Il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) è una delle principali istituzioni finanziarie globali ed uno dei cardini dell’ordine economico globale creato dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
Istituito nel 1944 e una delle architravi del “Washington Consensus” su cui si è fondata la globalizzazione post-Guerra Fredda, il Fmi è da tempo un’istituzione ibrida tra le sue connotazioni tradizionali di sostenitore di ultima istanza delle economie in crisi e di osservatore per eccellenza delle manovre compiute dagli attori internazionali nel sistema produttivo e commerciale globale.
Il Fmi è stato istituito nel 1944 all’indomani della prima riunione dei Paesi alleati nella grande Conferenza di Bretton Woods incaricata di ridisegnare l’economia globale per superare i traumi della Seconda guerra mondiale senza compiere gli errori che portarono alla Grande Depressione degli Anni Trenta.
Delineato alla Conferenza di Bretton Woods principalmente dalle idee di Harry Dexter White, alto funzionario del Tesoro Usa, e dell’economista John Maynard Keynes, fautori di un sistema finanziario fondato sulla mutualità delle decisioni e sulla capacità di controllo sulle regole valutarie e commerciali globali, il Fondo divenne operativo formalmente nel 1945 con 29 Paesi membri e l’obiettivo di ricostruire il sistema monetario internazionale. Oggi, 190 Paesi fanno parte del Fmi, che ha sede a Washington dalla sua fondazione.
Dai discorsi tenutisi al Mount Washington Hotel di Bretton Woods, in New Hampshire, erano emrsi due punti di vista sul ruolo che il Fmi avrebbe dovuto assumere come istituzione economica globale. Il delegato americano Harry Dexter White prevedeva un Fmi che funzionasse più come una banca, assicurandosi che gli stati debitori potessero rimborsare i loro debiti in tempo e evitare un effetto-contagio globale.
La maggior parte del piano di White fu incorporato negli atti finali adottati a Bretton Woods. L’economista britannico John Maynard Keynes, d’altra parte, immaginava che il Fmi sarebbe stato un fondo cooperativo a cui gli Stati membri avrebbero potuto attingere per mantenere l’attività economica e l’occupazione attraverso crisi periodiche. Propose inoltre una valuta terza di riferimento per gli scambi globali, il Bancor, che non vide mai la luce ma diede l’idea per i cosiddetti Diritti speciali di prelievo (Sdr) del Fondo. I Diritti speciali di prelievo sono, tecnicamente, l’unità di conto del Fondo Monetario, declinata sotto forma di asset addizionali di valute estere da parte dell’istituzione basata a Washington. Sono una moneta di secondo livello che ottiene il suo valore in proporzione a un paniere selezionato di divise e sono stati creati nel 1969 per prevenire eventuali carenze nella disponibilità dei due asset di riferimento degli scambi internazionali, il dollaro e l’oro, della cui convertibilità il Fmi fu il garante dalla sua nascita.
L’influenza del Fmi nell’economia globale è aumentata costantemente man mano che ha accumulato più membri. Quest rifletteva, in particolare, il raggiungimento dell’indipendenza politica da parte di molti paesi africani e, più recentemente, la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, che ha incorporato nell’organizzazione molti Stati ex comunisti inizialmente restii ad aderirvi.
Il Fmi è una struttura complessa. Alla sua testa c’è formalmente il Consiglio dei governatori. Questo è composto da un governatore e da un governatore supplente per ogni Paese membro. Essi sono, di fatto, il Ministro dell’Economia e il governatore della Banca centrale di ogni Paese membro, anche se formalmente ogni paese membro è libero di nominare i suoi due governatori. Il Consiglio si riunisce salvo convocazioni straordinarie una volta all’anno e deve governare ogni procedura che richiede voti collegiali, compresa l’elezione di un direttore nel Comitato esecutivo. Mentre il Consiglio dei governatori è ufficialmente responsabile dell’approvazione degli aumenti delle quote, delle assegnazioni speciali dei diritti di prelievo, dell’ammissione di nuovi membri, del ritiro obbligatorio dei membri e delle modifiche agli articoli e allo statuto, in pratica ha delegato la maggior parte dei suoi poteri al Comitato esecutivo.
Quest’ultimo supervisiona il lavoro quotidiano del Fmi e rappresenta l’intera composizione del Fondo. Il Comitato esecutivo conta 24 membri: sette sono eletti dai Paesi che per diritto, dopo la riforma del 2008, hanno un posto riservato (Stati Uniti, Giappone, Cina, Germania, Francia, Regno Unito e Arabia Saudita), mentre gli altri diciassette rappresentano circoscrizioni composte di gruppi di Paesi in un numero variabile da 2 a 23, associati per area geografica. Questo Consiglio di solito si riunisce più volte alla settimana.
