Nei magazzini per adulti in Giappone
Viaggio tra vagine tascabili, intimo “usato” e bambole gonfiabili

Vagine tascabili, intimo “usato” e bambole gonfiabili: dentro i magazzini per adulti in Giappone

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La legenda appesa al muro parla chiaro. Il piano B1, interrato e raggiungibile scendendo una piccola rampa di scale, offre un vasto assortimento di bambole gonfiabili e masturbatori elettrici. Salendo verso l’alto, il primo piano è il paradiso dei sex toys per uomini, in particolare per le “pocket pussy”, le vagine tascabili e assemblabili a seconda dei propri gusti sessuali. Troviamo quindi, al terzo piano, zone adibite alla vendita di vibratori tradizionali, dildo, anelli e, particolarmente fornita e frequentata, l’area dedicata alle pratiche Bdsm, ovvero la vasta gamma di pratiche relazionali e/o erotiche che permettono di condividere fantasie basate sul dolore, il disequilibrio di potere e/o l’umiliazione tra due o più partner. Gli ultimi tre piani espongono alla clientela lubrificanti di ogni tipo, condom, sex toys di lusso, lingerie e, a chiudere, i cosplay, costumi provocanti che rappresentano personaggi di fumetti, cartoni o videogiochi.

Benvenuti all’interno di uno dei tanti grandi magazzini per adulti presenti a Tokyo, capitale del Giappone. Siamo nel cuore di Akihabara, il quartiere per eccellenza dedicato alla vendita di apparecchi elettronici, manga, anime, videogame e, appunto, anche articoli per adulti. Entriamo in un negozio qualunque, vicino alla maxi stazione della metro che ospita anche le linee ferroviarie della Japan Rail. Il clima è discreto e per niente volgare. Si ha quasi la sensazione di entrare in una normalissima boutique di vestiti, con la mercanzia scandita su sette piani e raggruppata per tema. L’unica differenza è che lo shopping center in questione non vende scarpe, jeans e t-shirt, ma qualsiasi strumento o prodotto capace di creare piacere sessuale agli avventori.

I cartelli nei corridoi sottolineano di mantenere un atteggiamento consono. Di non scattare fotografie o importunare i clienti, tanto meno abbordarli con scuse legate alla mercanzia esposta, o peggio ancora di utilizzare i prodotti all’interno del negozio. “Riceviamo mediamente un migliaio di visitatori al giorno nei giorni feriali, che possono salire anche a 1.500 durante il fine settimana”, ci dice un commesso, orgoglioso nello spiegarci che il centro per il quale lavora ha altre sedi dislocate nel Paese. “Offriamo di tutto, dai giocattoli sessuali e bambole alla lingerie e ai costumi cosplay”, aggiunge il giovane, nome di fantasia Akio.

In effetti, qui si vende davvero di tutto, va da sé, legato al mondo del sesso. Sostando al primo piano, il più curioso e inquietante, è possibile attraversare stretti corridoi di “vagine tascabili“. Alcune sono appese, con i loro contenitori plastificati e trasparenti, a ringhiere verticali, mentre altre, in “versione deluxe”, giacciono sugli scaffali, impacchettate in scatole censurabili. La clientela, tanto variegata quanto seriamente interessata ad acquistare gli oggetti esposti, si aggira in questi spazi come se stesse consultando libri. “Molti sono interessati alla consistenza, alla sensibilità offerta in base al materiale dei prodotti e, non per ultimo, al tipo di ragazza stampato sulle etichette”, ci confida Akio, per niente imbarazzato nel parlare di un argomento così delicato.

In sottofondo, alla cassa del piano, si è creata una piccola fila di persone. Del resto, l’industria del sesso rappresenta per il Giappone uno dei settori più remunerativi, lo stesso che fa registrare numeri da capogiro e che si stima, stando ad alcuni valori, possa valere più di 20 miliardi di dollari. Giusto per fare un paio di esempi, pare che qui si producano il doppio dei film a luci rosse degli Stati Uniti, oltre 5.000 titoli all’anno, quindi circa 14 pellicole pornografiche al giorno, e che questo sia il secondo Paese al mondo per la quantità di soldi spesi dai suoi cittadini per l’intrattenimento hard.

