Nella jungla del Mindanao
ZAMBOANGA CITY – Le Filippine sono il Paese con la più grande comunità cristiana dell’Asia e l’81 per cento della popolazione si professa cattolica.Ma nella regione meridionale del Mindanao gli equilibri cambiano: la maggioranza degli abitanti è di fede musulmana.«Dove stai andando?», chiede il tassista mentre mi porta dall’albergo all’aeroporto di Manila.Si chiama Datu, una quarantina d’anni e un crocifisso che ciondola sullo specchietto della sua vecchia Mitsubishi. «Sto andando nel Mindanao, a Zamboanga City», rispondo. Lui rimane un attimo in silenzio, poi esclama: «Sei pazzo! Lì ci sono i ribelli musulmani, è molto pericoloso».
In questi questi territori, davvero rischiosi per i cristiani che ci abitano e per i pochi stranieri che ci si avventurano, però, non ci sono solo i guerriglieri musulmani che richiedono l’autonomia. Nell’ultimo periodo, infatti, il fanatismo dello Stato Islamico è arrivato anche qui. Ma non basta. In queste terre martoriate da decenni di scontri, che dal 1972 ad oggi hanno causato la morte di oltre 150 mila persone, sono operativi anche i ribelli comunisti che vogliono rovesciare il governo e numerosi gruppi paramilitari che fanno gli interessi degli uomini d’affari e dei politici corrotti.I guerriglieri musulmaniIl gruppo armato più vecchio con aspirazioni separatiste è il Moro National Liberation Front (MNLF). La loro prima azione risale al 21 ottobre del 1972, quando i guerriglieri hanno attaccato vari obiettivi statali a Marawi City. L’organizzazione è ancora attiva, anche se, dopo alcuni dissidi interni, numerosi combattenti sono usciti dal MNLF e hanno fondato il Moro Islamic Liberation Front (MILF). Questo gruppo, attualmente in trattativa per un accordo di pace con le autorità filippine, secondo il governo conta 12 mila uomini armati e controlla diverse parti del Mindanao.
Anche se numericamente inferiori, nell’area è operativo pure il Bangsamoro Islamic Freedom Fighter (BIFF), fuoriuscito nel 2012 proprio dal MILF a causa dell’inizio delle trattative. L’organizzazione è responsabile di numerosi attentati e anche degli ultimi attacchi contro la comunità cristiana avvenuti lo scorso Natale nella provincia di Cotabato.La deriva jihadistaNel Mindanao sono attivi anche altri gruppi terroristici che si rifanno ai tagliagole jihadisti che operano in Siria ed Irak. Il primo fra tutti è Abu Sayyaf Group (ASG).
Questa organizzazione, fondata alla fine degli anni Ottanta da Abdurajik Janjalani, grazie al finanziamento di sei milioni di dollari fatto da Osama Bin Laden ed inizialmente vicina ad Al Qaeda, nell’ultimo periodo ha avuto contatti con l’ISIS. Proprio questo gruppo, che è stato accusato di numerosi attentati e rapimenti, ha sequestrato l’ex missionario italiano Rolando Del Torchio, liberato due giorni fa dopo sei mesi di prigionia.Un altro gruppo presente nell’area è Jemaah Islamiyah, un’organizzazione panasiatica fondata nei primi anni novanta, responsabile di sanguinosi attentati in Indonesia. Il suo obiettivo sarebbe quello di creare uno stato islamico che comprenda la Malesia, la parte meridionale della Thailandia, l’Indonesia, il Brunei, Singapore e, appunto, le Filippine del sud. Il braccio armato del partito comunistaIn questa zone è attiva anche la guerriglia comunista. Si chiama New People’s Army (NPA) – in filippino Bagong Hukbong Bayan – ed è il braccio armato del Communist Party of the Philippines (CPP). Questo gruppo, considerato dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea un’organizzazione terroristica, è stato fondato da Bernabe Buscayno – più conosciuto con il suo nome da battaglia, Commander Dante – nel marzo del 1969 e controlla diverse parti del territorio. Il loro obiettivo è quello di prendere il potere attraverso la lotta armata e, secondo i dati forniti dalle autorità filippine, conta circa 4 mila combattenti.
I paramilitari e gli interessi degli uomini d’affariInoltre ci sono diversi gruppi armati controllati dall’esercito regolare, anch’esso accusato di essersi macchiato di sangue in passato. Le prime vittime di questi paramilitari sono i Lumad: le popolazioni indigene. Negli anni centinaia di aborigeni sono stati uccisi e i loro territori ancestrali, che fanno gola alle multinazionali del settore minerario e agli uomini d’affari del Paese, occupati nel nome del business.