Il Fmi è guidato da un direttore generale, che è capo del personale e funge da presidente del comitato esecutivo. L’amministratore delegato è la posizione più potente dell’organizzazione e storicamente è sempre stato un europeo. Attualmente la carica è di Kristalina Georgieva, economista bulgara succeduta nel 2019 alla francese Christine Lagarde, passata alla guida della Banca centrale europea.
Il potere di voto interno al Fmi nell’assemblea generale è legato al peso ponderato delle quote. Ogni Paese vota in base alla percentuale di quote di Diritti speciali di prelievo che gli competono. Oggi la nazione più rappresentata sono gli Usa, con il 17,43% delle quote che si riflettono nel 16,50% dei voti. Seguono Giappone (6,14% dei voti), Cina (6,08%), Germania (5,31%), Francia, Regno Unito (4,03% entrambi), Italia (3,02%), India (2,63%), Russia (2,59%) e Brasile (2,22%) nell’elenco dei dieci Paesi più rappresentati nel voto.
Gli Usa possono influenzare in senso decisivo, dunque, i procedimenti di voto che richiedono il sostegno dell’85% delle quote e assieme all’Ue bloccare ogni proposta da approvare con la maggioranza qualificata dei due terzi. Non a caso il Segretario al Tesoro Jacob Lew ha descritto nel 2015 come il loro “ruolo di leadership” al FMI e la “capacità degli Stati Uniti di modellare norme e pratiche internazionali” passino proprio attraverso il Fmi.
Nei fatti il Fmi può concedere prestiti a Paesi in crisi chiedendo in cambio programmi di condizionalità di vario livello. Dopo l’ascesa del Washington Consensus neoliberista il Fmi, assieme alle due grandi istituzioni basate nel Distretto di Columbia (il Tesoro Usa e la Banca Mondiale) è stato il maggior alfiere della terna liberalizzazioni-taglio alla spesa-apertura al commercio alla base di molti programmi di risanamento strutturale delle economie in crisi.
Il FMI ha fornito due importanti pacchetti di prestiti nei primi anni 2000 all’Argentina (durante la grande depressione argentina del 1998-2002) e all’Uruguay (dopo la crisi bancaria dell’Uruguay del 2002). Nel maggio 2010, il FMI ha partecipato, in proporzione di quasi un quarto al primo salvataggio greco che ha totalizzato 110 miliardi di euro, per affrontare il grande accumulo di debito pubblico, causato dal persistere di ampi deficit del settore pubblico. Come parte del salvataggio, il governo greco ha accettato di adottare misure di austerità che ridurrebbero il deficit dall’11% nel 2009 a meno del 3%. Fino all’agosto 2022 è stato parte della cosiddetta Troika (assieme a Commissione Europea e Bce) che ha supervisionato l’austerità.
Le scelte del Fmi hanno spesso suscitato notevoli critiche. Il Fondo ha lavorato sul presupposto errato che tutti gli squilibri dei pagamenti fossero causati a livello nazionale. Il Gruppo dei 24 (G-24), a nome dei membri dei paesi meno sviluppati, e la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD) hanno lamentato che il FMI non distingue sufficientemente tra squilibri con cause prevalentemente esterne e cause interne. Questa critica è stata espressa all’indomani della crisi petrolifera del 1973. Inoltre, alcune politiche del Fmi possono essere anti-sviluppo, come successo alla Grecia per anni e a diversi Paesi africani in passato. Già nel 1980 l’Overseas Development Institute in un rapporto affermava che gli effetti deflazionistici dei programmi del Fmi avessero più volte portato a perdite di produzione e occupazione in economie in cui i redditi erano bassi e la disoccupazione era elevata. Inoltre, il peso della deflazione è sopportato in modo sproporzionato dai poveri. Amartya Sen e Joseph Stiglitz, Premi Nobel per l’Economia, hanno accusato l’Fmi di esser eccessivamente appiattito sui principi della globalizzazione neoliberista.
Dalla crisi del Covid-19 in avanti il Fmi ha provato a trasformarsi in un ente più attento allo stimolo e alla proposizione di proposte di politica economica, una sorta di maxi-consulente dei governi, evitando l’affondo sul fronte dei programmi di risanamento strutturale. A marzo 2020, Kristalina Georgieva ha annunciato che il FMI era pronto a mobilitare 1 trilione di dollari come risposta alla pandemia di Covid-19. Questoin aggiunta al fondo di 50 miliardi di dollari che aveva costituito a febbraio. A aprile ha usato il fondo di salvataggio del suo programma Catastrophe Containment and Relief Trust per condonare il debito a 25 Paesi. Ora, di fronte all’aumento dei tassi di interesse e alla difficile sostenibilità dei debiti di diversi Paesi, bisogna capire se finita l’emergenza pandemica questo trend continuerà o se il Fmi tornerà allo schema classico, prestiti in cambio di austerità e privatizzazioni. La sua evoluzione sarà decisiva per capire il futuro dell’ordine economico globale negli anni della ristrutturazione della globalizzazione.