Che cos’è il Meccanismo europeo di stabilità

Il Meccanismo europeo di stabilità, abbreviato in Mes o anche detto Fondo salva-Stati, è un ente intergovernativo dell’Unione Europea nato nel 2012. Il suo scopo è quello di fornire assistenza economica agli Stati dell’Eurozona in difficoltà finanziaria per salvaguardare la tenuta degli altri Paesi membri.

Il Mes può contare su una “potenza di fuoco” dal valore di 700 miliardi di euro: 620 di questi possono essere ottenuti attraverso l’emissione di bond, e provengono quindi dai mercati finanziari, mentre i rimanenti 80 fanno parte di una “colletta” effettuata dai 19 Stati dell’area Euro. Ogni governo contribuisce a formare il tesoretto in base al suo peso economico; la quota più grande è nelle mani della Germania (27,1%), seguita da Francia (20,3%) e Italia (17,9%). Il Meccanismo europeo di stabilità concede il suo aiuto economico ai Paesi dell’area Euro a rischio default. Il prestito della somma richiesta è concesso dopo la presentazione di una lettera d’intenti o un protocollo d’intesa negoziato dallo stesso Paese richiedente e dalla Commissione Ue. Le aree di intervento del Mes sono tre: il consolidamento fiscale (da attuare mediante tagli alla spesa pubblica, l’attuazione di riforme fiscali e privatizzazioni) le riforme strutturali, (come ad esempio la creazione di posti di lavoro) e le riforme del settore finanziario (tra cui una migliore vigilanza bancaria o la ricapitalizzazione delle banche). Gli strumenti utilizzati, oltre ai prestiti, sono l’acquisto di titoli di Stato sul mercato, la ricapitalizzazione indiretta delle banche, quella diretta oppure l’istituzione di linee di credito precauzionali. Ci sono due procedure per avere il prestito richiesto: la prima linea di credito è per chi ha un rapporto debito/Pil al di sotto del 60%, mentre la seconda è per coloro che hanno il medesimo rapporto al di sopra del 60%. La gestione del Fondo salva-Stati è nelle mani del direttore generale, il tedesco Klaus Regling che gestisce gli affari correnti, della Board of Directors (scelti dai ministri dell’Economia) e dalla Board of Governors (ovvero i ministri dell’Economia dell’area Euro).

A partire dal 2017 si è iniziato a discutere in sede europea di una possibile revisione del trattato istitutivo del Mes. Il tema della riforma è salito alla ribalta proprio in queste ultime settimane. L’intenzione di Bruxelles è quella rafforzare progressivamente l’unione e monetaria dell’Unione Europea (Uem), e la riforma del Fondo salva-Stati è solo il primo step da conseguire in attesa della creazione di uno strumento di bilancio per la competitività e la convergenza nell’Eurozona (Bicc) e di un approfondimento dell’Unione bancaria con la garanzia dei depositi. In ogni caso, la revisione del Mes è stata trattata in vari tavoli europei, ai quali hanno partecipato i governi dei Paesi coinvolti. La trattativa è dunque stata lunga, e quanto accaduto negli ultimi mesi non è altro che la punta dell’iceberg. Nelle intenzioni dell’Ue la tanto discussa riforma serve per consentire al Mes, a partire dal 2024, di elargire prestiti a un Fondo unico di risoluzione formato dalle banche europee per finanziare gli istituti che falliscono. In altre parole, qualora i miliardi del citato Fondo di risoluzione non dovessero bastare per evitare il peggio, il Mes potrà fornire altre risorse per la causa al posto degli Stati nei quali si trovano le banche fallite. Questo aspetto ha scatenato numerose polemiche per il vantaggio che il Meccanismo europeo di stabilità assegnerebbe a certi istituti bancari (quelli tedeschi e francesi) a discapito di altri (quelli italiani).

Lo scorso 19 giugno il premier Giuseppe Conte spiegò alla Camera la bozza di accordo sul Mes in agenda al vertice Ue che si sarebbe tenuto il giorno successivo. L’allora maggioranza formata da Lega e Movimento 5 Stelle minacciò di far saltare tutto ma alla fine approvò una risoluzione che vincolava il governo a rifiutare accordi sul Mes “che finiscano per costringere alcuni Paesi verso percorsi di ristrutturazione predefiniti ed automatici”. Il 21 giugno Conte affrontò ancora una volta il tema perché – ha raccontato in un secondo momento il premier – “un generale consenso sulla bozza di revisione dell’accordo Mes era stato raggiunto il 13 giugno dai Ministri dell’Economia dell’area euro”. Il problema è che nessuna notizia del superamento delle perplessità in precedenza mostrate dal governo è mai giunta al Parlamento entro quella data, così come nelle aule parlamentari non fu mai presentata alcuna bozza di riforma. Per questo motivo Conte è stato accusato di aver avallato la riforma del Mes senza prima aver avvisato il Parlamento italiano.

Le principali modifiche riguardano le procedure per la ristrutturazione del debito e il cosiddetto Backstop, ovvero l’uso del fondo per le risoluzioni bancarie. Tutti i riflettori sono puntati sulla cruciale trasformazione delle cosiddette clausole di attivazione collettiva (Cac). Queste particolari clausole, in caso di un’ipotetica crisi del debito pubblico di uno Stato, servono per procedere a una sua ristrutturazione in maniera più ordinata. Fino a questo momento, per cambiare i termini di un titolo, era necessaria sia l’approvazione della maggioranza dei detentori del titolo stesso “in totale”, sia all’interno di ogni sottocategoria dei titoli stessi. Con la riforma del Mes, i titoli del debito pubblico dei Paesi dell’Eurozona, a partire adl 2022, non dovranno più avere una clausola di azione collettiva a maggioranza doppia ma a maggioranza singola. Le Cac passano quindi da dual limb a single limb.

Il rischio più grande è collegato proprio alla trasformazione delle Cac. Le vecchie clausole richiedevano un accordo tra uno Stato alle prese con la ristrutturazione del proprio debito e la maggioranza degli investitori. Era necessaria una doppia maggioranza: sia a livello di debito complessivo che in ogni singola emissione. L’attuale riforma del Mes apre le porte soltanto alla maggioranza a livello complessivo, ovvero la single limb. Tutto ciò crea una condizione assai rischiosa per i privati in quanto, nel caso in cui uno Stato in panne fosse spinto dal Mes a ristrutturare il proprio debito in cambio di aiuti economici, quest’ultimo potrebbe farlo con molta più facilità rispetto a prima. E ristrutturare il debito pubblico (eventualità non automatica), ricordiamolo, significa ridurre il capitale da rimborsare o gli interessi, oppure posticipare i pagamenti dovuti rispetto alle scadenze. Come se non bastasse, il Mes affianca formalmente la Commissione Ue nel valutare se un governo che chiede un salvataggio sia o meno in grado di rimborsarlo. In caso di fumata nera, lo Stato in crisi sarebbe costretto a ridurre i debiti preesistenti (ad esempio imponendo perdite ai suoi creditori) prima di accedere al salvataggio del Fondo salva-Stati.

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