La vita dei veterani americani “Nulla ora ci può spaventare”

La vita dei veterani americani “Nulla ora ci può spaventare”

(Birmingham) Negli Stati Uniti, quella del trattamento da riservare ai veterani di guerra, è una questione aperta da tempo, e non bisogna certo scomodare film come Rambo o American Sniper per capire quanto il ritorno alla vita civile possa essere traumatico.

Fin dalla sua nascita, infatti, la potenza a stelle e strisce si è trovata protagonista di una serie infinita di conflitti (prima contro i nativi americani, poi contro la ex madrepatria, poi contro l’Europa ed infine in tutto il mondo) tale da generare un’enorme mole di reduci di guerra, bisognosi di reinserirsi nella società.

Un tema cavalcato dallo stesso Donald Trump che, puntando sul patriottismo e la necessità di garantire una vita dignitosa a chi “ha combattuto per la patria”, ha raccolto non pochi voti da parte degli ex militari. Per capire quindi quanto sia forte, negli Stati Uniti, il legame con i reduci di guerra, ci spingiamo fino in Alabama.

Lo Stato, da sempre repubblicano e fortemente conservatore, è anche uno di quelli che, ogni anno, fornisce il maggior numero di volontari per le Forze Armate. Qui, poco fuori dalla città di Birmingham, incontriamo i “Sons of Confederate Veterans”, i “Figli dei Veterani Confederati”, che negli Stati del profondo Sud contano migliaia di affiliati.

L’associazione, nata nel 1896, trentun anni dopo la fine della Guerra Civile americana, fin da subito si pose l’obiettivo di “preservare la storia e perpetuare la memoria di tutti i soldati sudisti”. Oggi è una formazione strutturata su base militare, che non esiterebbe ad imbracciare le armi contro chiunque possa mettere in pericolo l’America.

“La nostra associazione – spiega il capitano della Cavalleria Meccanizzata dei Scv in Alabama, Pat McMurry – è stata pensata per difendere l’eredità storica di questa terra. Per troppi anni, infatti, si sono raccontate un mucchio di falsità sulla Guerra Civile e sulle motivazioni che portarono allo scoppio del conflitto. Sfortunatamente però in quella guerra fummo sconfitti, e la storia la raccontano sempre i vincitori”.

La combattività degli uomini del Sud, secondo McMurry, sarebbe però tutt’altro che scomparsa. “Noi sudisti siamo uomini con un forte senso dell’onore, e saremmo disposti a qualsiasi cosa per proteggere il nome e la storia delle nostre famiglie. Non siamo un’organizzazione militare o paramilitare – ci tiene a precisare McMurry – ma siamo un gruppo di uomini del Sud ben addestrati e ben armati, e nulla ci può spaventare. In Alabama, poi, abbiamo un legame molto forte con i veterani che tornano dal fronte. È una cosa che accomuna tutte le persone che vivono qui. Loro hanno combattuto per noi, e noi gli siamo grati”.

A Birmingham ha inoltre sede il Va Medical Center, un enorme complesso ospedaliero, dedicato interamente ad assistere i veterani, e riusciamo così a farci ricevere da Jeffrey Hester, Direttore degli Affari Pubblici della struttura. “Siamo tradizionalmente uno Stato molto patriottico – spiega Hester -, con lunghe tradizioni familiari ed un forte attaccamento ai nostri reduci. Qui a Birmingham si tiene anche la più grande ed antica parata in loro onore. All’interno del complesso ospedaliero ci prendiamo cura di oltre 70mila veterani di tutte le guerre: Prima e Seconda Guerra Mondiale, Corea, Vietnam, Medio Oriente. Negli Stati Uniti, infatti, dopo aver servito nell’esercito si accede automaticamente ad una copertura sanitaria gratuita, oltre che ad una serie di altri benefit”.

Un sistema collaudato, secondo Hester, in grado di fornire un supporto a chi altrimenti rischierebbe di ritrovarsi ai margini della società. “Qualsiasi cosa che si possa fare per aiutare i veterani qui la facciamo – continua Hester -. Abbiamo programmi specifici che li aiutano a reinserirsi nel mondo del lavoro, che trovano per loro una casa, o gli forniscono un’educazione professionale. Il tutto in maniera gratuita e come ringraziamento per il servizio offerto al Paese”.

Aggirandosi per i corridoi dell’ospedale, e parlando con alcuni veterani che attendono il loro turno per essere visitati, ci si rende conto però di come la situazione non sia del tutto idilliaca. Secondo lo stesso Dipartimento degli Affari dei Veterani, infatti, ogni anno negli Stati Uniti 8mila ex militari si tolgono la vita, per una media di 20-22 suicidi al giorno. Una cifra impressionante, sintomo di un malessere profondo, che alla base avrebbe il Dpts (Disturbo Post-Traumatico), e le difficoltà di reinserimento nella società causate dall’esperienza bellica o dal mancato riconoscimento del valore sociale del servizio reso alla nazione.

“Sono un veterano del Vietnam – ci racconta un uomo con addosso una giacca dei Marines – e sono fiero di aver servito il mio Paese. Negli Stati Uniti però noi veterani non abbiamo lo stesso livello di cure che si può trovare negli ospedali civili. Certo, è gratuito, ma alcune volte occorre aspettare mesi per essere visitati. Spero quindi che il nuovo presidente possa migliorare la situazione”.

Un parere condiviso anche dagli altri veterani che incontriamo. Da un lato fiduciosi verso Donald Trump, dall’altro quasi rassegnati verso una situazione ingessata da troppi anni. “Mi fa piacere che Trump annunci di volerci aiutare – dice un veterano afroamericano della Us Navy – ma la cosa migliore sarebbe far seguire i fatti alle parole. Per troppi anni abbiamo ascoltato promesse poi cadute nel vuoto. Io spero che lui possa essere diverso e cambiare davvero le cose. Se ci riuscirà, noi lo seguiremo”.