Si chiama Fondo russo per gli investimenti diretti (RDIF, Russian Direct Investment Fund) ed è il fondo sovrano della Federazione russa. Istituito esattamente dieci anni or sono, ovverosia nel 2011, con lo scorrere del tempo il Fondo è divenuto uno dei principali instrumenta regni a disposizione del Cremlino.
Noto al volgo per aver sostenuto finanziariamente l’Istituto Gamaleya di Mosca nelle fasi di ricerca e sviluppo dello Sputnik V, il Fondo ha all’attivo investimenti e partenariati strategici sia a livello nazionale sia a livello internazionale e sta giocando un ruolo determinante nel supportare l’agenda economica e politica del Cremlino.
Il Fondo russo per gli investimenti diretti, anche noto con l’acronimo RDIF, è il fondo sovrano della Federazione russa, ovverosia è lo strumento di investimento pubblico appartenente e rispondente al governo russo. Istituito nel 2011, il RDIF è guidato sin dalla fondazione da Kirill Dmitriev, un rinomato e capace investitore e banchiere di origine ucraina formatosi tra Stanford e Harvard.
Mandato precipuo (ma non esclusivo) del RDIF è la conduzione di investimenti strategici in strumenti finanziari, imprese promettenti e settori ad alta crescita, nonché in progetti di industrializzazione per sostituzione delle importazioni e, in generale, di rilevanza pivotale per l’economia nazionale. In sintesi, scopo nodale del RDIF è la vitalizzazione dell’economia russa a mezzo dell’iniezione di capitale ovunque si intravedano opportunità di profitto.
Oltre a dirottare strategicamente denaro, sia in patria sia all’estero, il RDIF persegue altri obiettivi, tra i quali risaltano l’attrazione di investimenti stranieri nel mercato russo, lo stabilimento di partenariati strategici con fondi sovrani di altri governi e grandi corporazioni e il procacciamento di clienti per i prodotti da esso finanziati.
I numeri suggeriscono che il RDIF stia soddisfando ampiamente ed egregiamente le aspettative che ne hanno accompagnato la fondazione: disponibilità di un capitale riservato di dieci miliardi di dollari, investimenti nell’economia nazionale (in solitaria o in partenariato) superiori a due trilioni di rubli e attrazione di investimenti stranieri per quaranta miliardi di dollari.
La presenza del RDIF all’interno dell’economia russa è divenuta tanto capillare che si potrebbe affermare che una sua eventuale uscita di scena avrebbe ricadute drammatiche sulla tenuta e sulla stabilità del Paese. Avendo all’attivo più di ottanta progetti in quasi ogni oblast della Federazione russa – il 95% del territorio –, per un totale di oltre due trilioni di rubli investiti, il RDIF dà indirettamente lavoro a 800mila persone e contribuisce al 6% del prodotto interno lordo.
Nell’ultimo decennio, inoltre, il RDIF ha stabilito partenariati strategici temporanei e/o condotto attività di co-investimento con una grande varietà di società di investimento (come la BlackRock), banche (tra cui Deutsche Bank e Goldman Sachs) e fondi sovrani stranieri (in primis delle petromonarchie del Golfo e in secundis delle economie asiatiche più dinamiche).
Lo scorso marzo il RDIF ha partecipato in maniera indiscreta ad un’asta per la vendita di obbligazioni organizzata da Telegram, il cui fondatore, Pavel Durov, è noto per essere stato un acerrimo rivale del Cremlino. Il RDIF ha acquistato obbligazioni per due milioni di dollari sul mercato secondario e operato in partenariato con l’emiratina Mubadala Investment Company, la quale, invece, ha comperato settantacinque milioni di dollari di obbligazioni.
Attività caratterizzante del RDIF è la formazione di fondi di co-investimento aventi come obiettivo il dirottamento di capitale (primariamente) in Russia. Tali entità sono state costituite, ad esempio, con Cina (il Fondo di investimento Russia-Cina da due miliardi di dollari), Arabia Saudita (il partenariato RDIF-PIF da oltre dieci miliardi di dollari), Francia (la Piattaforma di investimento RDIF-CDC), Giappone (il Fondo di investimento Russia-Giappone da un miliardo di dollari) e Italia (la Piattaforma di investimento RDIF-FSI).
Sino a questo momento si è parlato di denaro, ma non è stato spiegato il modo in cui viene speso, o meglio investito. Il RDIF ha il mandato di investire, co-investire e/o calamitare investimenti stranieri in sei aree: sanità, infrastrutture, industrializzazione per sostituzione delle importazioni, sviluppo regionale, crescita efficiente e progresso tecnologico.
Scendendo ulteriormente nello specifico, il RDIF ha orientato investimenti, o investito direttamente, nel miglioramento degli ospedali (dotandoli di attrezzature all’avanguardia), nell’industria farmaceutica, nella ricerca medica (specialmente dedicata al cancro), nelle grandi opere (come la strada M4, l’aeroporto internazionale di Vladivostok e il ponte sino-russo sull’Amur) e nei piani autarchici portati avanti dalle firme operanti nei settori strategici (come aerospazio, energia e telecomunicazioni).
Il RDIF ha giocato un ruolo determinante sin dai primordi della pandemia di Covid19. Noto per aver finanziato le attività di ricerca e sviluppo dell’Istituto Gamaleya di Mosca inerenti la realizzazione di un vaccino, poi divenuto lo Sputnik V, il RDIF, in realtà, ha investito in una varietà di progetti attinenti al contrasto della pandemia, come la formulazione di farmaci e tecnologia diagnostica.
Frutto del denaro iniettato dal RDIF nella ricerca medica e scientifica sono stati, Sputnik V a parte, un sistema diagnostico ultra-rapido in grado di rilevare la presenza del Covid19 in trenta minuti – attualmente impiegato nei principali aeroporti russi e all’estero – e il farmaco antivirale Avifavir – commercializzato in quindici Paesi.
La diplomazia parallela del RDIF, al tempo stesso investitore e venditore, è stata un successo irrefutabile: l’Avifavir, come soprascritto, venduto in quindici stati, e lo Sputnik V approvato per l’utilizzo in cinquantanove Paesi – sullo sfondo di accordi per la sua produzione in loco con venti entità in dieci nazioni, tra le quali India, Cina e Corea del Sud.