Figli d’Europa
Abubaker Deghayes ha scoperto che suo figlio era morto su Facebook. Non una chiamata, non un addio, non un momento per prepararsi. Ha acceso il computer e la sua vita è cambiata. Abdullah, nato e cresciuto a Brighton nel Regno Unito, aveva solo 18 anni e faceva parte di quel esercito non convenzionale europeo che sta combattendo in Siria contro il regime di Assad. 3300 ragazzi secondo le stime ufficiali, sono partiti per raggiungere il fronte siriano. Abubaker, ora, ha un solo pensiero, quello di salvare gli altri due figli ancora in Siria: “Amer, Jaffar, vi supplico, vi prego, tornate a casa”. Al padre non resta che sperare e credere che suo figlio sia morto per una nobile causa, cercando di aiutare la Siria. È questo uno dei motivi per il quale i figli musulmani di Europa partono per la loro jihad in Siria. Molti sono oltraggiati dall’orrore, dall’ingiustizia, gli sembra impossibile non fare qualche cosa. E partono. Di nascosto da amici e genitori.
“Il conflitto siriano ha ridato energia al radicalismo per diverse ragioni – ci spiega Peter Newman, direttore del centro per gli studi sulla radicalizzazione e la violenza politica al King’s College di Londra – siamo nel cuore del mondo musulmano, c’è un dittatore sciita che uccide sunniti, internet ha reso facile percepire l’ingiustizia, ma soprattutto è semplice arrivare. Questa guerra, con la massiccia propaganda via web, ha catturato l’immaginazione collettiva dei ragazzi come non era mai accaduto”. Il web, appunto, è sommerso di video, foto, prediche, scene di battaglia. La guerra si gira in diretta ed è sempre connessa con chi vuole vederla.
Dall’Inghilterra sono partiti almeno 700 ragazzi, 740 dalla Francia, 350 dal Belgio, 70 dalla Svezia, 300 dalla Spagna, qualcuno dall’Italia, 150 dalla Bosnia. Almeno altri 9 mila sono partiti dal nord Africa.
Anche Shamseddin Gaidan è morto in battaglia. Aveva 16 anni, viveva vicino a Dublino ed era figlio di immigrati libici. “Quando partono non sono necessariamente estremisti – racconta Neumann che da vent’anni si occupa di radicalismo e con i suoi colleghi frequenta i social forum dove i ragazzi condividono i loro commenti – vogliono solo combattere, essere parte di quello accade, porre fine alle ingiustizie. I ragazzi partono consci del fatto che c’è una guerra, si imbottiscono di video per mesi prima di partire. E poi, finiscono per unirsi a gruppi estremisti e, non solo ne assorbono l’ideologia, ma ne diventano dipendenti, perché sono soli, stranieri, non parlano la lingua del posto e hanno bisogno del gruppo per sopravvivere”.
Jabhat al-Nusra e l’Islamic State of Iraq and al-Sham (ISIS), tra i più vicini ad Al Qaeda, sono le organizzazioni che accolgono ragazzi stranieri che più facilmente di altri possono essere usati per missioni particolari, come diventare attentatori suicidi o eventualmente la porta d’ingresso per un futuro violento in Europa. Ma il mondo dei combattenti non è fatto solo di ragazzi. Anche le ragazze contribuiscono a queste guerra, giovani donne che vogliono dare una mano ai ribelli, o altre che sognano di sposare un combattente.Sulla pagina dell’Interpol, attraverso una foto Sabina Selimovic, di 15 anni e Samsra Kesinovic, sorridono come due ragazze felici. Sono scomparse un mese fa da Vienna.
Dopo qualche giorno dalla loro scomparsa in internet sono comparse altre foto, hanno gli occhi sono un po’ spenti, indossano il vestito tradizionale islamico, sono velate e struccate, dietro uomini con kalashnikov si lasciano immortalare con loro. A casa nascoste tra le loro cose, i genitori delle due amiche, rifugiati giunti dalla Bosnia per fuggire alla guerra degli anni ’90, hanno trovato lettere delle loro figlie che dicevano “che avevano scelto la strada giusta e che andavano a combattere in Siria per l’Islam”. Le autorità ci vanno caute, le ragazze rischiano di finire tra le braccia di un combattente se non nel tentacolare traffico di esseri umani. Per le donne questa guerra è diversa da tutte le altre e il motivo è sempre internet, ha permesso loro di essere attive come non mai. In un mondo che di solito separa uomini e donne, quello web permette loro di unirsi al dialogo e allo scontro senza problemi, ora hanno accesso ai movimenti senza neanche dover uscire di casa.
“In Siria si sta creando una nuova generazione – afferma Neumann – che poi tornerà nel proprio paese. Non saranno tutti terroristi. Certamente molti saranno traumatizzati, alcuni saranno sconvolti, e questo come per i soldati è un altro problema perché ci sono casi di veterani che escono e sparano senza motivazioni ideologiche ma per problemi mentali. Altri si riadatteranno, altri, invece resteranno nella regione a combattere, ma esiste una percentuale, circa il 10 per cento di ragazzi motivati, radicalizzati e preparati all’uso delle armi e degli esplosivi che invece rappresenteranno una minaccia per gli Stati europei. Non lo dico con leggerezza, ma anche se questo 10 per cento non rappresenta il problema assoluto dell’Europa, sono sicuro che in prossimo futuro vedremo attentati anche da noi”.