Algerina di nascita e francese di acquisizione, allevata dalle banlieue, che da adulta avrebbe rinnegato e denunciato, Samira Bellil è stata una delle voci più influenti e tragiche della coscienza della Francia degli anni 2000. La sua storia, per quanto caduta nel dimenticatoio, è più che mai attuale, alla luce della grave condizione di disagio in cui versano le periferie francesi, afflitte dalla piaga del narco-banditismo, dalla diffusione capillare di circuiti islamisti e jihadisti e, in un numero crescente di casi, sfuggite al controllo delle autorità.
Samira Bellil nasce ad Algeri il 24 novembre 1972. Come tante altre famiglie algerine dell’epoca, i Bellil avrebbero optato per la scelta più ardua: l’addio alla patria, da poco indipendente, in favore di un trasferimento in Francia, l’ex casa madre che da anni aveva aperto le proprie frontiere, e il proprio mercato del lavoro, agli abitanti del defunto impero coloniale.
Quella vita migliore, però, i Bellil avrebbero continuato a cercarla in vano, condannati a sognarla senza mai poterla toccare né assaggiare. Collocati in uno dei ghetti emergenti di Parigi, sito nel dipartimento della Senna-Saint-Denis, i Bellil avrebbero perduto la custodia della figlia per cinque anni a causa del loro essere disfunzionali e dei problemi con la giustizia del padre.
Inviata in Belgio, dove avrebbe trascorso “cinque anni felici”, la Bellil viene in seguito richiamata dalle autorità francesi, intenzionate a dare una seconda occasione ai suoi genitori. Occasione che avrebbero sprecato e mancato totalmente, alla luce del persistere delle condotte violente e abusanti da parte del padre e della cieca sottomissione della madre ad un modello familiare nocivo.
In odio ai genitori perché affascinata dagli usi e dai costumi occidentali, la Bellil avrebbe cercato consolazione e comprensione tra i coetanei, disincantati figlie delle ex colonie proprio come lei, ma in essi avrebbe trovato dei fatali nemici. Tradita dal proprio fidanzato, che l’avrebbe “venduta” a degli amici a soli 14 anni per un brutale stupro di gruppo, la Bellil avrebbe continuato a subire angherie e soprusi dai propri coetanei e connazionali, persino nell’affollata metropolitana parigina, scontrandosi contro i muri dell’omertà della comunità magrebina e della diffidenza della società francese, nonché con i tentativi di colpevolizzazione subiti dai propri genitori.
Sola e disillusa, perché ripudiata dai genitori e perché abusata dai connazionali, la Bellil avrebbe superato la prova delle prove verso la fine degli anni Ottanta, quando, venuta a conoscenza della capillarità del fenomeno stupri nella sua banlieue, abbandona le ideazioni suicidarie per recarsi dalla polizia e denunciare l’esistenza di una società parallela dominata da bande di criminali e stupratori.
Costretta a transitare dall’adolescenza all’adultità in uno dei modi più inconcepibili e violenti, ovvero lo stupro con annesso il ripudio della famiglia, la Bellil riceverà un supporto determinante da Boris Cyrulnik, uno psicoterapeuta di fama nazionale, che ne avrebbe seguito il percorso di recupero sociale e superamento del trauma passo dopo passo, diventando per lei una sorta di padre adottivo.
Complice il coinvolgimento del dottor Cyrulnik nella questione, la storia di Samira Bellil avrebbe monopolizzato il dibattito pubblico e politico per buona parte degli anni Novanta, aprendo gli occhi alle autorità su quei ghetti in divenire che erano i quartieri-dormitorio costruiti ai margini delle principali metropoli per ospitare la manodopera proveniente dalle ex colonie.
Perché, diffusione della cultura dello stupro a parte, nella storia di Samira – condensata nell’angoscioso Via dall’inferno, best-seller del 2002 nel mercato transalpino – si poteva intravedere il futuro delle banlieue: il dominio del crimine, l’assenza di comunicazione tra stranieri e francesi, la noncuranza delle forze dell’ordine, la povertà galoppante, il ribollire di odio e insofferenza tra i figli della prima generazione di immigrati e la pervasività di visioni distorte e nocive dell’islam tra gli abitanti dei ghetti.
Soltanto tre anni dopo, quelle banlieue traboccanti di livore e soggiogate dalla violenza denunciate da Samira nel suo libro, sarebbero esplose con veemenza, entrando a pieno titolo nei libri di storia della Francia contemporanea: quasi 3mila arresti, 126 poliziotti feriti, 3 morti, 8mila veicoli dati alle fiamme e più di 300 città coinvolte.
Via dall’inferno non è l’unico bene che Samira Bellil ha lasciato in eredità ai posteri. Nel 2002, anno della pubblicazione del suddetto, la Bellil fondò Ni Putes Ni Soumises, un movimento femminista che, con lo scorrere del tempo, sarebbe divenuto uno dei più importanti e riconosciuti del panorama francese, accreditato presso l’opinione pubblica, la stampa e il mondo politico, ed un punto di riferimento per tutte quelle giovani che desiderano denunciare le violenze subite in famiglia, dai coetanei e dagli stupratori delle banlieue.
Alla Bellil va il merito di aver dato voce a migliaia di vittime di stupri collettivi nelle banlieue di Parigi, Tolosa, Marsiglia e di altre città, nonché di aver portato alla ribalta il caso di Sohane Benziane, una 17enne di origine algerine che il 4 ottobre 2002 fu violentata da un gruppo di narco-banditi e quindi bruciata viva in un quartiere periferico di Parigi. Una morte orrenda, insensata e anacronistica, avvenuta nel cuore dell’Europa, negli anni 2000, e non in qualche luogo sperduto del Terzo mondo.
La Benziane, forse, non sarebbe mai stata ritrovata e la sua storia non sarebbe stata raccontata se non fosse stato per Samira Bellil, che, sebbene debilitata da un aggressivo cancro allo stomaco, trovò la forza ed ebbe la capacità di mobilitare le donne di tutta la Francia per diversi mesi, organizzando dimostrazioni in venti città e guidando la storica Marcia delle donne dei quartieri contro i ghetti e per l’uguaglianza (Marche des femmes des quartiers contre les ghettos et pour l’égalité), svoltasi a Parigi l’8 marzo 2003 e partecipata da oltre 30mila persone.
Prima di morire, la Bellil ha prestato il suo volto per realizzare un busto della Marianne, la rappresentazione iconica della République, che oggi si trova esposto nei corridoi del Parlamento.
Deceduta il 4 settembre 2004 a causa del cancro allo stomaco, a soli trentuno anni, la memoria e la lotta della Bellil continuano a venire portate avanti da Ni Putes Ni Soumises, che continua a sensibilizzare la popolazione sul fenomeno degli stupri nelle banlieue a mezzo di conferenze, opere accademiche e cortei.
Per il suo contributo attivo e tangibile al miglioramento delle condizioni di vita delle donne delle banlieue, da lei aiutate a trasferirsi o supportate psicologicamente tramite centri di ascolto, oltre ad un busto della Marianne, le è stata intitolata una scuola a Île-Saint-Denis, il quartiere in cui è cresciuta.