Nella fase di crisi post-pandemia tra le soluzioni proposte per ovviare alle turbolenze economiche dettate dal coronavirus è emersa anche l’idea di mobilitare i diritti speciali di prelievo del Fondo Monetario Internazionale.
Il Financial Times, in particolare, attraverso la penna dell’ex alto funzionario di Goldman Sachs ed ex direttore della Bbc Gavyn Davies, ha proposto un incremento dell’utilizzo degli Sdr (da “special drawing rights”) nella risposta sistemica alla crisi. Davies ha fatto notare come l’ex primo ministro britannico Gordon Brown, promotore dell’ultimo grande incremento del paniere Fmi nel 2009, sia tornato nuovamente a perorarne un’espansione assieme all’ex direttore del Tesoro americano Lawrence Summers.
Per capire se gli Sdr possono essere una soluzione alla crisi è opportuno partire dalle origini: cosa sono e come funzionano i diritti di prelievo messi in campo dal Fmi?
Gli Sdr sono, tecnicamente, l’unità di conto del Fondo Monetario, declinata sotto forma di asset addizionali di valute estere da parte dell’istituzione basata a Washington e sono stati creati nel 1969 per prevenire eventuali carenze nella disponibilità dei due asset di riferimento degli scambi internazionali, il dollaro e l’oro.
Per statuto del Fmi, gli Sdr possono servire a finanziare operazioni in sostegno di Paesi in crisi e non possono essere trasferiti o usati ad attori privati. Concretamente, un’unità di Sdr è basata sulla composizione del valore di un paniere di più divise aventi grande liquidità nei circuiti internazionali.
Dal 1981 al 1998 il paniere era composto da dollaro Usa, franco, marco tedesco, yen giapponese e sterlina britannica; nel 1999 l’euro è subentrato al franco e al marco e nel 2016 si è aggiunto alla partita il renminbi cinese. Un’unità di Sdr è composto da una media ponderata di queste valute: il biglietto verde pesa per il 41,73%, l’euro per il 30,93%, il renminbi per il 10,92%, lo yen per l’8,33% e la sterlina per il rimanente 8,07%. Attualmente, il Fmi ha in dotazione circa 240 miliardi di unità di Sdr.
Nella storia del Fmi, gli Sdr hanno funzionato, in primo luogo, come unità di misura oggettiva delle scelte economiche e dei rapporti di potere interni al fondo. La quota di contribuzione agli Sdr (non in maniera percentuale, ma col contributo effettivamente versato) è una delle unità di misura con cui si assegna il voto ponderato nelle decisioni del fondo. Gli Usa, che detengono oltre il 16% dei voti, dispongono sulla carta del diritto potenziale di veto su ogni decisione presa dal Fondo Monetario, che richiede l’85% di maggioranza come risultato qualificato.
Un eventuale intervento anti-crisi del Fmi dovrebbe, ad esempio, esser deliberato in questa maniera. Al contempo è bene ricordare che il processo deve passare, necessariamente, per un aumento delle disponibilità concrete del fondo in materia di Sdr, per ora deliberato solo cinque volte nella storia: 9,3 miliardi di unità furono create tra il 1970 e il 1972, quando il sistema di Bretton Woods andava verso il suo disfacimento; 12,1 miliardi tra il 1979 e il 1981, durante la fase di instabilità borsistica globale seguita all’inizio della guerra della Federal Reserve all’inflazione; 183,6 miliardi durante la celebre “iniezione” perorata da Gordon Brown e realizzata in due tranche, una il 28 agosto e l’altra il 9 settembre 2009, per mettere a disposizione delle economie globali un fondo per la liquidità contro la Grande Recessione; 20,8 miliardi nel 2011, in un’iniezione di nuovi Sdr pensata per aumentare il peso delle nazioni in via di sviluppo nel fondo.
Da come sono stati descritti in precedenza gli Sdr non appaiono come una moneta a tutto tondo,dato che manca loro la necessaria funzione di unità di riferimento per le transazioni tra privati, cittadini e imprese. Al contempo, essi rappresentano un’unità di conto che garantisce una proporzionalità tutto sommato onesta tra il peso relativo delle diverse valute nel contesto globale ed sono per questo ampiamente sfruttati come punto di riferimento contabile da istituzioni come l’Asian Development Bank, l’Universal Postal Union e l’International Fund for Agricultural Development, mentre nel 2018 Russia e Corea del Sud hanno compiuto la prima transazione con una criptovaluta ancorata al valore degli Sdr.
La proposta di utilizzare gli Sdr per un bazooka anti-crisi su scala globale, oltre che dal Ft, è stata ripresa anche dall’economista italiano Domenico Lombardi, già membro del Board del Fmi e Senior Scholar della statunitense Brookings Institution, assieme a Jim O’Neill, ex segretario al Tesoro britannico e attualmente presidente di Chatham House.
In un editoriale pubblicato su Caixin i due studiosi hanno proposto l’idea di aumentare la dotazione degli Sdr per garantire risorse ai Paesi in proporzione alla quota di influenza sul Fmi. Se venisse seguita la proposta del Ft di aumentare di 1.250 miliardi di euro (1,37 trilioni di dollari) il peso degli Sdr, questo garantirebbe a loro detta una più spedita risposta alla crisi, una maggior capacità di finanziamento per i Paesi in difficoltà e soldi freschi spendibili nelle economie reali. Per l’Italia, detentrice del 3,17% del capitale del Fmi, questo vorrebbe dire ricevere 43 miliardi senza necessità di rimborso a breve termine, eventualità invece prospettata dal Mes e da strumenti simili.
Il problema, in questo contesto, sarebbe la difficoltà nel coordinamento e nei trasferimenti diretti delle risorse ai Paesi membri del Fondo Monetario. Inoltre, lo scoglio della liquidabilità degli Sdr nell’economia reale è difficile da aggirare. Paesi come gli Usa potrebbero essere desiderosi di evitare che la Cina o l’Europa, per esempio, si approprino di una quota di dollari contenuta intrinsecamente nel valore degli Sdr. La cui rilevanza è riflesso, e non causa, del peso delle valute che lo compongono.
Di più: valute come euro, dollaro e renminbi sono, allo stato attuale delle cose, concorrenti. Il processo rischia di essere decisamente macchinoso: in fin dei conti, la vera natura degli Sdr è di garanzia alla credibilità del Fmi come istituzione internazionale. La dotazione del paniere misura rapporti di forza tra le divise e ampiezza delle riserve, in un equilibrio che verrebbe compromesso nel caso in cui queste ultime venissero intaccate. Anche perché alcuni Paesi, Cina in primis, potrebbero chiedere una riformulazione del paniere a loro favore in fase di ricostruzione delle riserve stesse: la moneta è strumento geopolitico, non asset neutrale, e sono gli Stati Uniti, in fin dei conti, a voler evitare strappi radicali.