Eppure, in Giappone vigono leggi rigidissime in materia di moralità. L’articolo 175 del codice penale, risalente al 1907 è emblematico: “Chiunque distribuisca, venda o mostri in pubblico un documento, immagine o qualsivoglia oggetto di natura oscena sarà punito con la reclusione fino a due anni, una multa fino a 2.500.000 yen o un’ammenda. Lo stesso si applica a chi possieda suddetto materiale con l’intenzione di venderlo”. In ogni caso, l’ambiguità sotto il cielo è tanta. Oggi le autorità danno la sensazione di tollerare ogni allusione sessuale fin tanto che non vi sia un effettivo rapporto sessuale tra i soggetti raffigurati.

Certo è che i genitali di attori e attrici devono essere censurati in qualsiasi prodotto pornografico, e lo stesso valeva per i peli pubici fino alla fine degli anni Novanta. Per bypassare la censura, il porno made in Japan adotta stratagemmi e scappatoie sui generis. Come, nei manga e negli anime, l’utilizzo di mostri e tentacoli per sostituire persone e genitali, il classico sfocamento di parti del corpo off limits e lo sfruttamento della sessualizzazione di ragazze pre adolescenti nel tentativo di attirare il pubblico.

Sempre ad Akihabara ci spostiamo ed entriamo in un secondo magazzino dedicato ai piaceri del sesso, incastonato tra negozi specializzati nella vendita di console Nintendo vintage e action figure Gundam. La mercanzia è simile a quella del primo centro visitato, se non che l’atmosfera è molto più hard. Gli ultimi due piani sono addirittura vietati alle donne. Un messaggio giallo, con la figura di una ragazza barrata, avverte che alle “ragazze è vietato accedere ai piani tre e quattro” e le invita ad “attendere al secondo piano”. Incuriositi dal cartello, cerchiamo di capire cosa c’è di tanto scabroso nei piani proibiti da richiedere un simile provvedimento.

Oltre alle solite “pocket pussy”, spiccano due elementi quasi angoscianti per chi non è abituato al porno nipponico. Dietro a vetrine lucidissime si ergono figure immobili con perfette fattezze femminili. Ecco l’ultima frontiera delle bambole gonfiabili, manichini di plastica curati in ogni minimo dettaglio, dall’espressione allo smalto colorato su mani e piedi. Sembra quasi di avere a che fare con ragazze in carne ed ossa, se non che la loro pelle è fatta di silicone. Queste bambole sono snodabili, presentano espressioni che vanno dallo sguardo sexy al volto terrorizzato, a seconda della perversione richiesta dal cliente, e vestono abiti da teenager. Anzi, molto spesso, per i lineamenti che scorgiamo, certe sex dolls sembrano richiamare giovanissime ragazze, quasi bambine, in un’età indefinita come quella delle protagoniste dei manga.

Uscendo dallo show room notiamo, infine, una vending machine mai vista prima. È bianca, con un pulsante rosso in bella vista e l’avviso del prezzo richiesto: mille yen, poco più di sei euro. Alzando lo sguardo, e osservando i disegni esposti, capiamo quali sono le “sorprese” acquistabili utilizzando queste macchinette: mutande femminili sporche di sangue e intimo usato di giovani ragazze. “Non so se sia una leggenda o meno, se dalle macchinette escono davvero mutandine femminili usate. Voglio proprio provare, perché qualcosa del genere non si trova da nessun’altra parte del mondo”, afferma con entusiasmo un turista americano incuriosito dalle strane gashpon, nome giapponese per riferirsi ai distributori di capsule in plastica comuni nel Paese. Non roviniamo il momento di gioia al giovane, che scende le scale pronto ad aprire le mutandine appena ottenute insieme al suo gruppo di amici. Gli indumenti offerti da queste macchinette sono in realtà fabbricati per “sembrare usati”. È la dolce illusione che pervade l’industria porno made in Japan, caratterizzata da ambiguità, regole non scritte, scappatoie. Il tutto per far provare alle persone, almeno per qualche ora, il piacere di sentirsi desiderate e un po’ meno sole.