Petrolia
La città tradita

Petrolia

Camminare per le strade di Kucova è come attraversare a grandi falcate la Storia dell’Albania. Una Storia di occupazioni avversate, ideali traditi, speranze disattese. C’è tutto questo tra le rovine di quella che un tempo era una delle città industriali più importanti del Paese. Un sottosuolo ricco di greggio ne è stato insieme la fortuna e la disgrazia. Anche l’aria è impregnata dell’odore intenso e acre del petrolio. L’oro nero zampilla dai pozzi sparsi ovunque in città. Agli angoli delle strade, nei cortili delle case, tra le lapidi dei cimiteri. Rottami di ferro arrugginito che continuano a scavare nella terra portando in superficie poche migliaia di tonnellate di greggio.

Albania, Kuchova 2019. Resti della raffineria italiana

Tutto intorno è il disastro. Greggi di pecore ruminano erba sporca di petrolio. Oleodotti usurati dal tempo e dall’incuria spaccano le strade e i marciapiedi della città. Le ciminiere del vecchio impianto di estrazione si stagliano al centro di Kucova, imponenti come il senso di abbandono che trasmettono. Per capire la storia di Kucova, occorre partire dall’Italia. Da quell’Italia degli anni Venti affamata di petrolio che trovò nell’Albania una delle sue fonti di approvvigionamento. Proprio dalla valle del fiume Davoli proveniva il 10% del fabbisogno italiano annuo di petrolio. Da piccolo villaggio rurale Kucova si trasformò nell’arco di pochi anni in una vera e propria città industriale.

Albania, Kuchova 2019. Resti della raffineria italiana costruita durante l’occupazione fascista

Vennero costruiti chilometri di strade, ponti, oleodotti, stazioni ferroviarie, impianti di estrazione petrolifera. E ancora una piccola raffineria per lavorare il greggio in loco, e un aeroporto militare. Il piccolo Paese si andò via via popolando di impiegati e operai, italiani e albanesi. Fu così che, durante l’occupazione fascista, Kucova venne persino ribattezzata Petrolia, città del petrolio. Furono gli anni del boom economico, ma anche quelli del tradimento. Perché tradite furono le promesse da parte italiana di costruire delle raffinerie lì, nei dintorni della città. La maggior parte del greggio invece venne preso e trasportato a Bari dove veniva lavorato e impiegato a uso interno. Un saccheggio durato fino alla fine della Seconda guerra mondiale. Cacciato l’invasore, Kucova visse l’ennesima metamorfosi.

Albania, Kuchova 2019. Ingresso dell’aeroporto aereoporto militare, che dovrebbe ospitare una base NATO

Alla base aerea di Kucova la sensazione è di precipitare d’improvviso ai tempi della Guerra fredda. Abbandonata, ingombra di caccia inutilizzabili risalenti all’epoca della dittatura comunista di Enver Hoxha. Relitti di veivoli costruiti tra gli anni Cinquanta e fine anni Settanta da sovietici e cinesi quando nel mondo diviso, il Paese delle aquile si collocava a Est della Cortina di ferro. Allora Kucova cessò di essere Petrolia e divenne Qyteti Stalin, la città di Stalin. Quel che non cessò fu la sua attività industriale. Estromessi gli italiani dell’Aipa, gli impianti di estrazione petrolifera passarono nelle mani del regime. Eppure la città prese il volto cupo di un distretto militare, chiuso come chiusa era l’Albania comunista di Hoxha.

Albania, Kuchova 2019. Aeroporto con vecchi mig ormai inutilizzabili sulla pista di quella che dovrebbe diventare una base NATO

Passarono 45 anni prima che Kucova tornasse a riprendere il nome originario. Era il 1990. Il regime era caduto sotto il peso della miseria. Bisognava rimuovere ogni traccia di quel passato, abbracciare l’utopia di un mondo libero e aperto, la stessa che aveva fatto crollare il muro di Berlino. Eppure a crollare furono le speranze, insieme alle piramidi. Erano trascorsi solo sette anni quando l’Albania precipitò in una crisi economica che spinse il Paese sull’orlo della guerra civile. Per molto tempo Kucova si portò addosso i segni di quegli scontri. Edifici bucherellati dai kalashnikov, danni alla struttura dell’aeroporto militare. Fu allora che ebbe inizio la lenta fase di declino della città. Gli impianti, quasi tutti, chiusero i battenti. A Kucova non restò che il disincanto.

Albania, Kuchova 2019. Piccolo campo petrolifero

È il mezzogiorno di un assolato giorno di marzo. In una città semideserta i bar sono gremiti di persone. Giovani, anziani, le facce sprofondate nei caffé. In televisione scorrono le immagini delle manifestazioni a Tirana. Da mesi l’opposizione scende in piazza per chiedere le dimissioni del premier albanese, Edi Rama. Chi lo difende, chi lo attacca, comune però è il malcontento. Stipendi da fame, precario il lavoro, a Kucova il presente non è che la sala di attesa di un futuro che stenta ad arrivare. L’estate scorsa però quel futuro ha fatto capolino su Facebook. La Nato, ha annunciato Rama in un post, investirà 50 milioni di euro per ammodernare la base militare di Kucova. Obiettivo è farne un centro, il primo nei Balcani, per il supporto logistico, la polizia aerea, la formazione e le esercitazioni. A gennaio il lancio ufficiale dei lavori.