Il ruolo di Hezbollah in Siria

A partire dal 2011, le forze del governo siriano di Bashar al Assad impegnate nella guerra civile hanno potuto contare dello strenuo supporto dell’apparato politico-militare di Hezbollah, la formazione partitica e militante libanese di estrazione sciita che ha svolto un ruolo importante sul campo in sostegno ai lealisti di Damasco.

Dalla partecipazione attiva sul campo il “Partito di Dio” ha ricavato notevoli dividendi politici e tattici: sono orami lontani i giorni in cui, per giustificare il suo appoggio ad Assad, Hezbollah parlava di un complotto israeliano in sostegno all’opposizione siriana.

Ora la formazione libanese gioca a carte scoperte e ammette di aver conseguito dall’intervento in Siria un notevole miglioramento delle sue capacità militari, che potrebbero tornare utili in un futuro scontro con il rivale israeliano, ma anche un notevole potere d’influenza sulla politica interna libanese. Quest’ultimo è stato testimoniato dalle recenti dichiarazioni del presidente del Parlamento di Beirut, Nabih Berri, della formazione sciita Amal, che ha difeso la presenza di Hezbollah e dell’Iran in Siria, ritenendola vitale affinché il Paese torni alla piena integrità territoriale.

Sebbene sin dal 2011 i paramilitari sciiti libanesi fossero presenti sul suolo siriano, è solo nel 2013 che, per iniziativa del suo leader Hassan Nasrallah, Hezbollah è intervenuto in forze nel conflitto, portando oltre confine un numero di combattenti stabilmente definito tra i 5mila e i 6mila. La prima e decisiva battaglia che vide impegnati i combattenti del Partito di Dio fu quella per la liberazione dai ribelli e da Al Nusra di Al-Qusayr, guidata dal generale iraniano Qasem Soleimani.

In un discorso del 25 maggio 2013, Nasrallah giustificò con toni enfatici l’intervento di Hezbollah in Siria, ritenendo la difesa di Assad una premessa fondamentale per la difesa del movimento della “resistenza islamica” (al-Muqawwama al-Islāmiyya) all’influenza di Israele e delle potenze occidentali: “La Siria rappresenta un sostegno essenziale per la Resistenza. La Siria è la spina dorsale della Resistenza. La Resistenza non può rimanere a braccia incrociate […] Se Bashar al-Assad cade, la Resistenza sarà indebolita, Israele potrà controllare il Libano e questo significherà la fine dei movimenti di Resistenza in Palestina”.

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Come sottolineato da Stefano Fabei e Fabio Polese ne  Il Partito di Dio, “Hezbollah ha svolto un ruolo importante per riequilibrare le sorti del conflitto in atto in Siria e non è eccessivo sostenere che abbia determinato un capovolgimento dei rapporti di forze”. Ruolo che, è importante sottolinearlo, la milizia libanese ha conquistato pagando un duro tributo di sangue: tra il 2013 e il 2016 oltre 1.600 membri di Hezbollah sono morti combattendo in Siria, tra cui spiccano Samir Kuntar, comandante di etnia drusa ucciso a Damasco nel dicembre 2015, che Hezbollah accusa esser stato vittima di un raid israeliano, e il leader militare Mustafa Badreddine, vittima di un raid di artiglieria dei ribelli nei pressi dell’aeroporto della capitale siriana il 14 maggio2016.

La partecipazione alla guerra civile in Siria ha sinora portato Hezbollah ad impegnarsi nello sforzo militare di maggior ampiezza della sua storia, e l’elevata conta delle vittime, a fronte di una disponibilità di uomini in armi complessivamente inferiore alle 50mila unità, lo testimonia.

Dopo aver contribuito a colpire l’Esercito siriano libero ad Al Qusayr, Hezbollah si è distinto in diverse offensive che hanno portato i lealisti pro-Assad ad espandere la loro area di controllo. Prima dell’intervento russo, nel maggio 2015 le forze congiunte siriano-libanesi hanno ottenuto una decisiva vittoria a Qalamoun, vicino al confine col Paese dei cedri, in una battaglia che non solo ha testimoniato la capacità di resistenza del regime di Assad ma anche portato alla rottura definitiva, nel fronte ribelle, tra Isis e Al Nusra.

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Addestrati dai pasdaran iraniani, armati con moderni dispositivi anticarro e con mezzi di trasporto all’avanguardia, numerosi reparti Hezbollah hanno assunto lo status di truppe d’élite. Nel giugno 2016, proprio queste unità di alto profilo contribuirono a rafforzare lo schieramento governativo assediato dal Califfato a Deir Ezzor sotto la guida del “Comandante Falco” Issam Zahreddine e, nei primi mesi del 2017, a respingere l’Isis nella regione a Est di Aleppo e nell’area circostante Daraa.

Il sempre più significativo ruolo assunto dal “Partito di Dio” a sostegno di Assad ha a più riprese allarmato gli strateghi e i leader israeliani, che vedono in Hezbollah un nemico formidabile dopo la sua vittoriosa resistenza all’invasione del Libano da parte dell’esercito di Tel Aviv nel 2006. Nel maggio 2018, Hezbollah è giunto a lanciare missili nel Golan, regione siriana illegittimamente occupata da Israele dal 1967: segnale che nel prossimo futuro Israele potrebbe combattere Hezbollah come rivale regolare a tutti gli effetti, e non come forza guerrigliera come in passato.

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Tel Aviv è intervenuta con decisione per limitare tanto Hezbollah quanto l’alleato Iran in suolo siriano, colpendo con azioni dimostrative come il raid di Rif Dimashq dell’aprile 2017 o numerosi strike che hanno colpito convogli di armi o rifornimenti destinati alle truppe del Partito di Dio. L’obiettivo israeliano è stato il mantenimento di una sorta di zona-cuscinetto che tenga le truppe sciite distanti dai confini del Golan. La situazione  de facto creatasi sul terreno è stata cristallizzata dall’accordo siglato dal Ministro della Difesa Avigodr Lieberman a Mosca nel maggio scorso, possibile preludio al riflusso israeliano in Siria. Il sentiero, in ogni caso, pare oramai tracciato: Israele ed Hezbollah si vedono come nemici mortali e irriducibili. Se in futuro il Medio Oriente sarà animato da un nuovo scontro frontale, potrebbero esserne i protagonisti.

La leadership di Hezbollah ha temuto, per un certo lasso di tempo, che l’eccessivo coinvolgimento in Siria potesse portare la formazione a disinteressarsi gradualmente della cura del “cortile di casa”, delle roccaforti nel Sud del Libano in cui questa esercita un vero e proprio ruolo di “Stato nello Stato”, forte di un sistema di assistenza e sostegno notevolmente ramificato.

L’esito favorevole del voto libanese del maggio scorso ha fugato questi dubbi: Hezbollah ha capitalizzato in patria la prova di forza siriana, da cui è uscito legittimato come vero e proprio attore politico regionale, che di fatto esercita un’influenza superiore a quella dello stesso Stato libanese in diversi teatri fondamentali. La tenuta della mezzaluna sciita e le modalità con cui il conflitto siriano si concluderà saranno fondamentali per capire il futuro di Hezbollah: prioritario per il movimento guidato da Nasrallah è evitare che la conseguenza immediata della fine del conflitto sia un’immediata ripresa delle ostilità con Israele. La realpolitik insegna che Hezbollah potrà capitalizzare il successo in Siria solo con un lungo e continuato periodo di pace, che gli permetta di focalizzarsi sul “fronte interno” libanese, sostanzialmente prioritario per la sua tenuta futura.