mira alla rapidissima valorizzazione di un asset connesso a start-up o imprese in rapida crescita, il leveraged buyout padroneggiato da Kkr coniuga, in un certo senso, la proiezione finanziaria alla presenza di un dato sottostante reale: il target “ideale” è un’azienda operante in settori consolidati, può vantare una definita posizione di leadership o un rapido accesso a quote di mercato elevato, manifesta flussi di cassa stabili legati a attività ben precise e solide.

In questa manovra Kkr si è dimostrata estremamente abile e nel corso dei suoi quarantacinque anni di storia ha compiuto investimenti in oltre 160 società target a partire dal 1977. Nel 1982 in sostegno ai suoi investimenti è giunto l’apporto dei primi fondi pensione pubblici, controllati dagli Stati Usa di Oregon, Washington e Michigan, al suo capitale, segno della consapevolezza dei mercati sulla solidità dei ritorni, mentre nel 1984 il capitale ha superato per la prima volta il miliardo di dollari. Dal 1998 l’attività si è espansa stabilmente all’Europa e nel 2010 è giunto lo sbarco in borsa.

Ad oggi, nota Tag43, Kkr “ha un portafoglio di 109 società, che generano quasi 250 miliardi di dollari di ricavi annui” e hanno un valore finanziario di 429 miliardi di dollari, concentrate principalmente in settori come real estate, infrastrutture, energia e telecomunicazioni.

Kkr, come ricordato, “non è un fondo considerato speculativo: l’obiettivo dichiarato della società è generare ritorni sugli investimenti grazie a un approccio prudente e disciplinato, supportando la crescita delle società”. Nella sua storia sono state numerose le operazioni di peso portate a termine con successo, ma ovviamente non sono mancati anche gli stop.

Come ricordato dal Corriere della Sera Kkr possiede un portafogli complesso che va dai cosmetici Wella all’operatore telefonico spagnolo MasMovil fino all’editore tedesco Axel Springer, di cui Kkr è il maggiore azionista. In portafoglio ha inoltre società di software, provider di Reti in fibra, aziende di It, a sottolineare il focus per il settore digitale e delle tlc”. Con notevole anticipo i leveraged buyout di Kkr l’hanno portata in passato a giocare d’anticipo in settori come i semiconduttori, con l’acquisizione del ramo chip di Phillips NXP Semiconductors completata nel 2006 per 6,4 miliardi di dollari, la sanità, con l’intervento sul produttore di dispositivi medici Blomet nel 2007, e le energie rinnovabili: in quest’ottica, l’affare da 44,37 miliardi di dollari che ha portato Kkr a rilevare in cordata TXU, oggi Energy Futures, ha rappresentato a lungo un record nel settore.

Non sono però mancati gli incidenti di percorso: ai tempi della bolla del digitale di inizio millennio, Kkr fu coinvolto dal flop del portale About.com; nel 2017, la controllata Toys R ha dichiarato bancarotta e anche l’espansione in Africa e Asia non ha dato finora gli effetti sperati.

Rare ma sempre ben ponderate le incursioni nel venture capital, che hanno contribuito a favorire la valorizzazione di asset oggigiorno pregiati come ByteDance e Epic Games, tra 2018 e 2019 salite rispettivamente a 75 e 15 miliardi di dollari.

Dalla crisi del Covid in avanti, Kkr è stata la più attiva azienda nel ramo del private equity e della finanza non speculativa. E tra 2020 e 2021 ha avvicinato notevolmente l’Italia, operando da Londra, puntando con forza al player nazionale delle Tlc, Tim. Con cui i destini del gruppo si erano a lungo associati: nel 2015, affiancata da Hines Italia Value Added Fund e Coima, Kkr ha concluso l’acquisizione di cinque asset di telecomunicazioni concessi in leasing a Telecom Italia. La società ha rilevato gli attivi in oggetto da “Tecla Fondo Uffici”, un fondo chiuso gestito da Prelios SPR, per 49 milioni di euro. Nel 2020 è andato in scena l’investimento da 1,8 miliardi di euro operato nel 2020 per entrare nel capitale di FiberCop, prima dello showdown definitivo per l’Opa “amichevole” di novembre.

Kkr, proiezione della finanza Usa, entra in campo per una Tlc in un Paese chiave per la sfida tecnologica tra Washington e la Cina. E non è un caso: profondi e ben strutturati sono i legami del gruppo con gli apparati della sicurezza nazionale.

Henry Kravis, classe 1944, cofondatore e fino a pochi mesi fa co-Ceo del gruppo assieme a Roberts, ha avuto un filo diretto con Donald Trump prima e durante l’era della sua presidenza, entrando anche nella rosa di papabili candidati alla carica di Segretario del Tesoro nell’amministrazione conclusasi a gennaio 2021. Ma soprattutto, legato a doppio filo con Kkr è il generale a quattro stelle dei Marines ed ex direttore della Cia David Petraeus, presidente del think tank di consulenza Kkr Global Institute, l’istituto che fornisce analisi di rischio e geopolitiche agli investitori del fondo, oltre che partner della società.

Petraeus è uomo che rappresenta l’ala più strutturata e profonda del potere Usa. Secondo il giornalista d’inchiesta Thierry Meyssan Petraeus avrebbe utilizzato il Kkr Global Institute come copertura per proseguire dopo la fine della presidenza di Barack Obama l’operazione Timber Sycamore per fornire armi ai ribelli impegnati nella guerra civile siriana contro Bashar al-Assad, notizia che non ha trovato conferma da fonti più istituzionali.

Indubbiamente, la nomina di figure tanto apicali a posizioni di responsabilità aziendale è di valenza segnaletica per le imprese in questione: Kkr maneggia, direttamente o meno, gangli strategici per l’odierna economia globale e settori ad alto tasso di innovazione e sviluppo. Rientrando dunque nel quadrante dell’interesse nazionale statunitense. Come espressione più pura del capitalismo a stelle e strisce del XXI secolo.