La guerra per la pace nelle favelas
Quello dell’immagine in Brasile e a Rio de Janeiro è il culto più praticato. Tra orazioni personali e liturgie istituzionali. Riti antichi e moderni, in grado di esaltare le parti sfavillanti e distrarre dalle zone opache, ricche di contrasti e ingiustizie. Sostanza carioca, evidente appena sotto la superficie della propaganda.Tra il 2008 e il 2009, ancora una volta in nome dell’estetica, perché la città potesse approfittare al meglio del periodo di boom economico del Paese, era necessario uno sforzo in più. Essenziale per rimettere a lucido la città meravigliosa, tra un lifting urbanistico e una seducente protesi in favela. Così da giocarsi al meglio l’occasione per contribuire lanciare il Brasile nell‘Olimpo delle nazioni che contano: ospitare le Olimpiadi del 2016.Era prioritario che le delegazioni del Coi, avessero la sensazione di una città in grado di rilanciare quell’idea di progresso riportato nella bandiera insieme, soprattutto, a quella di ordine. La fotografia dell’adolescente in costume da bagno e infradito armato di fucile automatico non era più accettabile. Come costruire una nuova credibilità internazionale con intere aree della città in mano ai trafficanti, totalmente fuori dal controllo delle leggi dello Stato? Mostrando al mondo di avere il controllo e di volercela mettere tutta, fu varato il piano di pacificazione delle favelas con la Upp, Unidade de Policia Pacificadora.
Foto di ©Marco Negri
Annunciato come rivoluzionario, il progetto prevedeva la fine dello storico contrasto ai trafficanti, ben sintetizzato dal tenente Carlos Martins da Veiga: “Entri e fai un’operazione: ne uccidi qualcuno, ne arresti qualcun’altro, e quando esci hai già un nuovo capo dei trafficanti”. Un altro, contro il quale combattere la prossima battaglia, come in guerra. Una guerra che a Rio va avanti dagli anni ’80, senza avere mai ottenuto risultati. Limitata alla violenza e mai sostenuta da indagini vere, ha causato solo tragici bilanci di morte. Condannando le favelas a una vita di violenza.Con la Upp invece, dopo una prima ‘bonifica’ portata avanti con i carri armati di esercito e marina, la presenza pressante della polizia militare avrebbe garantito il miglioramento delle statistiche di morte e la fine degli scontri tra fazioni criminali. Nel primo quadriennio è effettivamente andata così seppur nelle sole favelas interessate (38 sulle oltre mille censite). Quasi tutte situate intorno al centro, alla zona ricca e turistica della città, o a ridosso delle aree interessate dalle strutture olimpiche e dalle vie di accesso a queste.Costruito su fondamenta troppo fragili però, il progetto ha ben preso iniziato a mostrare crepe. A minarlo alla base, da un lato l’incapacità di riformare la polizia, ancora legata alle dottrine elaborate durante l’epoca della dittatura militare; dall’altro la mancanza di indagini contro i criminali. L’aver permesso infatti alla maggior parte dei banditi di scappare dalle comunità prima della pacificazione e le pene troppo leggere inflitte ai pochi arrestati, ha facilitato una riorganizzazione dei trafficanti.Tra il 2014 e il 2015 alla situazione militare già compromessa si è unita la crisi economica dello Stato, prossimo al default, che ha avuto riflessi anche sulla sicurezza. Gli investimenti sono crollati, il progetto delle Upp si è arenato. I trafficanti, fiutata la possibilità che terminate le Olimpiadi il piano potesse saltare, hanno ripreso fiducia. L’idea di scacciare la polizia li ha galvanizzati. Dal 2014, in un crescendo continuo, i criminali hanno iniziato a lavorare ai fianchi la polizia.Agguati e sparatorie si sono intensificati e le favelas pacificate, che per alcuni anni avevano sperimentato una pace armata, sono tornate luoghi pericolosissimi. Conflitti a fuoco e pallottole vaganti sono tornate la quotidianità. Delle 38 Upp costituite a Rio, in almeno 31 si sono registrati conflitti tra criminali e poliziotti e attacchi alle sedi della polizia, l’82%.
Nel solo Complexo do Alemão, l’area più a rischio, nel mese di giugno 2014 è avvenuto almeno uno scontro a fuoco al giorno, e da gennaio a giugno del 2015 sono morti 6 residenti innocenti e due poliziotti. Secondo una ricerca condotta dal quotidiano O Globo la routine di ‘guerra’ ha costretto i residenti a rimanere chiusi in casa nel corso dei primi 8 mesi del 2015 per l’81% dei giorni. Da gennaio ad agosto 2015 ci sono state sparatorie per 190 giorni su 232. In mezzo il 99% della favela rappresentato da lavoratori di bassa rendita, costretti a convivere tra il fuoco incrociato e a rispettare le regole, differenti di polizia violenta e trafficanti spietati. Entrambe oppressive e punitive.Vista la situazione, la polizia ha ripiegato da alcune aree delle favelas e i trafficanti le hanno immediatamente riprese. E’ il caso di Rocinha, São Carlos, Jacarezinho, Complexo do Lins, Complexo do Alemão e tante altre. Sono tornate le armi che erano state nascoste, sono state ricostituite numerose piazze di spaccio e, per difenderle, la rete di ‘sicurezza’ dei trafficanti è tornata capillare. Per circolare nelle comunità è necessario nuovamente il permesso dei leader.E questo a pochi mesi dall’inizio delle Olimpiadi. Con la spada di Damocle della fine dei giochi che pende sulla città e sullo Stato di Rio in dissesto economico. I trafficanti, contando su un alleggerimento della presenza della polizia dopo le Olimpiadi, sono già pronti a recuperare il terreno perduto all’inizio della pacificazione. Gli annunci di invasioni e nuove lotte per l’egenomia tra i comandos della città sono stati già fatti.Tutti sono pronti. Chi pare in ritardo è lo Stato, a rischio di non riuscire a garantire la sicurezza né dentro né fuori dalle favelas. A quel punto, anche l’immagine sarebbe definitivamente compromessa.
Foto a cura di Marco Negri reportage photographer: http://www.marconegri.net/