Conte Von der Leyen

Che cosa sono i coronabond

Il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte e il presidente francese Emmanuel Macron hanno recentemente proposto ai Paesi dell’Unione Europea l’introduzione di una forma di obbligazione comune a tutto il gruppo di 27 Paesi per fornire risorse a un fondo comune di risposta alla crisi economica e finanziaria dettata dal coronavirus.

Il piano, che ha inizialmente ricevuto le critiche dei falchi del rigore del Nord (guidati dall’Olanda) e la presa di una posizione sfumata da parte della Germania di Angela Merkel, ha poi avuto una prima forma di apertura dal presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

L’idea di forme di assicurazioni comune anti-crisi e di mutualizzazione del debito così prodotto tra i Paesi di tutta Europa, al netto di ogni differenza sistemica, non è nuova nel Vecchio Continente. Nel 2010-2011 il presidente dell’Eurogruppo e capo del governo del Lussemburgo, Jean-Claude Juncker, e il ministro dell’Economia italiano Giulio Tremonti proposero i cosiddetti “Eurobond” come forma di risposta alla crisi dei debiti sovrani in atto nell’Eurozona.

 

Allora, come oggi, le forme di obbligazione collettive furono accolte da un’ampia gamma di reazioni, che spaziavano dal sostegno entusiastico dei Paesi dell’Europa del Sud più colpiti dalla crisi alla netta critica di molti custodi dell’ortodossia austeritaria nel Vecchio Continente.

I fautori di misure come gli Eurobond o i coronabond pongono l’accento sulla necessità di misure comuni e concertate in risposta a crisi ritenute sistemiche per tutta Europa e che non è possibile affrontare solo con gli strumenti di politica monetaria della Banca centrale europea. Il ricavato di tali obbligazioni sarebbe dunque l’arma per un bazooka fiscale a tutto campo capace di rafforzare la capacità di risposta comunitaria.

I coronabond potrebbero, secondo una visione sostenuta dal commissario agli Affari Economici Paolo Gentiloni, anche contribuire a rendere operativo il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), garantendo un ritorno ai Paesi contribuenti delle risorse messe in campo per finanziarlo.

I critici, invece, sostengono che misure di questo tipo siano politicamente difficili da mettere in atto e nel Nord Europa si sottolinea la natura di azzardo morale della scelta di favorire indirettamente, con la mutualizzazione del debito, i Paesi con finanze pubbliche meno stabili. Su questa linea, sul tema Coronabond, si sono posizionati gli analisti di Goldman Sachs, che in un recente rapporto si dicono “scettici sul fatto che i governi si accordino su un ‘coronabond’ comune poiché i paesi del Nord (compresa la Germania) lo vedrebbero probabilmente come un primo passo verso la mutualizzazione del debito”.

Difficile il ricorso al Mes per la sua natura di trattato rigido e poco integrabile nelle strutture europee, problematica l’idea di una garanzia comune a tutti i Paesi dell’Eurozona, la manovra dei coronabond potrebbe in fin dei conti sostanziarsi, secondo indiscrezioni recenti,

“Posto che per statuto la Bce non può emettere titoli, i coronabond potrebbero essere lanciati dalla Banca europea degli investimenti o direttamente dalla Commissione europea. In entrambi i casi li garantirebbero con il loro bilancio, per quanto inferiore a quello del Mes”, fa notare Milano Finanza. A Bruxelles resterebbe il potere di coordinamento delle risorse messe in campo in questo caso e agli Stati il compito di garantire assicurazioni alla tenuta di queste obbligazioni.

Il dibattito su emissioni sovrane da parte dell’Unione Europea apre il dibattito, tra le altre cose, sull’estrema rigidità dei trattati e delle istituzioni di fronte agli scenari di crisi. Le regole di bilancio imbrigliano risposte politiche concrete, la Bce non ha gli strumenti per fungere da prestatore di ultima istanza, nuove misure come gli eurobond/coronabond aprono un dibattito aspro. Queste manovre possono contribuire a dare risorse preziose agli Stati nella lotta alle emergenze economiche: l’importante è che si capisca il fatto di pensarle come misure complementari, e non sostitutive, alla necessaria manovra di stimolo di politica fiscale.

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